Interris.it ha sottoposto ai fedeli di una parrocchia romana le questioni sociali e morali che l’emergenza Covid pone alle coscienze dei credenti. il forum si è svolto a San Giacomo in Augusta, chiesa secolare nel cuore di Roma.
Forum in parrocchia sulla crisi Covid
La prima a intervenire al forum di Interris.it è Maria Luisa, autrice televisiva. “Quando la collettività è investita da una tragedia, esprime quanto cova al suo interno- afferma-.Tutto è rimandato al significato di collettività, ossia somma di individui ed individualismi. Per cui la risposta è prismica, è modulata su ogni individuo, ma l’effetto appare come un’unica espressione, che viene letta, e perciò rimandata, da ogni analista“. E aggiunge: “Chi è solidale manifesta questo suo sentimento, agendo, porgendosi in aiuto del prossimo e, soprattutto, con un frustrante sentimento di impotenza. Chi non ha in se il senso della solidarietà formula risposte che vanno dal negazionismo al rifugiarsi dentro il proprio Io o, al massimo, dentro la propria piccola collettività. La pandemia ha scoperchiato ed esasperato quanto ognuno di noi è, non ha aggiunto o tolto niente. Ha fatto emergere miserie, debolezze, fragilità e nobiltà dell’anima”.
Situazione precaria
Prosegue l’autrice televisiva: “Ognuno di noi soffre partendo dalla propria condizione sociale, economica e culturale. Soffre chi non riesce ad essere utile come vorrebbe. Soffre chi vive in una situazione economica precaria ed è costretto a cercare aiuti, vivendo ulteriori mortificazioni. Soffre chi perde quel poco che aveva, ma che riteneva quasi abbastanza per vivere. Soffre chi ha perso la capacità di guardare al futuro, di sognare, di programmare, per sé e per gli altri. Le disuguaglianze stanno aumentando le distanze di condizioni tra chi è garantito, tanto o poco. E chi è sempre più ai margini della fragile società del benessere. I soli restano sempre più soli, i poveri sono sempre più poveri”. Ma, sottolinea Maria Luisa, “gli angeli sono ancora tra noi. Si è perso lo sguardo lungo sulla storia di oggi e sulla storia che verrà. Nella tempesta del Covid c’è chi cerca riparo e chi lo trova. C’è indifferenza consapevole e colpevole? Forse no. Il male risplende. Il bene è quasi invisibile, sempre nascosto dietro le azioni positive e solidali, ma è il tepore che riscalda più persone di quante possiamo immaginare”.
Sentimenti positivi
Guai a non essere “osservatori attenti e equi“, avverte l’autrice televisiva. “Mortificare e non valorizzare quanti stanno donando le loro energie all’aiuto al prossimo, è una colpa grave- prosegue-. Attenti a diventare i negazionisti del bene e dei sentimenti positivi che ci sono. Sta alle coscienze migliori esaltare quanto di positivo accade e che sta costruendo le risposte, forse insufficienti, ma indispensabili. Per dirla in poche parole, ci vuole molto coraggio per chiudersi in se stessi. Le risposte sono sempre sui volti degli altri. Ma non si piò sottovalutare la paura, la percezione di quanto ognuno di noi è piccolissimo davanti al mondo ed alle catastrofi. Anche l’impotenza è una sensazione umana e normale in questo frangente della storia. Si rischia sempre di essere esclusi da una società spietata e selettiva. A volte neanche la ricchezza salva. Si è vittime del Covid oggi, in senso sociale, economico e di salute“.
Vittime
In ogni tempo si è vittime di emarginazioni per questioni di razza, religione, sesso, povertà, handicap e tanto altro. Quando si attraversano tragedie o si assiste ad atrocità come le guerre, la violenza, la brutalità, la volgarità, il nostro dialogo con Dio si fa sempre più crudo. Non capiamo e non condividiamo il suo disegno. Gli si chiede di cancellare tutto quanto ci fa inorridire, di quanto ferisce la nostra anima e rende inefficace la nostra solidarietà. E’ una prova di amore estremo continuare a dialogare con Lui. E’ una prova d’amore non accettare quanto accade e quanto fa soffrire l’umanità, ma riconoscere la Sua capacità di amore. Eccoci ancora a rendere visibile il Bene. Forse ci vuole guerrieri del Bene. Quando il mondo si è fermato, per il lockdown, la natura è rinata. L’inquinamento e le ferite della terra sono rapidamente arretrate. Cosa ha fatto pensare tutto questo? Che per il mondo la presenza nociva, tossica, è l’uomo e le sue scelte. Il Covid ha fermato l’uomo e ridato vita alla natura. Finirà questo processo?”.
