E’ una strada a scorrimento veloce quella che costeggia i prati di Tor Vergata. Un’area di Roma che, non fosse per il vicino Policlinico, rappresenterebbe nient’altro che il crocevia tra la periferia orientale della Capitale e i vicini Castelli Romani. Una distesa verde, ondulata, stretta fra le propaggini degli edifici universitari e una lingua d’asfalto che, di rotatoria in rotatoria, collega l’estremità capitolina alle vie che si diramano in direzione degli accessi al centro cittadino. Grandi progetti per quest’area della Roma di periferia, addirittura un avveniristico stadio del nuoto, progetto arenato da oltre dieci anni. Eppure, non sono solo i vecchi monumenti al degrado che accoglie questa fetta capitolina. Un testimone silenzioso accompagna lo scorrere delle auto e i passi scanditi dei runners che percorrono la lunga pista ciclabile. Una croce, che interrompe la monotonia dell’orizzonte, a ricordare che una volta, su quella spianata, si concentrò la linfa vitale del mondo cattolico. Giusto vent’anni fa, anno giubilare 2000, quando due milioni di giovani raccolsero l’invito di un Pontefice che, proprio a loro, diede mandato di rinnovare la Chiesa attraverso il linguaggio dell’amore.
L’anno del Signore
Due decadi separano il 2020, anno funesto di una pandemia globale, dall’entusiasmo che accompagnò l’avvento del 2000. Fu Giubileo, sì, ma anche l’anno della Giornata mondiale della Gioventù di Roma, “un’esperienza di comunione spirituale che segnerà certamente la nostra vita”, come disse Papa Giovanni Paolo II congedandosi dai ragazzi che accorsero a Parigi nel 1997. Karol che, in quelle Giornate, vedeva compiersi la speranza che fossero loro, i giovani, a farsi carico del futuro della Chiesa attraverso il modo più semplice: far sentire la propria voce. E Tor Vergata, per due giorni, poté dirsi testimone di un evento storico, un “chiasso”, come lo chiamò il Santo Padre, che Roma avrebbe ricordato a lungo. Oggi resta solo la Croce a testimoniare quei giorni, simbolo e memoria, sintesi perfetta, per chi ebbe la fortuna di vivere quella calda settimana di agosto, dell’amore incondizionato di Giovanni Paolo II per i giovani di ogni parte del mondo.
Un testimone credibile
Un rapporto speciale, che il Santo Padre coltivò fin dagli albori del suo Pontificato, con la fermezza propria delle persone sante e lo spirito tipico di chi, nel cuore, ha conservato tutti i sogni di ragazzo: “Giovanni Paolo II ha intessuto sempre una relazione con i giovani, prima come persona, come uomo, poi come prete e papa”. Daniele Venturi è il presidente dell’Associazione Papaboys (che in occasione del centenario rilasceranno l’ebook gratuito “Karol”), uno di quei gruppi sorti spontaneamente, raccogliendo in modo naturale l’invito principe del Pontefice a “spalancare le porte a Cristo”. Nessun movimento, solo un insegnamento in comune ad animare la vita nel segno di Gesù: “Anche lui ha una storia di giovane, ha vissuto sulla pelle le contraddizioni della sua epoca, prima un regime poi un altro, quindi gli opposti. Lui si è sempre trovato nel mezzo, solo contro tutti, e questo ha segnato in maniera profonda tutte le scelte, a cominciare da quella di farsi prete”. Ed è in un certo senso confortante pensare che, declinate a ogni epoca, “le contraddizioni di Karol giovane, sono le stesse che vive la nostra classe giovanile. E sono le contraddizioni, con molto più benessere, che ha vissuto la nostra generazione, quella dei 40enni e 50enni, con i quali ha saputo allacciare un rapporto diretto, perché come uomo è stato un testimone credibile”.
Accoglienza e perdono
Una voce chiara, un messaggio autentico, un dono di speranza in grado di aprire i cuori, intuendo quali fossero quelli con più fame di verità: “La nostra Chiesa ha bisogno non di clienti ma di credenti. E per continuare a essere buoni annunciatori, bisogna essere creduti e coerenti. Giovanni Paolo II ci ha messo la faccia e anche la vita. Coerente e anche in grado di coinvolgere e colpire tutta la generazione dei giovani dell’epoca, di essere creduto anche da parte del mondo intellettuale della sua epoca. Ha avuto eccellenti nemici, ma chi lo ha avversato ha avuto una continuità di coerenza. Alì Agca, l’uomo che ha provato a ucciderlo, era un giovane… Ed è stato quello che più di tutti ha sperimentato sulla sua pelle cosa significhino accoglienza e perdono“. In quella generazione di giovani, il Papa “aveva visto chiaramente la possibilità di portare un vento nuovo alla Chiesa stessa e ciò che era emerso dal Concilio Vaticano II ha iniziato a renderlo pratico e visivo sul campo. Sicuramente hanno avuto importanza i suoi gesti innovativi, come quando visitò le capanne degli indios. Uno degli slogan simbolo, di noi giovani dell’epoca, era che fosse uno di noi, perché aveva stabilito umanamente questa misura di rispetto reciproco proprio con i giovani“.
Un intreccio di sguardi
A quei ragazzi, Giovanni Paolo II trasmette il messaggio di Cristo, riesce a intuire la forza di innovazione ed evangelizzazione di cui i più giovani possono essere naturali portatori, iniziando la costruzione di una Chiesa fatta davvero di vita nuova: “Una delle cose più stravolgenti – racconta Daniele – è un’esperienza personale: con un gruppo di persone, negli anni diventati amici, ci eravamo ritrovati attorno all’anno Duemila attratti da questa persona, che consideravamo una forza della natura. Ognuno con esperienze di vita diverse, abbiamo iniziato a partecipare ai suoi incontri nelle classiche udienze del mercoledì, senza biglietti e senza nulla: facevamo il corridoio della piazza di buon’ora e avevamo trovato un angolino nelle prime file, dopo aver capito che la sua macchina si fermava ogni volta lì. Dal 2000 al 2004, tutti i mercoledì, c’è stato un incrocio di sguardi. Sapeva che quel gruppetto c’era sempre, e ci salutava. E la cosa stupefacente è che di quelle 10-15 persone che eravamo, ciascuno di noi si sentiva singolarmente guardato da quegli occhi”. La profondità degli occhi, un intreccio di sguardi e una sensazione comune che diventerà la pietra d’angolo di un’esperienza meravigliosa: “Quel suo sguardo era uno degli aspetti della sua santità. Ognuno di noi veniva dai suoi cammini esistenziali, e quello sguardo ci rendeva soddisfatti, coinvolti e appagati. Da quel momento diventava un piacere, non più un momento, approfondire, ascoltare e provare a mettere in pratica quelle parole che rivolgeva ai presenti ogni mercoledì. Quell’esperienza ha portato alle scelte che poi ognuno di noi ha fatto”.
La rivoluzione più grande
L’erba dei prati oggi ricopre, incolta, quello che fu il luogo della grande Gmg del 2000. La Croce custodisce in sé la memoria di quelle giornate, nella speranza che la generazione dei giovani di allora continui a trasmettere non solo il ricordo, ma anche lo spirito di condivisione e di fratellanza che accompagnarono quell’esperienza. Il modo più spontaneo per spiegare ai nuovi giovani quale profondo insegnamento abbia lasciato il Papa santo: “Lui ha contribuito a far comprendere a un’intera generazione che cos’è un vicario di Gesù Cristo e cos’è l’amore che vince la morte… Ha spiegato cosa vuol dire essere mariani, ha ‘armato’ braccia e mani di tanti giovani con nient’altro che la corona del Rosario, convinto che si potesse cambiare la storia dei tempi con solo quel simbolo. Questa è la rivoluzione più grande”.