La dimensione ludica dell’educazione preventiva salesiana è stata analizzata da don Francesco Motto per le Note di pastorale giovanile. Fondatore e a lungo coordinatore dell’Istituto Storico Salesiano, per 20 anni ha diretto la rivista “Ricerche Storiche Salesiane”. Don Motto ha pubblicato l’edizione critica in 10 volumi dell’epistolario di San Giovanni Bosco. E ha organizzato e coordinato seminari e convegni continentali e internazionali in Europa, America, Asia ed Africa. “Voglio proprio che stiamo allegri di anima e di corpo. E che facciamo vedere al mondo quanto si possa stare allegri di anima e di corpo, senza offendere il Signore”, scrisse don Bosco. Spiega Motto: “Fautore di un’antropologia umanista, don Bosco desidera anzi porre in azione tutte le potenzialità del giovane, nell’arduo tentativo, a lui riuscito, di armonizzare sistema preventivo e libertà”. A chi lo accompagnava nella visita all’ospizio romano di San Michele a Ripa, don Bosco un giorno disse: “Io pure esigo, in certi tempi della giornata, il silenzio. Ma non bado a certe piccole trasgressioni cagionate dall’irriflessione. Del resto lascio ai miei figliuoli tutta la libertà di gridare e cantare nel cortile, su e giù per le scale. Soglio raccomandarmi soltanto che mi rispettino almeno le muraglie. Meglio un po’ di rumore che un silenzio rabbioso o sospetto”.
Gioia salesiana
Nella pratica e nella teoria pedagogica, evidenzia il professor Motto, la gioia assume così anche una finalità soprannaturale. Fondata sull’ottimismo antropologico e sulla speranza cristiana. Ben compresero le sue parole gli allievi di Valdocco, se uno di loro, Domenico Savio, dirà ad un compagno “Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri“. Francesco Orestano definisce Don Bosco l’educatore che “santificò il lavoro e la gioia. Egli è il santo della eutimia cristiana, della vita cristiana operosa e lieta“. Uno dei momenti metodologicamente più cruciali dell’azione educativa è “l’incontro cordiale, spensierato, casuale, in cortile, nel gioco”. Nella concezione preventiva salesiana il tempo e il modo migliore per conoscere i giovani e diagnosticarne i bisogni è proprio il cortile. Dove l’educatore convive con loro in clima di spontaneità e di familiarità. “Nel cortile, forse più ancora che in chiesa e a scuola, Don Bosco e i giovani collaboratori formati alla sua scuola compirono il meglio della loro opera educativa“, osserva Motto. Guardato dalla parte dell’educatore il cortile è il campo della sua “arte educativa”. A Valdocco un insieme di “feste” scandivano il ritmo della vita scolastica e collegiale, eliminavano la noia. E lo stress del terribile quotidiano sempre uguale a se stesso. E si caricavano altresì di una valenza educativa di notevole portata. Tutta la comunità educativa era entusiasticamente coinvolta nelle prove delle varie esecuzioni e delle rappresentazioni teatrali. Come pure nella preparazione della casa ai solenni ricevimenti. E cioè pulizia degli ambienti, tavoli delle lotterie, pesca di beneficenza, tavola delle vendite di dolci e alimentari. Tutto ciò anticipava in qualche modo la festa, determinava l’autentica riuscita e ne prolungavano l’efficacia benefica.
Duplice volto
Nella concezione educativa di Don Bosco le feste assumono un duplice volto. Quello religioso e quello profano, quello della fede (confessione, comunione, Messa). E quello della gioia intensa (giochi, mensa più abbondante, canto, musica, teatro…). “In effetti a Valdocco il vertice di ogni festività era costituito dalla comunione eucaristica, possibilmente generale, previa confessione- sottolinea don Motto-. Tutta la giornata poi, specie quelle più solenni, era scandita da più ricchi apprestamenti a tavola, da musiche vocali e strumentali, da armonie di banda musicale in cortile, da teatro nel tardo pomeriggio. E da fuochi d’artificio la sera” .La giovinezza è l’età della musica e del canto. Dunque a Valdocco anche queste due “arti”, inizialmente semplici mezzi per attirare i giovani, assunsero presto una funzione pedagogica: educare mediante l’allegria, l’atmosfera serena, l’affinamento del gusto estetico e dei sentimenti consono alla musica. Nota dovunque è la felicissima espressione di Don Bosco: “Un oratorio senza musica è un corpo senza anima“. Nell’oratorio di Valdocco si era partiti in modo molto artigianale, con un minimo di strumenti musicali e di voci: “La musica dei ragazzi si ascolta col cuore e non con le orecchie“, ha detto Don Bosco in riferimento a quei primi tempi. Ma successivamente si ebbe un complesso bandistico, un organo di notevolissimo valore. E valenti compositori che riscossero anche qualche successo a livello nazionale, un grande coro polifonico. Oggetto di ammirazione in occasione delle grandi celebrazioni nella basilica di Maria Ausiliatrice. O in altre località in cui erano invitati.
