Volto noto agli amanti del teatro, Giovanni Scifoni non ha sicuramente bisogno di presentazioni. Attore, scrittore, ma anche conduttore televisivo, è uno dei volti della serie televisiva di Rai 1 Doc – Nelle tue mani, che vede Luca Argentero interpretare il dottor Andrea Fanti. Con la sua ironia e talento, Giovanni Scifoni irrompe nel profilo Facebook dei suoi fan con video irresistibili, nei quali spesso coinvolge la sua famiglia, sua moglie Elisabetta e i loro tre bambini.
Classe 1976, romano, diplomato all’Accademia nazionale d’Arte drammatica, nel 2003 esordisce con il film “La meglio gioventù”. Nel 2005 esordisce in tv come protagonista della miniserie “Mio figlio” e, poi, nel cast di Don Matteo, Un caso di coscienza, Un medico in famiglia, L’ultimo papa re, La tempesta, Purché finisca bene, A testa alta – i martiri di Fiesole, Squadra antimafia 7 e di molti altri. Esordisce come conduttore televisivo nel 2017 con la trasmissione “Beati voi”. Ha all’attivo anche alcune partecipazioni a le Iene, come autore e inviato.
InTerris.it lo ha intervistato in occasione della Giornata Mondiale del Teatro che si celebra ogni 27 marzo. Questa giornata è stata istituita nel 1961 durante il IX Congresso mondiale dell’Istituto Internazionale del Teatro, creato nel 1948 per iniziativa dell’Unesco.
Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Teatro. Che importanza ha per la nostra cultura?
“Oggi il teatro è in crisi, come all’epoca dei romani. E’ bellissimo leggere i commenti che faceva il commediografo Tito Maccio Plauto: si lamentava della gente che preferiva andare al circo piuttosto che a vedere le sue commedie. Non è un problema nostro, esiste da sempre. La cultura è in crisi, quindi si fa molta fatica a portare la gente a teatro: ma proprio per questo non morirà mai. E’ un’esigenza talmente profonda dell’essere umano, è fondamentale, fa parte degli elementi principali dello stare insieme, di una comunità. Non esiste una comunità umana senza un teatro, di qualunque tipo. Ecco, magari moriranno i teatri, crolleranno le strutture, cambieranno le mura, ma il teatro non morirà mai”
Come vive la sua dimensione di artista in questo periodo di crisi sanitaria causata dal coronavirus?
“La crisi è assoluta per il mio settore che vive, ora, una condizione di prostrazione assoluta. Questa emergenza non è uguale per tutti i lavoratori, ci sono quelli più colpiti e quelli meno. Siamo proprio alla frutta: molti teatri chiuderanno dopo questa vicenda, molti miei colleghi, che non hanno avuto la mia fortuna di aver lavorato bene, dovranno cambiare mestiere. Come vivo questo periodo? Io sono fortunato, ho un folto pubblico che mi segue e ho la responsabilità di mantenere vivo il loro interesse. Con il teatro in streaming? Ci hanno provato molti miei colleghi, bravi attori, ma non sta funzionando. Quello che si può fare è: fare altro, tipo i video che faccio io: c’è il gioco, la narrazione, il racconto, ma non hanno nulla a che vedere con il teatro. E’ un tipo di linguaggio che si presta al mezzo che si sta utilizzando, cioè il web. Il video montato, con tutti gli elementi possibili, è quello che mi sento di fare io in questo momento. Mantenere viva la cultura, utilizzando temi alti, non beceri, il web è pieno anche di cose di basso livello”.
Parliamo dei video che realizza e che stanno avendo un grande successo. Come ha avuto l’idea di realizzare queste agiografie?
“Molto semplicemente me l’ha suggerita il mio ex direttore di Tv2000, Paolo Ruffini, adesso Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Io ho accettato la sfida. All’inizio era una ‘porcheria’, era noiosissimo: io stavo lì, davanti alla telecamere a parlare di San Romualdo… poi piano, piano ho iniziato a introdurre la famiglia, i figli, mia moglie, e siamo arrivati a quello che è adesso: un gran carnevale di situazioni domestiche, in cui alla fine potremmo dire che la vita del santo è un ‘pretesto’. I video non servono a far conoscere il santo, ma a incuriosire sull’esistenza di questa figura. Due minuti e mezzo sono insufficienti per raccontare uomini immensi. Io do un semplice accenno alla vita di questa persona, che poi innesca una riflessione sul quotidiano”.
Lei è credente? Come coniuga la dimensione religiosa con il suo lavoro?
“Sì, sono credente. Questa è una domanda che si pongono tutti. Qualunque tipologia di lavoro ha delle forme di contrarietà alla fede. Lavorare è un compromesso. Viviamo nell’incoerenza continua. Il mio lavoro non è un ‘refugium peccatorum’ più degli altri. Le occasioni di peccato che puoi trovare su un set cinematografico sono le stesse che trovi in una sala medici di un policlinico. Il mondo è tutto uguale. Coniugo il lavoro e la fede combattendo, lottando, ma come lo fanno un banchiere, un impiegato… tutti”.
Dal 26 marzo, su Rai 1, è in onda la serie “Doc – nelle tue mani” dove interpreti il neuropsichiatra infantile Enrico Sandri, collega e amico del protagonista, il dottor Andrea Fanti, interpretato da Luca Argentero. Puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?
“E’ una storia vera, di un grande chirurgo che perde la memoria in seguito di un incidente: da qui nascono una serie di vicissitudini incredibili. Noi affrontiamo questa dinamica così terribili, perdere la memoria è una questione profonda, significa perdere tutto ciò che hai, quello che sei e rappresenti. Noi non siamo altro che memoria”.
Vuole lanciare un appello agli italiani?
“Approfittiamo di questo momento per vivere più profondamente le cose in cui crediamo. Chi ha fede, ha la possibilità di attaccarsi ancora di più alla preghiera, di vivere un’intimità maggiore con Cristo. A volte il mondo esterno ci distrae, allora questa vita monacale che stiamo vivendo, può farci fare delle esperienze molto belle dal punto di vista spirituale”.