Da molti giorni, prima in Germania e poi in Francia, Italia e altri Paesi europei gli agricoltori stanno scendendo in piazza per far sentire la loro voce contro l’aumento dei costi di produzione e per la diminuzione dei prezzi a cui vengono pagati i loro prodotti. Interris.it, in merito alle motivazioni più profonde della protesta e alle necessità di tutelare l’ambiente, ha intervistato il dott. Angelo Gentili, responsabile nazionale agricoltura di Legambiente.
L’intervista
Dottor Gentili, quali sono le radici delle proteste degli agricoltori? Qual è la posizione di Legambiente in merito?
“Gli agricoltori sono scesi in piazza in diversi paesi europei e stanno protestando in maniera molto forte. Ci sono una serie di ragioni della protesta che noi condividiamo ma, dall’altra, una serie di altri motivi che vengono posti e non condividiamo. Questo è un momento molto difficile per gli agricoltori, soprattutto le piccole e medie aziende, che stanno soffrendo per effetto della guerra in Ucraina, della situazione economica e per la somma di atri fattori, come l’aumento vertiginoso dei costi di produzione e una diminuzione dei prezzi a cui vengono pagati i loro prodotti. Ciò, di conseguenza, si traduce in un reddito molto basso, che crea una situazione precaria, difficile e grave, contingentemente ad una stabilità economica che manca da parte di chi, come l’agricoltore, svolge la propria attività a cielo aperto. Di contro, ci sono anche una serie di effetti legati in maniera molto forte ai cambiamenti climatici, come ad esempio la siccità, le alluvioni, le grandinate e le gelate che hanno ridotto fortemente la produttività degli agricoltori e li hanno messi a dura prova. Inoltre, rispetto alle procedure di sostegno e finanziamento del settore agricolo, c’è una crescente burocrazia. Tutto questo crea un contesto difficile che esaspera gli animi. L’altra ragione della protesta, che noi non condividiamo, è quella di avere come obiettivo e nemico il ‘Green Deal’, ovvero il processo che sta compiendo l’Europa per arrivare ad avere zero emissioni entro il 2050, ridurre le emissioni di gas serra sempre entro quell’anno e fare il modo che ci siano alcuni obiettivi anche per il modello agricolo europeo. Penso, ad esempio, alle strategie europee ‘Farm to Fork’ e ‘Biodiversità’ che prevedono l’utilizzo del 50% in meno di antibiotici nell’allevamento, il 50% in meno di fitofarmaci, il 20% in meno di fertilizzanti, l’incremento del 10% delle aree ad alta biodiversità e il raggiungimento del 25% di aree destinate al biologico entro il 2030. Il ‘Green Deal’ e le sue applicazioni vengono viste come un nemico, anche se sono state realizzate da poco e non possono aver provato una situazione come questa ma anzi, semmai, il ‘Green Deal’, è il percorso che sta facendo l’Europa per fronteggiare i cambiamenti climatici che rendono sempre più precaria la dimensione agricola. Certamente gli agricoltori soffrono e vivono una situazione di grande difficoltà, ma non condividiamo il fatto di prendersela con il ‘Green Deal’ perché, in questo modo, si arriverà al punto in cui, i danni, saranno maggiori rispetto alle condizioni positive che loro auspicano e, dal nostro punto di vista, un percorso del genere, non ha senso”.
Quali sono gli auspici di Legambiente per contemperare le richieste degli agricoltori ad una agricoltura più sostenibile?
“Noi pensiamo che la ricetta non sia quella di favorire un’agricoltura sempre più intensiva e inquinante che, di conseguenza, crea una serie di situazioni negative, sia per quanto riguarda gli ecosistemi che sul versante della qualità dei prodotti. Questa non è una tipologia di agricoltura che può garantire nuovi posti di lavoro o essere competitiva dal punto di vista economico. L’agricoltura intensiva, ovvero ad alto impatto ambientale, può essere solamente assistita. Nel corso dei decenni, anche da parte della Pac, ci sono stati molti errori perché, molto spesso, sono stati elargiti contributi a pioggia, senza favorire le medie imprese ma solo quelle più grandi e ciò sicuramente è stato un danno. Vanno valorizzate invece le piccole imprese e i piccoli agricoltori che, ogni giorno, si fronteggiano nei territori rispetto alle tematiche della tutela ambientale e della produzione agricola. Occorre investire di più sull’agroecologia, sul versante della riduzione della chimica e, di conseguenza, sull’agricoltura integrata e sull’incremento dell’agricoltura biologica che deve diventare l’apripista dello sviluppo. Bisogna però fare tutto questo dando agli agricoltori minore burocrazia, supporti adeguati dal punto di vista tecnico nonché assistenziale e scenari che possano garantire loro un aumento del reddito. È assurdo che il prezzo dato a un agricoltore per un prodotto è molto basso e invece, di contro, per il consumatore finale, è molto alto. Evidentemente, anche nella catena agroalimentare, ci sono effetti speculativi oppure si importano prodotti dall’estero che mettono in ginocchio i nostri agricoltori. Deve essere assicurato loro un reddito dignitoso e un’assistenza adeguata ma, nello stesso tempo, occorre unire la dimensione del mondo agricolo con il ‘Green Deal’ e con la transizione ecologica. Senza quest’ultima, sia sulle emissioni che sulla riduzione degli impatti, non c’è futuro, né per l’agricoltura né per il pianeta. Dobbiamo garantire una vita degna agli agricoltori nonchè alla loro professione e, nello stesso tempo, tutelare la salute del pianeta e il diritto ad un prodotto più salubre per i consumatori”.