La lezione di “Fratelli tutti”
Prende la parola Giulia, insegnante in un liceo classico. “Mi pare che ci sia stato come un recupero della ‘solidarietà’, ci si sia resi conto che non è semplicemente un atteggiamento buonista’”, sostiene Giulia. Ma è, come dice Papa Francesco nella ‘Fratelli tutti'”. E cioè “una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni” (numero 116). “Si è riconosciuto che la solidarietà è una cosa seria, un elemento che non può essere considerato opzionale nella società”, puntualizza Giulia. Ma “deve essere integrato ai diversi livelli dell’ organizzazione sociale e statuale. Perché è ciò che consente ai vari enti e istituzioni di lavorare in collaborazione e non in competizione e antagonismo. Tuttavia, molti sono gli ostacoli, vecchi e nuovi, che si frappongono fra questa consapevolezza e la realizzazione di strutture solidali. Quest’emergenza ha fatto soffrire un po’ tutti“.
Invisibili
Ma Giulia crede “soprattutto coloro che già in ‘tempo di pace’ erano come invisibili alla società, e quindi i poveri, gli anziani poveri, i disabili, coloro che soffrono di disagio mentale, gli immigrati non integrati e senza lavoro, i senza fissa dimora”. E, prosegue, “l’emergenza colpisce già il cittadino ‘standard’ attraverso la lentezza della burocrazia o la mancanza di buona organizzazione. Ma per gli ‘invisibili’ è molto più complicato trovare aiuto o rifugio. Anche se, fortunatamente, il nostro sistema sanitario cura ancora tutte le persone, senza prima guardare il conto in banca! La tempesta della pandemia suscita più solidarietà o chiusura in se stessi? Non saprei quantificare se sia cresciuta maggiormente la solidarietà o la chiusura in se stessi, in realtà abbiamo avuto testimonianze eclatanti di entrambe le cose. Mi pare che, qualche volta, proprio l’aver compreso meglio il significato della solidarietà, provochi nelle persone una chiusura o un allontanamento da possibili coinvolgimenti in azioni solidali. Forse proprio perché si riconosce che la solidarietà richiede una conversione del cuore e un impegno a cambiare i nostri stili di vita, ad allargare l’orizzonte del nostro sguardo al di là delle nostre sicurezze, della nostra famiglia, della nostra comunità”.
Pessimismo
Giulia crede che “la chiusura in se stessi derivi anche da un certo pessimismo che ci fa dubitare di una effettiva ripresa e ritorno alla vita ‘normale’, da una mancanza di speranza che caratterizza la nostra epoca, che tarpa le ali anche allo slancio caritativo. Siamo una società vecchia, che è attaccata alla vita, ma non la ama così tanto da essere capace di donarla. Tuttavia questa esperienza tragica che stiamo attraversando può darci uno scossone di rinnovamento, può risvegliarci dalla nostra illusione di essere diventati ‘onnipotenti’ e farci tornare ad apprezzare la vita nei suoi aspetti più semplici e fragili. Credo che in ogni epoca, purtroppo, la società abbia i suoi lebbrosi, qualche gruppo sociale che funga da capro espiatorio e diventi vittima di esclusione sociale. Fino a poco fa erano gli immigrati (questi un po’ lo sono sempre…), ma lo sono stati i drogati, i malati di Aids etc”.
Manovalanza
Secondo Giulia, “il dramma dell’esclusione sociale, purtroppo porta legato a sé anche quello del degrado sociale provocato dall’usura, dal ricatto, dal divenire manovalanza della malavita, che fingendo solidarietà rende schiavi coloro che contano sul suo aiuto, purtroppo sempre pronto in liquidi, senza tante attese. D’altra parte anche fra i lebbrosi la mentalità ‘del ringraziamento’ non era così scontata e diffusa. E’ così talvolta è anche difficile ‘liberare’ veramente l’altro. Ma ogni vera guarigione passa attraverso il riconoscimento e il rispetto della dignità, l’accoglienza della persona umana vista come immagine di Dio”.
