Francesca Manfredi. Si chiamava così la ragazza di 24 anni morta, per ipotesi di overdose, nel bagno. Si trovava in casa di un amico dopo un sabato sera fatto di un giro per locali, alcol e droga, per poi tornare tutti a casa per continuare fino all’alba. Quella sera Francesca non si è sentita bene, allora gli amici decidono di farla sdraiare nella vasca piena d’acqua sperando che si possa riprendere presto. Ma così non accade. Ho immaginato questa ragazza, la vita che non avrà e gli amici che non aveva per finire in una comitiva in cui il collante era l’alcol, la droga e quel senso di solitudine che ti scavano dentro. In cui le serate erano una gara a chi si distruggeva di più per risvegliarsi il giorno dopo con quella sensazione di vuoto sempre più forte, sempre più profonda. Costantemente ignorata. Un richiamo quello dello “sballo” a cui è difficile dire no. Ancora più arduo è uscirne indenne. Si comincia con una bevuta ogni tanto, una canna, un tiro… e ci si ritrova a poco a poco anestetizzati, senza più grandi sogni nel cassetto e obiettivi da raggiungere.
Ma perché è così difficile spiegare a noi ragazzi quanto sia dannoso tutto questo per la nostra vita? Sinceramente non so rispondere. Gli input della società in questo senso che ai miei occhi sembra più un contro-senso sono veramente tanti. C’è il business, c’è la mafia, il guadagno facile e la tentazione di una scorciatoia, un mezzo facile per sopravvivere alla quotidianità. Dire no, essere un combattente nella vita è più difficile. Ma penso anche che se noi ragazzi fossimo più informati, ci dessero gli strumenti per dire no, per sfatare i mille luoghi comuni ad esempio sulle droghe leggere “che non fanno male” forse saremmo più consapevoli e forti di fronte al richiamo dello “sballo”.
Il dottor Daniele Prucher, chimico ed esperto in analisi tossicologiche forensi, ha spiegato a Interris.it come la cannabis – spesso ritenuta erroneamente quasi innocua – sia a tutti gli effetti una droga: “lo dimostra la miscela di principi attivi psicotropi presenti: il primo e più conosciuto dei quali è il THC, ma ad oggi non sono ancora tutti indagati. Negli ultimi tempi, un gruppo di studiosi italiani ha messo in evidenza un composto, il THCb della classe del THC che, anche se presente in piccole concentrazioni, è 33 volte più potente dello stesso THC. Questo vuol dire che la normativa che si basa sulla concentrazione del THC per definire se la cannabis è da droga o da fibra fallisce”. Di conseguenza – spiega Prucher – “tutti i cannabis shop che sono cresciuti nelle città e paesi come funghi sono dei luoghi di spaccio”.
Un altro mito da sfatare sulle cosiddette droghe leggere è il fatto che non procurino dipendenza: “La cannabis in mano ad un ragazzo dai 10 anni in su è il primo passo per la tossicodipendenza, poi si passa alla multi assunzione” afferma Prucher che aggiunge: “Fra i sintomi più frequenti ci sono alogia, aptia, appiattimento affettivo, asocialità, deliri, comportamenti bizzarri, disturbi del pensiero fino al delirio“.
Parlando con Daniele Prucher quello che emerge è un sincero e accorato appello ai giovani a non chiudersi in loro stessi e a non credere in quello che viene propinato loro da certi ambienti, da certe mode. “La migliore delle ‘droghe’, delle sensazioni appaganti – dice Prucher – è porsi degli obiettivi e cercare di realizzarli, soffrire anche per essi. Obiettivi anche semplici non devono essere per forza grandi”.
“La mia esperienza – aggiunge – mi ha portato a capire che bisogna parlare con i ragazzi la loro lingua e contattarli oggi nell’età 12-14 anni attraverso la scuola ad esempio”.
La fascia d’età indicata da Prucher è più o meno quella che le statistiche ci indicano per l’abuso dell’alcol, altre grande piaga sociale per i giovanissimi che arrivano a bere il loro primo bicchiere addirittura a 11 anni. Praticamente bambini.
Allora cari adulti, cari esperti, venite nelle nostre scuole e aiutate i ragazzi a sviluppare un pensiero critico. Accanto all’italiano, alla matematica, all’educazione civica inserite anche un percorso di prevenzione serio. Perché se qualcuno avesse parlato (e ascoltato) di più forse anche quella ragazza di 24 anni, morta qualche giorno fa oggi sarebbe viva.