Per tre ore, questa sera, la facciata del palazzo di Montecitorio a Roma si colorerà di blu, dalle 20:30 fino alle una del mattino del settembre. Questo perché la Camera dei deputati ha scelto di aderire all’iniziativa “Blue Light for Sign Languages”, l’evento internazionale sui temi delle lingue dei segni. E’ infatti il 23 settembre la data in cui, a livello mondiale, si celebra la Giornata internazionale della lingue dei segni, giunta alla quarta edizione dopo la prima del 2018. Sono infatti circa 300 le lingue dei segni utilizzate nel mondo dalle circa settanta milioni di persone sorde, secondo la World Federation of the Deaf, una federazione di 135 associazioni nazionali di sordi.
Per l’occasione, Interris.it ha intervistato la vicepresidente e il consigliere nazionale di Anios associazione interpreti di lingua dei segni italiana, Maria Dellino e Marcello Cardarelli.
L’intervista
Cos’è una lingua dei segni?
Dellino: “Si tratta di una lingua storico-naturale che ha avuto uno sviluppo di tipo gestuale, non di un ‘codice scritto a tavolino’. Le comunità delle persone sorde hanno sviluppato la lingua tramite canale visivo, al posto di quello uditivo. Ogni comunità ha una propria lingua storico-naturale corrispondente, le lingue dei segni sono tante quante le lingue vocali sono le lingue dei segni e sono soggette a evoluzione, con segni che vengono perduti e neologismi introdotti”.
Cardarelli: “Anche dentro una lingua dei segni si registrano delle varianti locali, ma si mantiene comunque una certa intelligibilità in quanto si tratta di una lingua iconica”.
Cos’è Anios?
Cardarelli: “L’associazione è nata il 17 giugno 1987 ad Ancona, al termine di un corso interpreti fatto dalla Regione Marche, dall’idea di voler mettere insieme degli interpreti professionisti. Inizialmente regionale, si è poi allargata”.
Dellino: “Oggi Anios si occupa della rappresentanza dei nostri iscritti, l’aggiornamento, la formazione continua e l’interlocuzione. Siamo iscritti al Ministero dello Sviluppo economico e, come da le 4/2013, rilasciamo l’attestazione di qualità e di qualificazione professionale a chi ha assolto l’obbligo formativo.”.
Come si diventa interpreti in Italia?
Cardarelli: “Finora si seguiva un corso di formazione specifico di 1.200 ore totali, seguito poi da un corso biennale per conseguire il titolo di interprete. Questo fino alla recente introduzione della nuova normativa. In seguito all’approvazione dell’articolo 34 ter del decreto Sostegni, la professione, oggi professione regolamentata dal ministro con delega per le disabilità di concerto con il ministro dell’università e della ricerca, si passerà a un regime di tipo universitario: una laurea professionalizzante triennale ad hoc. Avremmo auspicato una laurea magistrale, poiché gli ambiti della nostra professione sono tanti e oggi è importante approfondire i linguaggi settoriali per garantire un altissimo livello di professionalità. Nel resto d’Europa è così da anni, la comunicazione e l’accesso alle corrette informazioni, alle nozioni, devono essere sempre accessibili, l’interpretariato permette alle persone non udenti di esprimersi”.
In quali occasioni operano gli interpreti?
Dellino: “La funzione dell’interprete è necessaria in ogni ambito per la comunità della persone sorde, non si tratta di un servizio ‘cucito’ sulle singole persone ma di garantire l’accessibilità ai vari servizi, dalla vita quotidiana a quella sociale e istituzionale. Quello che spesso salta agli occhi sono gli interprete nei telegiornali o sulle piattaforme, esiste anche l’interpretariato per le lezioni universitarie, per le conferenze, come quello di trattativa. Oggi una nuova ‘frontiera’, preesistente al periodo pandemico ma ora molto più diffuso, è la modalità dell’interpretariato su video da remoto”.
Quanto la società è sensibile ai bisogni delle persone sorde?
Cardarelli: “La sensibilità c’è perché siamo un Paese con una grande volontà di fare le cose, ma le difficoltà che queste persone vivono tutti i giorni si superano solo mettendole nelle condizioni di accedere ai servizi che consentano loro di vivere come tutti gli altri. Abbiamo recepito la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ma non vengono presi in considerazione tutti i punti e c’è difficoltà nell’approvare leggi veramente inclusive”.
C’è un sentire solidale, inclusivo, nello scegliere questa professione?
Cardarelli: “Ci sono approcci diversi tra chi vive all’interno e chi all’esterno della comunità delle persone sorde. Chi la vive ‘da dentro’, lo fa da sempre in maniera molto pratica, mentre per chi viene da fuori magari ci può essere dapprima una fascinazione per il mondo della lingua dei segni, poi se ne scopre la complessità”.