Nella letteratura contemporanea il volontariato è inteso come un’attività gratuita e libera svolta con l’obiettivo di promuovere la solidarietà e il mutamento sociale positivo. Esso è una scuola di empatia e altruismo che si pone l’obiettivo di promuovere i valori della pace, della nonviolenza, della legalità e della giustizia sociale.
In Italia, lo sviluppo del volontariato è da ascriversi inizialmente alle “Opere Pie” della Chiesa Cattolica che, agli albori dell’unità del paese, nel 1861, risultavano essere ben 18 mila e superavano e strutture pubbliche nell’ambito degli aiuti e dei servizi forniti a coloro che versavano in condizioni di difficoltà.
Una nuova accezione del termine volontariato nasce invece attorno alla metà degli anni ‘70 del ‘900 dove le attività di solidarietà trovano una nuova linfa grazie alla concreta attuazione degli articoli due e tre della Costituzione della Repubblica che sanciscono l’assegnazione originaria della funzione della solidarietà alla comunità, mentre affidano alla pubblica amministrazione l’organizzazione del modo con cui assolvere a tali funzioni.
Uno spartiacque è importante per il mondo del volontariato è stabilito dalla Legge quadro numero 266 del 1991 che disciplina lo svolgimento dell’attività dei volontari che deve essere svolta in modo personale, spontaneo e gratuito tramite l’organizzazione di cui lo stesso fa parte, senza fini di lucro anche indirettamente ed esclusivamente per fini di solidarietà.
Ad oggi, In Italia, il mondo del Terzo Settore, ha dimensioni del tutto ragguardevoli, conta 330mila realtà, 6,3 milioni di volontari e 778mila dipendenti.
In particolare, oggi, a trent’anni di distanza dall’approvazione della legge 266 del 1991 e all’attuale riforma degli Enti del Terzo Settore, è fondamentale domandarsi quale sia la condizione del mondo del volontariato e più in generale del Terzo Settore. In Terris ne ha parlato con Luigi Bobba, già presidente nazionale delle Acli, parlamentare e sottosegretario al Lavoro. Ora presidente di Terzjus, di Enaip Mozambico e del Comitato Global Inclusion.
L’intervista
Sono trascorsi trent’anni dalla Legge Quadro sul volontariato del 1991, cos’è cambiato da allora nel mondo del volontariato?
“Sono cambiate tante cose; da un punto di vista fenomenologico, il dato più rilevante che leggiamo nelle statistiche dell’Istat è che, oltre a un volontariato organizzato, a cui si rivolgeva questa legge, che è nota come legge di riconoscimento delle Odv,- Organizzazioni di Volontariato -, esiste una presenza non marginale di volontariato individuale. Istat, infatti, ci dice che ci sono 4 milioni e 600 mila volontari associati e 1 milione e 700 mila volontari individuali. Quindi c’è un fenomeno che all’epoca non era rilevato: per cui il legislatore aveva opportunamente dato forma legislativa e riconoscimento alle organizzazioni che, assumendo l’azione volontaria come elemento costitutivo della propria identità, promuovevano attività non per i propri soci ma verso l’esterno, verso la comunità e in particolare verso i soggetti più fragili e più deboli. Il secondo cambiamento e di natura giuridica. Oggi, le organizzazioni di volontariato, insieme a tutti le altre forme associativi, cooperative e mutualistiche sono normate da una nuova legge- Il Codice del Terzo settore – che fornisce un’identità comune a tutte quelle organizzazioni che hanno finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale ovvero quelli che adesso la legge chiama Enti del Terzo Settore. Questi sono i due cambiamenti più rilevanti; un terzo aspetto consiste nel fatto che le associazioni di volontariato, hanno, di volta in volta ,saputo adattarsi – o meglio riconvertirsi – cercando di rispondere I bisogni emergenti; penso al fenomeno delle migrazioni che è esploso negli ultimi 10/15 anni e che certamente non era così rilevante quando è nata la legge sul volontariato nel 1991. Questo dice molto dell’adattabilità e della capacità di cogliere i nuovi bisogni e le nuove domande e di saper inventare forme di risposta originali. Ugualmente non si sbaglia ad affermare che le associazioni di volontariato siano state una colonna portante nell’affrontare questa pandemia anche collaborando con i poteri istituzionali”.
Qual è il valore sociale ed etico del volontariato in questo momento storico?