Allontanemento
Al Forum di Interris.it interviene Erminia, pensionata. “La pandemia ci ha costretto ad allontanarci dal nostro prossimo. Anche il più vicino. Se siamo diventati più egoisti, è sempre per lo stesso motivo, mantenere le distanze. Poi all’inizio ci sembrava una cosa non dare la mano o abbracciare una persona. Poi abbiamo capito che era giusto farlo. Ma quanta sofferenza!”, spiega Erminia “Pensate solo al fatto di non poter abbracciare figli e nipoti che non vivono con noi. Questo ha aumentato la solitudine di chi, già era solo. In questo modo gli è stato negato anche questo piacere. Le regole vanno sicuramente rispettate. Ma la tristezza serpeggia in noi. Aumenta anche la paura di incontrare il prossimo, per il fatto che può contagiare pur essendo asintomatico”.
Senza tetto
Secondo Erminia “è cambiato il modo di pensare. Prima c’era più condivisione, ora stia in allerta su chi incontriamo e come ci comportiamo. Si è vero come hai detto stiamo per allontanarci l’un l’altro ma è la paura, anche montata molto dai ‘media’, e solidarietà è diminuita. Però nel cuore rimane sempre un gesto spontaneo, ma poi mi fermo per le regole, è quello di avvicinarmi di più alle persone. Specialmente con i nostri amici senza tetto, mi devo e ho detto devo perché d’istinto lo farei con piacere. Un consiglio che posso dare a tutti pregate, pregate, pregate, applichiamo lo sempre non costa niente ed è una spinta per andare avanti“.
Esclusione sociale
Prende la parola Laura, gallerista. “In tempo di pandemia la paura della malattia, l’incertezza economica, la misera per alcuni porti a chiuderci in noi stessi e questo porterà all’esclusione sociale– osserva-. Triste soprattutto per noi cattolici, ma temo che questa brutta esperienza, che ci sta abituando a non essere sensibili alle tante morti alle tante sofferenze spinga verso il brutto detto ‘mors tua vita mea’. Il tutto molto triste ma siamo deboli e temo che la paura ed il giusto allontanamento da persone e parenti non aiuti“. Secondo Antonio, ricercatore universitario “in tempo di pandemia la solidarietà si tinge del rischio di contagio che corre chi si rende disponibile. Perché il più delle volte non basta offrire denaro. In questo momento è necessario dare in dono soprattutto un servizio. Quindi l’esposizione di sé stessi diventa quasi inevitabile”.
Nessuno a cui rivolgersi
Per Antonio “servono persone che raggiungano i più anziani o chi è malato per portare cibo, medicine, aiuto di ogni genere. I quartieri più popolari e popolosi sono caratterizzati da una fitta rete di rapporti, in genere ci si conosce ed è possibile chiedere aiuto. Ma in altre zone è facile che le persone non conoscano i propri vicini di casa, non abbiano nessuno a cui rivolgersi. La solitudine si paga a caro prezzo. Purtroppo la cronaca quotidiana ci racconta che il sistema sanitario non riesce in tempi rapidi a rispondere alle sempre più frequenti richieste dovute al numero crescente di positivi sintomatici. Esiste una disparità appurata di trattamento fra chi può godere di sanità privata e chi invece non ha alternativa a quella pubblica. I tempi di attesa sono eterni e spesso l’intervento giunge troppo tardi. Anche in questa epoca purtroppo la disparità sociale crea selezione. Nella prima ondata la gente era più disposta alla solidarietà. Durante questa seconda, l’atteggiamento è molto cambiato“.
Rabbia sociale
Aggiunge Antonio: “Alla luce di una rabbia sociale crescente, dovuta alla risposta non soddisfacente da parte dello Stato alle richieste espresse da chi ha più patito il primo lockdown, le persone non sono più disposte a credere che in tempi brevi la situazione verrà risolta. Alla paura per la propria salute e per quella dei propri cari, viene sommata la certezza di una profonda crisi non solo economica ma anche esistenziale. Sono numerosi coloro che sono costretti a chiudere attività di famiglia, aziende e negozi appartenuti per generazioni. Oltre al sostentamento viene anche improvvisamente a mancare il senso. La prima ondata ha smosso la voglia da parte di tutti di unirsi in un corpo unico. Ora, nel pieno della seconda, sembra che la corsa a salvare se stessi sia la vera emergenza. Purtroppo, anche adottando lo sguardo più positivo, l’atteggiamento del singolo prevale su quello collettivo. Le strade limitrofe al centro della Caritas vicino alla stazione Termini pullulano di persone che hanno perso tutto. Ma anche chi ha ancora una casa oggi molto difficilmente trova persone disposte a donare loro un servizio. Lo Stato e la medicina non riescono a dare risposte certe a qualcosa che è ancora altamente sconosciuto. La scienza ha rivelato tutti i suoi limiti. In un clima di incertezza generale, è difficile pretendere la disponibilità da chi sarebbe anche disposto a darla. Il reale rischio al quale ci si espone non è ancora chiaro. Nell’incertezza la maggior parte della gente preferisce non azzardare“.
Sorpresa
Interviene al forum di Interris.it Guglielmo, pensionato: “Ora realizzi che quanto ti aspettavi da ‘amici’ non c’è stato e con piacevole sorpresa molta solidarietà ho ricevuto da persone meno frequentate e in molti casi della mia vita. Della pandemia ne soffrono soprattutto le persone sole e più malate impossibilitate a muoversi. E timorose di chiedere aiuto. la chiusura può derivare dal timore di ammalarsi. E la solidarietà arriva da persone caratterialmente generose. Appunto come nel vangelo accade per i lebbrosi. Per fortuna mi sembra non siamo a questo punto, sia nella società per quanto timorosa sia con l’esempio del personale sanitario anche tra i più umili. Insomma cerchiamo di vedere il positivo che ci può dare più coraggio e speranza“.
Valore psicologico
Gianluca, medico di base afferma: “Secondo me, oltre alla consueta importanza sociale, la solidarietà assume adesso un valore psicologico ancora superiore nelle persone più fragili, quali anziani e single con scarsa vita sociale (soprattutto donne), nonché di prevenzione epidemiologica. Nelle persone più fragili, soprattutto se con grado di istruzione basso, la solidarietà assume particolare importanza in quanto, la minaccia che incombe fuori di casa ed ancor più il lockdown, hanno il potere di isolarle ancor più del solito, facendole sentire molto più sole e, spesso, non in grado di sostenere la pressione psicologica data dal pericolo, che diviene ai loro occhi ancor più grande del reale e fuori dalla propria capacità di controllo. Il rischio maggiore, a questo punto, diventa la depressione con la spirale negativa che essa alimenta: più il morale è basso, maggiore appare il pericolo esterno e più insopportabile diventa la solitudine, aumentando la depressione! Il valore di prevenzione epidemiologica della solidarietà, invece, è data d alla maggior facilità nell’accettare e imporsi i comportamenti più saggi, quali il distanziamento sociale e l’uso della mascherina, non tanto per proteggersi, quanto per proteggere gli altri ritenendosi potenziali ‘untori’ ed evitando di mettere a rischio di contagio gli altri“.
Amplificatore
Per il medico Gianluca: “Lo spirito di ogni provvedimento preventivo è proprio evitare che ognuno possa fungere da amplificatore di contagi e la solidarietà non può che favorire questo spirito di protezione reciproca. Da vari studi, appaiono più a rischio anziani, persone sole con scarsa vita sociale (soprattutto le donne, perché più inclini scientificamente alla depressione) e bambini perché psicologicamente non in grado di comprendere e dominare la situazione. Persone con grado di istruzione basso perché meno dotate di strumenti psicologici e sociali per poter contrastare la paura, le conseguenze socio-economiche dell’isolamento sociale e la depressione. Personalmente, ritengo che l’effetto possa essere triplice: chi non ha in generale motivi di frustrazione e rabbia e possiede un grado di istruzione medio-alto per dominare qualcosa che altrimenti potrebbe apparire più grande di sé, credo sia portato ad aprirsi ancor più agli altri immedesimandosi nelle difficoltà che può avere chi è vicino”.
Uomo “animale” solidale
Prosegue Gianluca: “L’uomo in fondo è un ‘animale’ sociale e solidale! Chi non ha la capacità intellettiva, culturale o psicologica di comprendere fino in fondo cosa stia accadendo, al contrario, tende a non farsi toccare dalle notizie e dai dati oggettivi negandoli. Ciò può portare al vero e proprio negazionismo, per il quale nulla di vero esiste in ciò che appare ed è solo una macchinazione da parte di fantomatici ‘altri’ che vogliono avvantaggiarsene, oppure all’indifferenza e l’incapacità di variare il proprio normale stile di vita. In un caso o nell’altro, poiché non si varia il proprio comportamento, non si ha né chiusura né, tanto meno, maggior solidarietà. Chi aveva già motivi di insicurezza, frustrazione e rabbia, infine, sicuramente è portato a chiudersi ed a temere chiunque possa intaccare minimamente la propria condizione“.
