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La testimonianza di Giacomo: “Io omosessuale non credo nel ddl Zan”

Una voce fuori dal coro, che racconta a Interris.it il suo punto di vista sulla proposta di legge

Mentre è ancora in discussione in Parlamento il “Ddl Zan” si divide l’opinione pubblica sull’opportunità di questa legge e il dibattito è quanto mai aperto. Da una parte coloro che considerano la legge sull’omofobia pericolosa e liberticida, dall’altra chi la giudica necessaria.

I contrari al ddl Zan

“Il vero obiettivo della proposta di legge Zan è quello di introdurre un reato d’opinione. Reprimere idee e punti di vista diversi che non hanno argomenti per affrontare è un antico vizio di qualcuno e non vuol dire costruire la modernità. Si chiama regime e noi lo combattiamo“. E’ quanto ha detto la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, intervendo a Roma, lo scorso 14 luglio, alla presentazione del libro “Omofobi per legge? Colpevoli di non aver commesso il fatto”, curato da Alfredo Mantovano.

Per Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, intervenendo sul tema aveva dichiarato che “non è in gioco la non discriminazione delle persone con orientamento omosessuale, su cui tutti siamo concordi, bensì il rischio di indottrinamento dei bambini fin da piccolissimi sull’ideologia gender, come previsto dall’articolo 5″.

Intervistato da Interris.it, il professore Massimo Gandolfini, leader del Family Day, aveva dichiarato: “Si parte da un’istanza assolutamente condivisibile e di alto valore, ma la si usa come un ‘cavallo di troia’ per far passare qualcosa che nulla a che fare con quella tematica. La lotta alla discriminazione e la violenza alle persone non deve passare attraverso l’elaborazione di una legge che impone di pensare in un determinato modo, magari in contrasto con i valori morali, antropologici e filosofici. Sarebbe un’imposizione dittatoriale. Esiste già tutto lo strumentario giuridico necessario per tutelare ogni cittadino italiano, ivi comprese le persone a condotta omosessuale”.

Le dichiarazioni dell’onorevole Zan

Nonostante molti non ritengano la legge sull’omotransfobia della massima priorità, l’onorevole Alessandro Zan ha parlato di un avvenimento storico, “un successo e un segnale di civiltà per dare piena dignità a tutte le persone del nostro Paese”.

In pratica il decreto legge Zan vuole estenderla ai reati di violenza “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Si vorrebbe poi istituire, il 17 maggio, la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”.

Favorevole al ddl sull’omotransfobia la consigliera regionale del Lazio come capogruppo della Lista civica Zingaretti, Marta Bonafoni che ha dichiarato che “il testo Zan dia i mezzi necessari per rispondere all’odio“.

Una voce fuori dal coro

Il ddl Zan ha creato diversità di opinioni tra le persone che a condotta omosessuale. Non tutti, infatti, credono che questa legge serva a tutelarli. “Sono stato vittima di violenza. E’ un aggressione. Va condannato il gesto, al di là del fatto che io sia omosessuale” spiega Giacomo a Interris.it che, per tutelare la sua privacy ha chiesto che non venga diffuso il suo cognome. Lo abbiamo intervistato e, nel raccontarci la sua storia, ha voluto esprimere il suo parere fuori dal coro.

Presentati…
“Ho appena compiuto 50 anni e sono di origine pugliese, anche se vivo nella provincia di Rimini. Sono l’ultimo di 5 fratelli, cresciuto in una tradizionale famiglia benestante. La classica famiglia meridionale, raccolta attorno al tavolo in cucina, dove però i figli non sempre vengono ascoltati. Mio padre era ingegnere e mia madre costumista teatrale e sarta di alta moda. Sono laureato in danza e composizione coreografica e ho lavorato come ballerino e coreografo in produzioni internazionali. Sono arrivato alla fede attraverso un cammino con il Rinnovamento nello Spirito Santo, grazie al quale è avvenuta la mia conversione. Dopo tante esperienze, ho conosciuto la Comunità Papa Giovanni XXIII, dove ho trovato la possibilità di esprimermi: da 4 anni condivido in una casa del progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati) e da 2 anni mi occupo della parte educativa. Inoltre, ho portato la “danzaterapia” in un Centro diurno della Comunità: un’esperienza bellissima insieme ai ragazzi con disabilità”.

