Giovani, il pericolo in tasca. I rischi educativi dell’eccesso di tecnologia

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Troppa tecnologia danneggia i giovani. Allarme pedagogico per le nuove generazioni sempre connesse. Secondo gli esperti di formazione, l’educazione digitale richiede un uso intelligente delle tecnologie di famiglia. E non strumenti personali, usati come se fossero protesi. Serve la supervisione adulta. Se la tecnologia è di famiglia, allora la famiglia ha ancora un ruolo educativo”, spiega Alberto Pellai. Psicoterapeuta dell’età evolutiva. E Autore del libro “Vietato ai minori di 14 anni” (De Agostini).

Giovani a rischio

“Siamo così pervasi dalle tecnologie che ci può sembrare di far soffrire i nostri figli. Tirandoli fuori da un ambiente naturale che però non lo è. La verità è che dovremmo chiederci cosa vogliamo per la vita digitale dei nostri figli. Fin da quando sono molto piccoli. Altrimenti si rischia di intervenire tardi. Quando già tutto è successo”, avverte Pellai. Un monito ma anche un invito alle famiglie. Ad agire con responsabilità e prudenza. In tema di tecnologia. Smartphone. Il saggio è stato scritto dallo psicoterapeuta dell’Università di Milano a quattro mani con sua moglie Barbara Tamborini. Un manuale ricco di consigli pratici. E di testimonianze raccolte sul campo. Utili ad aiutare i genitori non solo quando si ritrovano a essere pressati dai figli desiderosi di ottenere un proprio cellulare. Ma anche, se il telefono è già stato comprato, a riparare a qualche errore. Commesso in buona fede. O semplicemente per quieto vivere.

Uso troppo precoce

Nel libro non c’è nessuna volontà di colpevolizzare lo smartphone. Uno strumento divertente. Intuitivo. Comodo. Alla moda. La cui utilità è nota a tutti. Lo spirito che anima gli autori è costruttivo. Entrambi sono esperti di psicologia dell’età evolutiva. E con all’attivo molti libri di parenting e psicologia. Il loro obiettivo è quello di far comprendere i rischi di un uso dello smartphone troppo precoce. Pellai e Tamborini spiegano in 10 punti che lo smartphone non è adatto a bambini. Innanzitutto perché non risponde ai loro bisogni. E poi interferisce con lo sviluppo della mente in età evolutiva. E interferisce sulle reazioni emotive. In ogni caso non va mai dato prima dei 14 anni. Come rivelano le ultime ricerche scientifiche. Perché l’accesso alla rete in modo indiscriminato può rivelarsi insidioso e videogiochi e social network potrebbero creare dipendenze. Senza lasciarsi ingannare dalla destrezza tecnologica dei propri figli e a costo di essere impopolari. I genitori dovrebbero riuscire a dire no. Concedendo solo l’uso di uno smartphone di famiglia.

Ambiente educativo

“La sinergia di suoni e immagini a velocità maggiore è un meccanismo che suscita l’attenzione emotiva. Le ricerche ci dicono che di fronte a uno schermo acceso il bambino fa le cose in modo diverso. E ciò che accade lì dentro è più attraente della realtà. Bisogna invece creare un ambiente educativo che risponda ai bisogni del bambino. Lo schermo blocca l’esperienza multisensoriale della realtà”, afferma Pellai, “i bambini magari si iperspecializzeranno a usare le dita sullo schermo. Ma se non prendono un libro in mano, a 20 anni avranno perso notevole capacità di pensare. E’ necessario che imparino a tollerare la frustrazione. E a fare esperienza della fatica. Lo smartphone è divertente e poco impegnativo. Nella vita però non serve il paese dei balocchi. Ma andare a scuola”. Il pericolo è di essere più connessi col fuori che col dentro.

Giovani nei social

“Il fuori con cui si è connessi è virtuale. Non reale. E si perde la connessione con il ‘qui e ora‘”, spiega Pellai. E aggiunge: “La narrazione della propria vita interiore perde di compattezza e consistenza. Ormai non si racconta più se stessi a se stessi nei diari. Per costruirsi la propria identità. Come si faceva un tempo. Oggi tutti si narrano nei social agli altri. Con un fine che è la popolarità e l’approvazione. Non la verità. Si fa una narrazione di sé che piace agli altri”. In questo momento “crediamo sia urgente generare una migliore e maggiore consapevolezza. Rispetto all’impatto delle tecnologie sui minori. Io e mia moglie non siamo fuori dal mondo, abbiamo 4 figli. E la più piccola non ha ancora finito le medie”, puntualizza Pellai all‘Ansa. “Alcune critiche ci arrivano da una parte della comunità scientifica che dice che non ha senso allontanare i bambini dalle competenze digitali visto che ci sono nati”. Ma, replica Pellai, “serve la supervisione adulta“.

Giacomo Galeazzi: