Era il 18 gennaio di 105 anni fa quando, con il manifesto “Appello a tutti gli uomini liberi e forti” e la stesura del programma politico, nasceva il Partito popolare italiano. Nell’Europa appena uscita dalla Prima guerra mondiale, dove a est si compiva la rivoluzione bolscevica e a ovest stava per apparire il nazifascismo, i cattolici italiani, sollevati dal divieto dell’impegno politico con l’abrogazione del non expedit, venivano condotti da un sacerdote siciliano, don Luigi Sturzo, alla partecipazione civile. I valori che guidavano don Sturzo erano quelli della dottrina sociale della Chiesa e gli ideali a cui ambiva erano quelli di giustizia e libertà, anche al di fuori dei confini nazionali. Una visione politica innovativa e innovatrice, quella di don Sturzo, contenuta in un programma “riformista” che coniugava la giustizia sociale e un ideale di libertà – da quella religiosa a quella di organizzazione sindacale – “organico nel rinnovamento delle energie e delle attività”, come recitava il programma.
L’intervista
Per comprendere l’importanza della figura di don Sturzo e cosa ha rappresentato il Partito popolare italiano nella storia del nostro Paese, Interris.it ha intervistato il professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore Agostino Giovagnoli.
Chi è stato don Luigi don Sturzo?
“Un sacerdote siciliano che durante la sua formazione ha respirato il clima di forte attenzione ai problemi sociali dovuto all’enciclica ‘Rerum novarum’ del 1891. Lui, esponente della piccola aristocrazia della provincia dell’isola e uomo di grande cultura teologica, filosofica e storica, a Roma ha frequentato anche i quartieri popolari, come Testaccio e San Lorenzo, conoscendo la povertà e la miseria. In quegli anni la dottrina sociale della Chiesa muoveva i suoi primi passi e lui è stato fra coloro che hanno elaborato una riflessione che poi ne ha costituito il corpus. Tornato in Sicilia con questa attenzione ai poveri ha promosso tante attività sociali e ha organizzato il mondo dei lavoratori agricoli in una realtà ancora dominata dal latifondo. Poi da vicesindaco di Caltagirone ha, in un certo senso, mostrato una via per la politica ai cattolici, anche se non ancora a livello nazionale”.
Negli anni della rivoluzione bolscevica a est e del fermento da cui poi sarebbero venuti fuori fascismo e nazismo nell’Europa occidentale, don Sturzo teorizza la dottrina politica del popolarismo. In cosa consisteva?
“La sua idea di popolo era diversa dall’idea di nazione, quell’ideologia che aveva condotto alla tragedia della Prima guerra mondiale e nel dopoguerra ispirato movimenti come il fascismo. Sturzo pensava al popolo che si organizza dal basso e porta avanti una forte forma di solidarietà e anche rivendicazioni di carattere meridionalista – senza mettere però in discussione l’unità d’Italia. Riteneva inoltre che i cattolici potessero essere una forza propulsiva a livello sociale, prima ancora che a livello politico, e riflettendo sulla capacità di mobilitazione del cattolicesimo ha traghettato questa nuova forza a realizzare quello che lo Stato liberale, che era ancora di notabili, di élite, non era riuscito a fare. In questo scenario lui è stato ‘intransigente’, voleva che i cattolici cambiassero questa struttura sociale – che nel Meridione conservava ancora una struttura quasi feudale”.
Cosa ha significato il ritorno dei cattolici alla politica e cosa ha rappresentato il Partito popolare per la politica italiana?
“Secondo lo storico Federico Chabod la nascita del Partito popolare è stato l’evento più importante del XX secolo italiano. Il Ppi ha effettivamente portato in politica i cattolici italiani, che erano tanti e che rappresentavano una forza principale ancora assente nella politica nazionale. L’ingresso delle masse popolari nello Stato italiano, che aveva poco radicamento, ha consentito di cambiarlo dall’interno e ha permesso che si instaurassero nuovi rapporti tra i cattolici e la società italiana, permettendo ai primi di uscire da una sorta di ghetto politico e culturale.”
L’appello agli uomini liberi e forti è a un anno di distanza dalla fine della Grande guerra. Usando termini di oggi, qual era la sua visione “geopolitica”?
“Durante la Prima guerra mondiale Sturzo era stato interventista, quindi a favore del conflitto con l’Austria, ma papa benedetto XV assunse una posizione contro la guerra, definendola un’‘inutile strage’, così nel 1919 Sturzo si è battuto per la pace, sostenendo che la collaborazione internazionale fosse la cosa più importante su cui bisognava contare. Riteneva fondamentale che nel mondo post bellico anche l’Europa trovasse la sua unità, infatti era contrario al nazionalismo che stava sorgendo in quegli anni”.
Qual è il lascito di don Sturzo?
“Sturzo è stato un grande maestro di democrazia. L’Italia del 1919 non era un’Italia democratica e lui ha dato un impulso enorme a questo processo, prima di essere fermato dal fascismo. La sua eredità ha permesso che nel secondo dopoguerra nascesse la Dc e che si affermasse la democrazia. La pace e la democrazia sono stati i pilastri del pensiero politico e della sua azione pratica”.