Ecco come il magistero conciliare riecheggia nel pontificato di Francesco

Francesco

Foto: Vatican News

E’ sempre più evidente quanto e come il magistero conciliare riecheggi nel pontificato di Francesco. “Con un nota bene: l’attenzione a non ridurre, nella narrazione del papato bergogliano, il suo magistero a slogan di comodo, magari per tirare il papa dalla propria parte (“noi lo diciamo da sempre, noi facciamo così da sempre”). Invece di lasciarsi sinceramente interrogare da testimonianza, gesti e parole di un papa e di una Chiesa che cercano di “dare risposte alle questioni più urgenti, per quanto possibile. Non giudicando e condannando, ma usando un linguaggio materno” (copyright Joseph Ratzinger)”, osserva il vaticanista e scrittore Andrea Tornielli nella prefazione del libro “Il Concilio di Francesco. La nuova primavera della Chiesa” (Elledici). Afferma Tornielli: “Pio XII, a dispetto di certe interpretazioni storiografiche, è stato un Papa che con il suo magistero ha contribuito ante litteram ad alcune delle svolte conciliari”. Ricordando questo suo predecessore, nell’Angelus del 18 marzo 1979, Giovanni Paolo II disse: “In questo quarantesimo anniversario dall’inizio di quel significativo pontificato, non possiamo dimenticare quanto Pio XII contribuì alla preparazione teologica del Concilio Vaticano II. Soprattutto per quanto riguarda la dottrina circa la Chiesa, le prime riforme liturgiche, il nuovo impulso dato agli studi biblici, la grande attenzione ai problemi del mondo contemporaneo“.

Concilio di Francesco

“Giovanni XXIII, com’è noto, nonostante l’età avanzata e dunque l’aspettativa di un non lungo pontificato, decise di convocare il Concilio ecumenico Vaticano II, e lo inaugurò l’11 ottobre 1962, guidandone la prima sessione“, sottolinea Tornielli. Disse papa Roncalli nel memorabile discorso di apertura dell’assise: “Al presente bisogna che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame. Con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I. Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica”. E ancora: “Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale”.

Papa Paolo VI (immagine tratta da www.chiesadimilano.it)

L’impronta di Paolo VI

“Paolo VI, scelto dai cardinali in conclave per portare a compimento l’opera, è stato il vero ‘timoniere’ del Concilio – sostiene Tornielli-. L’ha condotto a termine non senza difficoltà e sofferenze, riuscendo nell’impresa miracolosa di concluderlo con tutti i documenti votati praticamente all’unanimità. Papa Montini si è trovato a guidare la prima fase applicativa e le grandi riforme scaturite dal Concilio, prima fra tutte quella con il maggiore impatto sul popolo di Dio, quella liturgica. Ha dovuto fare i conti con la contestazione interna alla Chiesa, cresciuta insieme al ’68. Ha sofferto molto. È riuscito a tenere unita la Chiesa nel drammatico decennio che va dalla fine del Vaticano II al Giubileo del 1975″. Giovanni Paolo I è il primo papa postconciliare. Formatosi come sacerdote e come vescovo, nella Chiesa preconciliare, ha vissuto l’assise da pastore di Vittorio Veneto, tenendo informati i suoi diocesani su ciò che avveniva in aula: “Mi sento l’ultimo dei vescovi, e ascolto. C’è sempre tutto da imparare”. Ho l’impressione di trovarmi ancora sui banchi di scuola”, il Concilio “mi ha obbligato a farmi ancora studente e a convertirmi anche mentalmente“. Anche Luciani si trova a dover applicare, da vescovo, le riforme conciliari. Anche lui è al centro di contestazioni durissime dentro la Chiesa, che lo fanno soffrire. Anche lui mantiene la diocesi unita.

In prima persona

“Anche il suo successore sulla cattedra di Pietro, Karol Wojtyla, uno degli ultimi vescovi nominati da Pio XII, ha vissuto in prima persona il Vaticano II – evidenzia Tornielli-. Giovanni Paolo II ‘suona’ lo spartito che ha scritto Paolo VI, come scrive lo storico della Chiesa Andrea Riccardi. È l’icona di una fede dall’identità forte, che intraprende nuove strade e che percorre tutte le strade nella piena attuazione del Concilio. Paladino della libertà religiosa nel mondo, continua e approfondisce il cammino ecumenico dei predecessori arrivando a dirsi disposto a rivedere le forme di esercizio del primato petrino, appello rimasto ancora oggi senza risposta”. Con Benedetto XVI, ecco l’ultimo dei pontefici coinvolti personalmente nei lavori del Vaticano II. “Da giovanissimo e già stimato teologo, Joseph Ratzinger segue da vicino l’assise come perito del cardinale Frings di Colonia, vicino all’ala riformatrice– precisa Tornielli-. Ratzinger è un giovane teologo tedesco del suo tempo. Formatosi lontano dalle accademie pontificie, insofferente verso la neo-scolastica. Su richiesta di Frings, Ratzinger prepara lo schema di un documento ‘programmatico’ sugli obiettivi del Concilio, da far approvare all’inizio dei lavori“. Il Concilio deve solo “dare testimonianza a Gesù Cristo per coloro che vivono 13 in questa ora della storia presente”. Rendendosi “contemporaneo agli uomini d’oggi“.