Volontariato
“Le intuizioni di Don Bosco sembrano resistere all’usura del tempo e reggere piuttosto bene di fronte ai cambi socio-culturali del nostro tempo. Primo fra tutti quello del tempo libero, oggi infinitamente più ampio che non quello, quasi inesistente, dei giovani di Don Bosco– sostiene Motto-. Anche le possibilità di attività fisico-sportive, musicali, turistiche, artistiche, culturali, di volontariato, massmediatiche sono aumentate a dismisura. Chi si ispira al sistema preventivo le apprezza e le promuove come palestra di formazione ai valori della persona e della comunità, ai valori umani – non puramente strumentali in ordine alla salvezza – e a quelli spirituali”. Non sono però esenti i rischi: tempo libero da “ammazzare” più che da “usarne” in funzione educativa. Attività sportive come semplice competitività o modalità di guadagno. E non scuola di formazione alla collaborazione, sacrificio, disciplina, generosità, lealtà, rispetto dell’avversario. Attività musicali, teatrali, filmiche, associative che degenerano in strumenti o occasioni di obnubilamento delle coscienze, scatenamento degli istinti più reconditi ed incontrollabili anziché giusta distensione dopo lo studio e il lavoro. Spazio di crescita, acquisizione di competenze, sviluppo di doni naturali. Possibile spazio educativo per la piena espansione della esuberante vitalità della gioventù di oggi.
Solidarietà
La lezione salesiana del gioco come opportunità formativa si è diffusa ovunque nella società. Ne è un esempio un’esposizione in corso nel capoluogo lombardo. Sessant’anni e non sentirli. A Palazzo Bovara, a Milano, è stata inaugurata la mostra-evento dedicata a Scarabeo, il gioco di parole per antonomasia lanciato nel 1963. Per l’occasione, sei giovani artisti hanno reinterpretato sei parole che hanno fatto la storia degli ultimi 60 anni, trasformate in opere d’arte per il pubblico milanese. Il ricavato della vendita delle opere sarà devoluto all’Anffas, l’associazione che supporta persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo. L’evento gratuito ha come madrina Benedetta Parodi. Riccardo Ricca, Giacomo Zornetta. Matteo Piccolo alias TETI, Sofia Fresia. Andrea Gallotti e Francesco Bambace. Sono i sei artisti italiani che hanno trasformato, ciascuno con il proprio stile, sei parole rappresentative degli ultimi sei decenni in sei opere d’arte. Si comincia dalla parola “Famiglia” scelta per rappresentare gli anni ’60. Mentre la parola scelta per gli anni ’70 è “Maternità”. Sono questi gli anni della rivoluzione femminista e delle prime leggi che tutelano le donne madri e lavoratrici, come la legge 1044 del 1971 che istituì gli asili nido. Per i ruggenti anni ’80 la parola scelta è “Ribellione”. Mentre “Perdono” rappresenta i ’90, “Caos” è la parola simbolo degli anni 2000. E “Anima” quella degli anni 2010 dove in risposta a un mondo caratterizzato dal materialismo e dall’individualismo, si affermano le grandi battaglie portate avanti dalle giovani generazioni di tutto il mondo. Dalla lotta per l’ambiente con il Friday for future di Greta Thunberg alle grandi rivoluzioni globali, come la Primavera araba, che grazie ai social diventano battaglie collettive, condivise dai giovani di tutto il mondo.