A lungo termine
La tendenza, in questo caso, è quella di scaricare sugli altri i propri problemi, accusando il governo, gli immigrati, e chiunque altro possa fungere da potenziale capro espiatorio. Non mi sembra assolutamente che ci siano segnali di stigmatizzazione e isolamento verso chi sta male. Il distanziamento sociale, non credo possa portare a veri cambiamenti sociali a lungo termine. Durante la pandemia, i rischi di esclusione sociale possono essere dovuti all’involontaria indifferenza verso chi tende spontaneamente ad isolarsi“. Prende la parola Marina, psicologa: “Fin dall’ inizio tra famiglia e amici ho notato un modo spontaneo per condividere sentimenti e preoccupazioni ma anche le cose pratiche”.
Fede e carità
Racconta a Interris.it Marina: “Molti, anche i vicini mi hanno chiesto se avessi bisogno di aiuto, io che ho poca forza fisica ho fatto quello che potevo però mi sono trovata a dare coraggio a amici che invece erano molto preoccupati anche troppo, anche testimoniando l’aiuto che trovo nella fede e nella preghiera, e quindi di riuscire a vedere la vita e la morte anche senza paura. Le coppie giovani con bambini hanno dovuto affrontare mille problemi pratici affidandosi quanto possibile ai nonni. E poi tante altre cose ma tutto mi sembra all’insegna della spontaneità e semplicità, adesso mi sembra che stia crescendo l’ansia e la preoccupazione, speriamo bene!”.
Priorità sociali
Interviene al forum di Interris.it Matteo, studente universitario. Matteo crede che “il valore della solidarietà in questo periodo cambi radicalmente, in una tale situazione vi sono delle priorità fondamentali da dover rispettare, si parla di diritti umani, non di benefici da primo mondo”. Matteo ritiene perciò che “ognuno di noi non possa, ma debba, rinunciare a un proprio beneficio, passione, diritto o semplice volontà, per ‘donarlo’ a chi sfortunatamente, ha rinunciato a molto di più. La sofferenza è soggettiva, trovo però superfluo dover stare a sottolineare la differenza di gravità ed importanza che c’è tra il non poter uscire la sera e la paura di poter perdere un proprio caro, o tra il non poter andare a cena fuori e il non poter portare il pane a casa. Si tratta di priorità. Anch’essa trovo sia una domanda che possa avere delle risposte unicamente soggettive. Posso però osservare che la paura dello sconosciuto, derivante da ben prima la pandemia, o lo stesso isolamento, volontario o involontario che sia, portino sempre più persone alla chiusura in se stessi e ad un’estraniazione dalla società”.
Nel quotidiano
Prosegue Matteo: “Fortunatamente contrapposte a queste realtà infelici, migliaia di volontari, di aiuti e di grandi o piccoli gesti che avvengono anche nel quotidiano, combattono e contrattaccano le vessazioni della pandemia. Ho l’impressione che l’esclusione sociale effettivamente avvenga per i contagiati, ma è così che deve essere affinché essi non aiutino il virus ad espandersi. Confido e spero che una volta che il virus sarà stato sconfitto, gli ormai ‘ex’ contagiati, potranno e dovranno riprendere il proprio posto nella società. Interviene Lucia, studentessa di terza media: “La solidarietà nella pandemia è più sentita ma spesso impedita dalla paura del contagio. A soffrire di più sono il malato e la sua famiglia. Secondo me la pandemia suscita più chiusura in se stessi ma vi sono anche molte eccezioni di persone che si adoperano ad aiutare i più bisognosi. Sicuramente c’è il pericolo di escludere i più fragili perché il virus è molto contagioso e in talune persone, specialmente gli anziani, può portare alla morte“.