Come hai scoperto il tuo orientamento omosessuale?
“Non so perché sono così e non posso dire di essere nato così. Rielaborando la mia storia ho pensato potesse essere anche collegato a un trauma che ho vissuto nell’infanzia, ma non ne sono certo. Non mi considero malato o da meno degli altri però, dopo la mia conversione, ho chiesto tante volte a Gesù: ‘Guariscimi! Oppure fammi capire perché mi lasci così’. Sono una persona che ha vissuto tante cose e non mi definisco con l’etichetta ‘omosessuale’. Quando ho capito che Lui è morto anche per me, qualcosa è cambiato”.

Come hai vissuto l’essere discriminato o, come si dice adesso, “bullizzato”?
“I bulli ci sono sempre stati! A scuola mi prendevano in giro perché ero “diverso”, timido e riservato. Non riuscivo a difendermi eppure non ho mai negato la mia omosessualità. Però riconosco che, come me, venivano presi di mira tanti altri compagni, per mille motivi diversi: quello con i brufoli, quella sovrappeso, quello con gli occhiali… I bambini possono essere spietati nella loro ingenuità. All’epoca un bambino che faceva danza era già ‘finocchio’ in partenza! Nel lavoro invece non ho avuto problemi, non tanto perché nel mondo dello spettacolo l’omosessualità è sdoganata, o perché la promiscuità è spesso strumento per fare carriera, quanto per il rispetto che mi sono guadagnato come persona. Quando ho iniziato a insegnare balletto classico sono diventato punto di riferimento per i miei alunni, che mi raccontavano le loro esperienze… poi i genitori passavano da me per sapere come stavano i figli”.

Cosa ricordi delle prime esperienze affettive?
“Potrei dire: ‘Credevo fosse amore… e invece era tutt’altro’, era seguire gli impulsi del proprio corpo, conoscersi attraverso il corpo. Il primo vero amore l’ho vissuto al primo anno di Accademia. È stata una conoscenza bella e pulita, non rivolta a scoprire il sesso, fatta di lunghe chiacchierate, affetto, coccole… In questo aspetto sono sempre stato molto ‘maturo’, ho sempre cercato una persona per costruire qualcosa, non sono interessato ai rapporti occasionali”.

Credi quindi nella possibilità di una relazione omosessuale fedele e stabile nel tempo?
“Sì, nel momento in cui uno si prende cura dell’altro, facendo un cammino assieme con l’obiettivo di edificare e non distruggere. L’amore non è semplicemente sesso. Conosco alcune coppie di amici che sono insieme da tanti anni, alcuni di loro fanno un cammino di fede seguito da un sacerdote”.

Qual è stata la storia più importante?
“Ho conosciuto l’uomo con il quale volevo passare la mia vita un po’ per caso, non ho mai frequentato i posti ‘per omosessuali’. Per qualche anno ci siamo frequentati e ho resistito alle sue continue richieste di andare a convivere, ho continuato a lavorare, diminuendo il ritmo per trascorrere del tempo con lui. Poi, a un certo punto, ho sentito che era arrivato il momento di mettere radici: il mio lavoro mi portava continuamente in giro, praticamente vivevo negli aerei! Però il mio sesto senso mi diceva che qualcosa non andava: gli volevo bene, ero innamorato… ma non ero sereno. Quando siamo andati a vivere insieme abbiamo avviato un progetto di agriturismo nel Salento. Poi, fianco a fianco nel quotidiano, mi sono accorto che aveva un problema di dipendenza dall’alcool. È stato devastante. Il mio primo istinto è stato quello di salvarlo, poi mi sono reso conto che non potevo aiutarlo finché lui non riconosceva il suo problema. È andato tutto a rotoli, è stato penoso e doloroso. Mi sono ritrovato con un pugno di mosche perché, nel frattempo, avevo lasciato il mio lavoro e avevo interrotto i rapporti legati al lavoro”.

Come hai reagito?
“Ho deciso di lasciare tutto! Ho chiamato il responsabile del RnS in Puglia e gli ho spiegato che volevo andare via e rifarmi una vita, senza voltarmi indietro. Lui mi ha detto era arrivato il mio momento e mi ha dato il numero di Walter, responsabile di una casa famiglia nella zona di Barletta-Andria-Trani. Avevo conosciuto la Comunità Papa Giovanni seguendo Don Oreste in TV, però attraverso Walter ho incontrato veramente la Comunità, mi si è aperto un mondo nuovo e c’è stato un cambiamento di vita radicale”.

Cosa ti manca?
“Sinceramente non sento la mancanza del palcoscenico, perché mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto tanto. Mi manca, invece, il poter trasmettere a qualcuno quello che ho vissuto. Ritornerei molto volentieri ad insegnare e a fare coreografia, per dare una continuità e un senso al mio essere artista… forse però non è ancora tempo”.

La fede ti ha aiutato o ostacolato nella vita?
“Mi sono sempre sentito accompagnato e amato, anche nella disperazione, soprattutto nei momenti critici della vita. Non ho mai avuto un attimo di dubbio sull’esistenza di Dio, nella sofferenza e nel dolore mi aggrappavo ancora di più a Lui”.

Che cos’è per te la libertà?
“La mia libertà è poter guardare un bellissimo tramonto, riconoscendo chi l’ha creato e dire ‘sì’ a quello che vedo. La libertà è dire ‘no’ a quello che è contro la legge della natura! Penso che l’utero in affitto sia una grandissima forma di sfruttamento e di prostituzione, dove chi ha soldi approfitta della debolezza e della miseria di una donna per ‘comprarsi un figlio’. Sono contrario anche all’adozione per le coppie omosessuali, perché penso che ogni bambino abbia diritto di avere una mamma e un papà. Per me è libertà non pensarla come le persone che vivono in una gabbia dorata, nel mondo dell’omosessualità dei salotti con i suoi giudizi e pregiudizi. Io posso fare una manifestazione per far valere i miei diritti in giacca e cravatta o in jeans e maglietta, senza bisogno di andare in giro vestito da arlecchino. Perché mi devo ghettizzare e rendere ridicolo? Non è questo che mi fa sentire libero, anzi mi fa sentire con un marchio addosso. Io non ci sto”.

Cosa pensi del Ddl Zan, la cosiddetta legge contro l’omotransfobia?
“Circa un anno fa ho subito un aggressione nel parcheggio di un supermercato, da parte di un ragazzo di colore che non avevo mai visto prima. Ho pensato tante cose… poi mi sono detto: ‘É un aggressione. Va condannato il gesto, al di là del fatto che io sia omosessuale’. È stata una violenza che va giudicata in quanto tale, a prescindere dal fatto che chi l’ha commessa sia omofobo o non lo sia. Io condanno l’atto in sé, quello che c’è dietro non mi interessa. Non condivido i principi ispiratori di questo decreto, gli omosessuali non devono essere una ‘categoria protetta’, la discriminazione e la violenza vanno condannati in quanto tali e non perché rivolti ad un particolare gruppo di persone. Mi rendo conto però che dissociarsi vuol dire anche esporsi, lottare contro i mulini a vento e scontrarsi contro il muro di cemento di una lobby molto potente”.

Che rischi vedi qualora fosse approvato il Ddl Zan?
“In questo momento storico caratterizzato dalla pandemia, fame, guerre e malattie riconosco che il DDL Zan possa essere addirittura un pericolo. L’uomo non può permettersi di distruggere ciò che Dio ha creato. Io mi sento parte del creato, Lui mi ha pensato e ha soffiato nel grembo di mia madre che mi ha concepito e dico ‘no’ a questa visione dell’uomo, governata da una falsa libertà che non si misura con il rispetto per chi la pensa diversamente.

Cosa vorresti adesso dalla vita?
“Non so. Da una parte vorrei che il Signore mi guarisse, gli chiedo di farmi capire perché io sono così, cosa vuole da me… Dall’altra ho ‘elaborato il lutto’ e alla fine sto bene così, sono gli altri che a volte mi fanno sentire sbagliato perché vedono prima la mia omosessualità, di Giacomo come persona. Voglio essere trattato da persona, non da omosessuale e, come ogni persona, desidero essere amato, rispettato, riconosciuto. Alla fine però credo che il segreto sia ‘incontrare Dio’, fare l’esperienza dell’abbraccio di Gesù che è morto e risorto per me e per te… altrimenti la vita è un vagare nel buio”.

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