“Il suo valore è duplice, da un lato c’è l’espressione di una libera volontà da parte di cittadini e persone di mettersi insieme e mantenere viva una cultura del dono che non può essere espunta dalla vita sociale spesso dominata solo dagli apparati burocratici e dai mercati. Il dono è un elemento che dà un senso al vivere delle persone. L’azione volontaria, dall’altro lato, è uno degli elementi costitutivi dei legami comunitari, in quanto le nostre vite sono sempre più connesse nei social media, ma disconnesse nelle reti sociali che danno significato alla vita delle persone. La capacità di sviluppare azione volontaria costituisce una via privilegiata per rafforzare i legami comunitari. Questi due elementi sono irrinunciabili se non vogliamo smarrire la dimensione comunitaria della vita delle persone: per cui il desiderio di prendersi cura degli altri e di farlo non solo individualmente è un valore da non disperdere, anzi da rafforzare”.
La pandemia ha posto la società di fronte a nuove fragilità, che strumenti servirebbero al mondo del volontariato per fronteggiarle?
“Servono tre cose. La prima, quella più importante, e che – quel capitale sociale invisibile – costituito dalla disponibilità all’impegno volontario, la vera forza di queste realtà associate, venga rinnovato, formato, indirizzato e motivato continuamente. Credo che questo sia il compito principale in una società che tende ad erodere tutti i legami comunitari e a spezzare quel circuito naturale di solidarietà che era tipico del nostro Paese nel secolo scorso. Oggi le grandi realtà associative con un sostrato di motivazioni religiose e politiche si sono molto indebolite rispetto al passato; quindi, è necessario che si rinnovi questo desiderio delle persone di uscire da sé stesse e prendere in carico un bisogno o un problema e dedicarsi alla soluzione dello stesso.
Il secondo elemento è il nuovo inquadramento di queste organizzazioni all’interno della riforma del terzo settore; la legge 266 oggi non è più in vigore anche se delle parti importanti della stessa sono state ricomprese e riattualizzate all’interno del Codice del Terzo Settore. In questo frangente, la novità più importante è che, agli articoli 17 e 18, viene riconosciuta la figura del volontario, che ha un suo originale status anche dal punto di vista giuridico. il fatto che queste organizzazioni, basate sull’impegno volontario, abbiano un trattamento più favorevole, – per esempio se un cittadino o un’impresa fa una donazione a una di queste organizzazioni, la detrazione fiscale che deriva da questa erogazione liberale è pari al 35% – significa che anche le istituzioni riconoscono un valore aggiuntivo all’impegno totalmente centrato sull’azione volontaria.
Il terzo aspetto è che queste organizzazioni – come ha detto il Presidente della Repubblica – non possono essere considerate come una ruota di scorta alle carenze dello Stato ma bensì possono diventare, anche in forza della nuova legge, partner delle istituzioni con un loro profilo autonomo di responsabilità. Questo forse è il passaggio più importante, ancora se ancora in buona parte da compiere. La stessa attuazione PNRR è una formidabile occasione per riconoscere a queste organizzazioni uno status autonomo e distintivo, non semplici fornitori di servizi ma soggetti che concorrono insieme alle istituzioni pubbliche a realizzare servizi e attività di interesse generale”.
In che maniera le istituzioni potrebbero valorizzare ulteriormente l’azione del volontariato?
“Ci si può muovere in più direzioni. La prima, siccome queste organizzazioni si reggono sull’impegno volontario di coloro che vi aderiscono e su risorse derivate in larga parte da erogazioni liberali e donazioni, lo Stato potrebbe trattare dal punto di vista fiscale le stesse in modo più favorevole, come avviene in altri paesi europei, incentivando i cittadini o le imprese a sostenere queste organizzazioni. Dall’altro lato, le organizzazioni di volontariato, hanno bisogno di essere accompagnate nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza, di comunicazione e nella gestione dei propri volontari e donatori. In questo la legge di riforma del Terzo Settore, avendo messo mano anche ad una riforma dei Centri di servizio per il volontariato e disponendo delle risorse aggiuntive per gli stessi, dice che – anche tante piccole realtà – possono realizzare al meglio la loro missione ed i loro obiettivi se c’è qualcuno che svolge le supporta e le accompagna nel realizzare al meglio la propria missione. Infine, queste organizzazioni, come prevede appunto la riforma del Terzo settore, potranno collaborare più strettamente con le istituzioni in particolare quelle locali. Certo dovranno iscriversi al Registro unico del terzo settore: ma in tal modo, in forza di un principio di trasparenza, le istituzioni potranno affidare loro dei progetti mediante convenzioni, senza dover passare attraverso il sistema dei bandi o degli appalti. Infatti, questi interventi a forte valore aggiunto sociale richiedono appunto flessibilità, adattabilità e presa in carico del bisogno che solo questa tipologia di organizzazioni sono in grado di esprimere”.