Il bene di tutti
Prende la parola Marta, pensionata e catechista: “L’articolo 2 della nostra Costituzione afferma: ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’. Al di là delle proprie credenze, della propria fede, al di là degli appelli di Papa Francesco con le sue due encicliche sociali, la solidarietà, il bene comune, il bene di tutti, è dunque principio fondante della nostra società e dovrebbe guidare la nostra vita. La pandemia come altri momenti storici, critici e drammatici, penso abbia messo in risalto, per lo meno all’inizio, come questo principio etico muova molta parte delle ‘persone di buona volontà’ che spontaneamente e in modi anche fantasiosi, hanno voluto almeno fare sentire la propria vicinanza e testimoniare unità e fraternità, anche se poi d’altra parte in alcuni ha prevalso il timore nel prestare l’aiuto concreto”.
Visione e vera umanità
Marta non parla “naturalmente di tutti coloro che quotidianamente ci hanno assistito sia per la natura della loro missione e scelta di vita, ma anche semplicemente col loro lavoro. D’altra parte invece si è rivelato quanto in realtà gli Stati, ne tengano da tempo poco conto, privi di una visione che ponga al centro la nostra vera umanità che non è solo l’intelligenza e la creatività, ma anche i limiti e la fragilità. Se la storia fosse, come dicevano gli antichi, maestra di vita, questo discorso non dovremmo nemmeno farlo, va da sé che il valore sociale della solidarietà dovrebbe essere imprescindibile, sempre. Non mi pare che in generale i mesi passati abbiano insegnato troppo e non basta un episodio drammatico a cambiare le coscienze, soprattutto se il fatto non tocca da vicino. Siamo così, è un processo lungo. Ma ci speriamo”.
Le ali del desiderio
Marta crede che “l’emergenza Covid abbia recato sofferenza principalmente alle due fasce di età che già nel mondo di oggi si trovano penalizzate, gli anziani e i giovani. I primi che come i bambini, avrebbero tanto bisogno delle nostre cure, sono privati degli affetti, isolati e impauriti. I secondi cui questa precarietà, con la gravissima mancanza della vera scuola, tarpa le ali del desiderio e del sogno del proprio futuro. Anche se inizialmente, come poi è caratteristica di molti -per pudore o vergogna?– non volevano dire di essersi ammalati, penso però che in realtà l’esclusione sociale non sia determinata dalla malattia in sé, che colpisce tutte le ‘classi’ e da cui nella maggior parte dei casi per fortuna si guarisce, quanto piuttosto sarà causata dall’impoverimento di molte categorie di lavoratori che non avranno possibilità di ripresa”.
Richiesta di aiuto
Prende la parola Samuele, commerciante: “La situazione non cambia in realtà. Anche se allo stesso tempo aumenta la paura ad esporsi al contagio quindi cresce la tendenza ad essere meno disponibili, anche se una richiesta di aiuto non si rifiuta mai. Ma essendo tutti in una grande crisi economica e sociale, chi chiede ancora ufficialmente l’elemosina, rischia e rasenta il ridicolo, a fronte della grave crisi pandemica. E suscita una leggero timore per una propensione più alla chiusura e alla paura del altro, come fosse appunto un lebbroso, con il rischio di lasciare ancora più soli chi ha bisogno di supporto, di costante contatto, anche se c’è l’esigenza di aprirsi al sociale e alla solidarietà però impotente a fronte del male invisibile“.
Tre fasi
Lucia, casalinga e mamma: “Credo sia necessario distinguere il tempo nel quale abbiamo vissuto la pandemia in tre fasi: la prima da marzo ad aprile (prima chiusura), la seconda da maggio a settembre (apertura) e la terza da ottobre ad oggi( graduale chiusura). La solidarietà è stata percepita come valore aggregante indispensabile, soprattutto nella prima fase. Ci si aiutava materialmente, chi trovava i beni di prima necessità li distribuiva a parenti e amici che erano in difficoltà, e, soprattutto psicologicamente, gli anziani ed amici che erano soli, venivano sollevati con lunghe telefonate con le quali si auspicava una prospettiva di ritorno alla vita ‘normale’. Durante la riapertura si è tornati alla quasi normalità perché ci si spostava (siamo quasi tutti potuti andare in vacanza) e si aveva la percezione che la ripresa avrebbe in parte sollevato tutto il mondo del lavoro dalle perdite subite”.
