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Gatti: “Il cuore della democrazia, partecipazione e lotta alle disparità”

Parafrasando la nota canzone di un cantautore italiano, “democrazia è partecipazione”. Non solo negli alti ideali vive, infatti, questa forma di convivenza civile, ma nella pratica quotidiana per garantire a tutti quelle condizioni che li rendano liberi, uguali e uniti. E sono proprio queste attività al centro della cinquantesima edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia, in corso a Trieste dal 3 al 7 luglio. Il titolo dell’iniziativa è “Al cuore della democrazia”, perché l’obiettivo è puntato su quelle esperienze concrete, vive, trasmissibili che ne sono il nocciolo, per ringiovanire e infondere energia alla democrazia.

Il programma

Due figure istituzionali, rispettivamente in chiusura e in apertura dei lavori, per ricordare quali sono i valori della democrazia e per spronare a metterli in pratica giorno per giorno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella giornata inaugurale, il 3 luglio, e papa Francesco domenica 7 luglio. Nel mezzo, eventi ed attività che coinvolgono i 1500 delegati provenienti da tutta Italia, dalle parrocchie alle aggregazioni laicali, che nei “Laboratori della partecipazione” si scambieranno esperienze, contenuti e punti di vista per rafforzare incoraggiare a fare ciascuno la propria parte, rifletteranno sui tanti temi della Settimana, nelle “Piazza delle democrazia” come nei “Villaggi delle buone pratiche” porteranno testimonianze e approfondimenti. Interris.it si è fatto spiegare tutto questo da Sergio Gatti, componente del Comitato scientifico e organizzatore di questa edizione.

L’intervista

Cosa c’è, o ci dovrebbe essere, al cuore della democrazia?

“La partecipazione quotidiana e la riduzione delle disuguaglianze. La democrazia non tollera oltre certi livelli di disparità nei servizi e nelle opportunità, ma di recente l’Istat ha pubblicato dati preoccupanti sulla differenza di reddito pro capite tra Nord e Sud Italia. Nel Meridione assistiamo al ‘degiovanimento’, ci sono meno giovani sia perché emigrano sia perché la denatalità è più forte che in altre regioni italiane. Tutto questo converge verso il fatto che ci sono differenze di condizioni, col dato sul lavoro femminile molto basso, e di accesso ai servizi come scuola, sanità e assistenza. Queste cose non sono più tollerabili e la leva principale per ridurre le disuguaglianze è il lavoro”.

In tempi di astensione e disimpegno crescenti, come ricostruire la partecipazione al bene comune dal basso?

“La prima indispensabile attività è la costante educazione alla democrazia. Non dobbiamo darla per scontata, è un corpo vivo e non basta sia scritta su carta. Fin dalla più tenera età occorre quindi fare esercizi di democrazia, anche con una didattica modernamente interpretata che si adatta al bambino, al ragazzo allo, studente universitario o al giovane lavoratore. La seconda è la consapevolezza nel distinguere cosa è salutare per la democrazia e ciò le nuoce, per esempio se depositiamo i nostri risparmi in una banca magari per riscuotere un certo interesse è meglio sapere in quali investimenti possono andare quelle risorse, perché potrebbero anche ‘passare’ per un Paese non democratico. La terza attività è contribuire alla fiscalità generale. Se partecipiamo alle spese di tutti ci incamminiamo verso una democrazia migliore”.

Com’è strutturata la settimana sociale?

“I delegati saranno invitati a coniugare in maniera concreta il verbo ‘partecipare’ nel corso dell’iniziativa. Vorremmo che tutti portassero poi con sé tecniche di partecipazione e percorsi sperimentali per coinvolgere la popolazione, che saranno illustrati ogni mattina. Ci saranno riflessioni originali, alte, sulle sfide del presente non solo riguardo l’Italia ma allargate all’Europa e le relazioni intitolate ‘In prima persona’ per capire come costruire e abitare la casa comune della democrazia, contestualizzando ogni volta l’intervento. I cittadini interessati possono venire ad assistere alle Piazze della democrazia, ai Laboratori della partecipazione e ai Villaggi delle buone pratiche, che abbiamo già sperimentato a Cagliari e Taranto Ogni tema non è solo un’occasione di denuncia o di esibizione di ciò che funziona, ma di raccontare e mostrare decine di esperienze”.

Quali sono i temi centrali di questa edizione?

“Dall’educazione all’ambiente, dalla relazione all’economia civile. E’ bene ci sia ampiezza di contenuti e di persone di diversa estrazione, dagli accademici agli imprenditori come i sindaci e le sindache anche di piccoli paesi”.

A proposito di luoghi, perché stavolta a Trieste?

“E’ una città simbolo e un crocevia di diversità. Nel secolo scorso è stata una città martire di due conflitti mondiali e si è trovata al confine tra tre culture, quella italiana, quell’austriaca finché c’era l’impero e quella slava. Avremo anche minoranze slovene. Inoltre, è un po’ anche un luogo d’inciampo, perché sappiamo che la rotta migratoria balcanica è altrettanto importante di quella che passa per il Mediterraneo. Quest’anno la nostra volontà è di parlare di temi importanti anche un po’ sporcandosi le mani, evidenziando le contraddizioni”

Una delle novità di questa edizione è il nome, non più “cattolici italiani” bensì “cattolici in Italia”. Perché? Il riconoscimento pluralità porta a unità dei diversi?

“Perché nel nostro Paese e nelle nostre comunità ci sono anche cattolici non italiani. Quando parliamo di democrazia, salute e lavoro parliamo di quello che interessa e riguarda tutti, non solo una parte. Vogliamo confrontarci su qualcosa che possa diventare concreto, come abbiamo fatto a Taranto a proposito delle comunità energetiche e oggi ne stanno nascendo tante, indipendentemente dai colori e dalle appartenenze. E’ un’occasione per essere percepiti come chi che parla della democrazia di tutti gli italiani”.

Cosa vi aspettate dall’intervento di papa Francesco?

“Il Papa è intervenuto più volte sul tema della democrazia. Anni fa al Parlamento europeo a Strasburgo avvertì che la democrazia europea rischiava di essere anziana e stanca. Noi vogliamo che sia il contrario, e il Santo Padre potrebbe ‘dare la scossa’ in questo senso. Forse lo ha visto prima di tutti perché non è europeo e sa che la democrazia non va data per scontata e bisogna evitare che si stanchi, che invecchi”.

Lorenzo Cipolla

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