Andrea Tornielli (© VaticanMedia)

Dopo il Concilio

Il modello da seguire è quello mostrato da san Paolo, che per Cristo “si è fatto tutto a tutti“. Il Concilio vuole solo favorire con l’aiuto di Dio il rinnovamento della vita interiore della Chiesa, in modo che essa, come sposa di Cristo, “sia da Lui stesso rinnovata di giorno in giorno“. È sempre Ratzinger, su richiesta del cardinale arcivescovo di Colonia, a preparare anche degli appunti critici agli schemi preparatori per il Concilio elaborati dalla Curia romana. E che saranno poi accantonati. Il futuro papa boccia senza appello lo schema elaborato dalla Commissione teologica sulla preservazione della purezza del depositum fidei (“è così carente che in questa forma non può essere proposto al Concilio”). Per Ratzinger, i testi “dovrebbero dare risposte alle questioni più urgenti. E dovrebbero farlo, per quanto possibile, non giudicando e condannando. Ma usando un linguaggio materno. Con un’ampia presentazione delle ricchezze della fede cristiana e delle sue consolazioni”. Parlando della liturgia agli operatori radio-televisivi tedeschi, in quegli anni il professor Ratzinger esalta la riforma liturgica in arrivo e i motivi della sua provvidenziale ineluttabilità. Parla di scollamento tra una liturgia “archeologizzata”. E la devozione concreta vissuta dai santi e dal popolo cristiano. La messa solenne barocca, con lo splendore delle sue esecuzioni orchestrali, era diventata “una specie di opera sacra”. Dice che per ritrovare la vera natura della liturgica occorreva “forzare il muro del latino“.

Testimonianza

“Ma Joseph Ratzinger è testimone diretto anche della crisi postconciliare, della contestazione nelle università e nelle facoltà teologiche– precisa Tornielli-. È testimone diretto della messa in discussione di verità essenziali della fede. E della sperimentazione selvaggia in ambito liturgico. Già nel 1966, appena un anno dopo la conclusione del Vaticano II, il professor Ratzinger parla al Katholikentag, a Bamberg. Dice di veder avanzare un “cristianesimo a prezzi ribassati“. “Un orientamento della Chiesa al mondo, che dovesse rappresentare un suo allontanamento dalla croce, non porterebbe a un rinnovamento della Chiesa. Ma alla sua fine”. Parla di “pericoloso, nuovo trionfalismo nel quale cadono spesso proprio i denunciatori del trionfalismo passato. Fino a quando la Chiesa è pellegrina sulla terra, non ha diritto di gloriarsi di se stessa. Questo nuovo modo di gloriarsi potrebbe diventare più insidioso di tiare e sedie gestatorie che, comunque, sono ormai motivo più di sorriso che di orgoglio”. Per questo le sue posizioni cominciano a divergere da quelle di altri teologi progressisti. Divenuto arcivescovo di Monaco e poi dopo pochi anni, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger dà inizio a una rilettura del magistero conciliare. O meglio, dell’applicazione del Concilio, nel senso della riforma nella continuità. È il papa che più avverte, per la sua storia ed esperienza personale, l’esigenza di definire un corretto quadro ermeneutico dell’evento conciliare. Purtroppo, il pontificato di un teologo umile e profondo, complesso e per nulla retrogrado, viene spesso “schiacciato” su cliché interpretativi conservatori.

Il Papa a Marsiglia Fonte: Vatican News

Francesco attua il Concilio

“Con Francesco ecco arrivare il primo papa dopo cinquant’anni che non ha avuto direttamente a che fare con il Concilio. Non ne ha vissuto personalmente i traumi, non si concentra sull’ermeneutica- evidenzia Tornielli-. Da una parte, perché tutto ciò è già stato fatto dai suoi immediati predecessori. E poi probabilmente perché la sua priorità non è quella di parlare del Concilio, di evocarlo, di spiegarlo correttamente. La sua priorità è di vivere e attuare ciò che il Vaticano II ha stabilito“. Nella consapevolezza che “tanto resta ancora da fare per concretizzare fino in fondo ciò che il Concilio ha insegnato, senza tornare indietro, come vorrebbero certi sedicenti ratzingeriani che dell’ermeneutica di Benedetto XVI citano sempre e soltanto la ‘continuità’ dimenticando la ‘riforma’. E senza cadere 15 nei facili slogan, che in ambienti di segno opposto adducono a giustificazione di qualsiasi loro stravaganza lo ‘spirito del Concilio’. Di certo, quella di papa Bergoglio è una chiamata a uscire dall’immobilismo di chi non si mette mai in discussione. Di chi si trincera dietro il ‘si è sempre fatto così. Di chi parla magari abbondantemente dell’azione e dell’influenza dello Spirito Santo, ma poi ne teme il soffio”, conclude Tornielli.

 

Giacomo Galeazzi: