La cultura come antidoto al veleno della guerra. Pietro Giuseppe Frè, professore emerito di Fisica Teorica all’Università di Torino, uomo di scienza, ha presentato ad Alessandria il suo saggio “Kiev e Mosca nella Storia. Amarezza e ricordi di un diplomatico pro tempore”. A dialogare con lui due ospiti d’eccezione. Tatiana Yankelevich Bonner, figlia del Premio Nobel Andrej Sacharov, per anni direttrice del Davis Center for Russian and Eurasian Studies dell’Univesità di Harvard. Ed Elena Kostioukovitch, scrittrice e traduttrice in italiano e russo dei romanzi di Umberto Eco, nata in Ucraina a Kiev, laureatasi a Mosca e dal 1996 naturalizzata italiana. Nel libro Frè tratta la storia di Kiev e Mosca e dell’identità statali di cui sono state capitali, dalla loro nascita alla guerra odierna. Accanto alla ricostruzione storica segue un vero e proprio diario, che abbraccia un periodo di otto anni raccontato dall’autore in qualità di diplomatico pro tempore all’Ambasciata d’Italia a Mosca. Libri per dire no alla barbarie bellica, dunque. C’è l’orrore della guerra, ma anche la necessità di difendersi e combatter per la libertà in questo romanzo inedito in Italia di Vasilij Grossman nel progetto di pubblicazione Adelphi di tutte le opere dell’autore di quel capolavoro che è “Vita e destino“.
Testimonianza
Il critico letterario dell’Ansa Paolo Petroni evidenzia che “con in corso la guerra in Ucraina, ‘Il popolo immortale’, libro sull’eroico esercito russo che combatte, fa notizia. Ma ha bisogno di trovare una sua ottica di lettura. Senza comunque dimenticare che siamo davanti a un’opera con una sua valenza letteraria, abbastanza antiretorica e che parla della lotta contro l’esercito nazista nell’ultima guerra”. Certo, la differenza è evidente. “Allora i russi erano attaccati e invasi, mentre ora sono loro a invadere un altro paese con pretese di conquista- puntualizza Petroni-. Si tratta, dunque, di avere questo presente e in più farsi sorprendere e coinvolgere da certe notazioni di Grossman o riflessioni che attribuisce ai suoi personaggi, partendo dal commissario politico di battaglione Sergej Alexandrovic Bogarev”. Ecco allora quel ‘”sarà l’ultima, questa guerra?” si chiedeva Bogarev, fumando in una notte di luna in un bosco di latifoglie con “una gran voglia di fare tutto il possibile perché il mondo conoscesse solo giorni e notti così belle” mentre infuria la battaglia. Ma pensando “che se Hitler vinceva, il mondo poteva anche dimenticarsi il sole, le stelle e una notte così“. Ciò trova un suo senso preciso anche nell’attualità.
No alla guerra
Grossman al momento dell’invasione tedesca ha 35 anni, come ricordano Robert Chandler e Julija Volochova curatori del volume e autori di una postfazione e della scelta dei materiali in appendice. Ma si offre subito come volontario per il fronte, venendo invece assegnato alla “Stella rossa” come corrispondente di guerra subito tra i più letti e apprezzati. Scrive per sostenere il morale delle truppe ed è mosso da una convinta fede comunista, ma già colpito dalle falsità della propaganda. Così che, secondo Petroni, in quegli articoli e in questo primo dei suoi tre romanzi di guerra, uscito nel 1942 a puntate proprio su “Stella rossa” a conflitto in corso, “avvertiamo i semi” del suo successivo sviluppo umano e di scrittore. “La svolta arriverà dopo la guerra, dopo lo scioglimento del Comitato antifascista ebraico e la scoperta che l’antisemitismo riusciva a passare praticamente senza soluzione di continuità dal nazismo hitleriano al comunismo stalinista, che tra l’altro andava mostrandosi nel suo sempre più spietato totalitarismo – spiega Petroni-. Queste pagine hanno una vivacità che è nella capacità di descrivere particolari e cogliere l’umanità nel quotidiano della vita dei soldati con l’immediatezza di chi ne è testimone. E sente, per esempio, come il senso della violenza della guerra ‘molti cuori della gente di campagna‘ lo cogliessero in ‘quell’avanzare di pesanti stivali di soldato sul corpo soffice di un raccolto non mietuto’ riconoscendo al buio il tipo di frumento”. Così, riferendo dei roghi nazisti di libri delle biblioteche russe, nota che “non c’è forza in grado di distruggere il pensiero“. Ma poi costruisce racconti più letterari attorno a un personaggio, ed ecco l’undicenne Lenja alla ricerca del padre disperso e sua nonna Maria Timofeevna.
Realtà e narrativa
Allo stesso modo che nei suoi romanzi maggiori, Grossman trasferisce anche qui, e ancor più qui, nell’invenzione narrativa la realtà. I curatori riferiscono come i protagonisti principali Bogarev e il capitano Babadzan’jan siano trasfigurazioni di militari veri, che si era ritrovato ad ammirare e quindi idealizza. Allo stesso modo il comandante Mercalov incarna molti dei difetti di chi fu alla guida dell’esercito nei mesi disastrosi dell’inizio, ma poi, con la capacità di cambiare profondamente strategia, diviene l’emblema delle speranze dello scrittore di vittoria e cambiamento. Prosegue Petroni: “Senza dimenticare che il vero protagonista per l’autore è il popolo col che lo porta a interrogarsi sulla memoria e la mostruosità della guerra con i suoi morti, gente che si sacrifica per la libertà con generosità e eroismo: ‘invano i poeti scrivono canzoni in cui sostengono che nomi e cognomi dei caduti vivranno nei secoli. Chi è morto è morto. E chi va incontro alla morte lo sa. Grande è il popolo che ha figli morti di una morte santa, semplice e austera nell’immensità dei campi di battaglia. Di loro hanno notizia il cielo e le stelle'”. Perché non è vero, come dicono due tenenti che “c’è una guerra in corso e intorno abbiamo solo frutteti e uccelli che cinguettano’” ignari e indifferenti. E Grossman, osservando e la vita degli animali, osserva come la “guerra tocchi ogni forma di vita“.