Stanchezza
Secondo Lucia “la solidarietà è stata in questo periodo quasi assopita. Oggi siamo tutti più stanchi, i casi di Covid sono alle porte delle nostre case ( tutti abbiamo amici vicini colpiti) e la solidarietà, oggi più necessaria che mai, va risvegliata, stimolata. Bisognerebbe trovare il tempo per esempio per recitare insieme il Rosario… tutti alla stessa ora anche solo accendendo la tv sul canale Tv2000 alle 18…( Con alcune amiche da anni ci incontriamo il lunedì alle 9 alla Chiesa Nuova per il Rosario e questo ci dà tanta forza…)”. Quindi, prosegue Lucia, “l’ emergenza Covid ha colpito tutti, ma secondo me gli anziani che magari vivono da soli, sono i più penalizzati. Hanno perso le poche relazioni sociali, al di fuori dei parenti strettissimi ( figli e nipoti) e trascorrono le giornate davanti alla televisione che li inonda di dati a volte incomprensibili e comunque sempre negativi”.
Di fronte a se stessi
Aggiunge Lucia: “Anche i giovani ( bambini, adolescenti..) soffrono tanto la mancanza di socialità, ma essendo più tecnologici possono utilizzare strumenti che se, anche in modalità diversa, permettono una qualche vita sociale. Su questo tema si aprono considerazioni e critiche da affrontare a parte. La pandemia ci mette inesorabilmente di fronte a noi stessi. Chi è chiuso in se stesso si chiude ancora di più per paura, egoismo, fisime personali, diffidenza verso il prossimo che è visto come ipotetica minaccia. Chi era aperto al mondo forse lo è ancora di più e con lo stesso entusiasmo prova ogni giorno a mettersi in gioco“. Riguardo all’esclusione sociale “questa è non direi solo un rischio, ma un processo verso il quale ci stiamo avviando”.
Richieste di aiuto
Conclude Lucia: “Le categorie sociali di persone non tutelate che hanno perso o fortemente diminuito il proprio lavoro e quindi il proprio reddito, sono in crescita. Ho avuto ultimamente contatti con la figlia di una mia amica che è volontaria della Croce Rossa nel comitato Municipi 2-3 di Roma, che mi chiedeva aiuto perché durante l’emergenza sono passati da 40 a più di 200 famiglie da assistere con beni di prima necessità: e immagino che negli altri Municipi la situazione sia analoga se non più grave”. Interviene Alessandra, pensionata: “Sono spesso a casa di mia madre 96enne per dare il cambio alla badante. Mi sembra di poter dire che la pandemia sta sempre più cambiando la geografia della solidarietà. Fin qui la parola solidarietà ci ha evocato il pensiero di un ponte da gettare verso situazioni di bisogno lontane da noi: paesi sottosviluppati, persone fortemente indigenti ed emarginate. Ora invece il pensiero corre a realtà più prossime. Il volto smarrito dei malati che si affollano a ritmo vertiginoso nei nostri ospedali, lo sguardo afflitto del ristoratore che contempla il locale semivuoto, le tante attività costrette a chiudere e a lasciare tantissimi senza lavoro”.
Abbandono
Continua Alessandra: “Mai come ora tocchiamo con mano che l’altrui sfortuna ci coinvolge in prima persona perché è il nostro mondo abituale quello che si sta desertificando. Basta camminare per la strada perché gli spazi commerciali abbandonati e ridotti a orbite vuote ci ispirino preoccupazione per quanti li animavano e per la perdita di un patrimonio che era di tutti. Difficile dire chi soffre maggiormente in un simile quadro. D’istinto però il mio pensiero va alle persone anziane e sole: quelle che non hanno tempo per vedere anni migliori. Quelle che non hanno energie psicofisiche per resistere alle presenti difficoltà. Quelle che se alzano la cornetta del telefono non hanno nessuno da chiamare. Il distanziamento imposto dal Covid, il comprensibile timore del contagio, il diffuso senso di precarietà fanno sicuramente da schermo ad una solidarietà fattiva. A ciò si aggiunga che i nuovi poveri sono indotti a un dignitoso nascondimento, che rende più difficile individuarli e tendere una mano senza ferirne l’amor proprio“.
Buona volontà e lebbra
Alessandra crede che “la singola persona, anche se di buona volontà, non riesca a fare altro che offrire qualche aiuto economico nei limiti delle possibilità e impegnarsi nella preghiera. Il Covid come lebbra dei nostri tempi? È possibile. Certo l’isolamento imposto ai malati non implica abbandono, ma le conseguenze socio-economiche della pandemia espongono molti a retrocedere nelle fila della vera e propria emarginazione. Mi ha favorevolmente colpito un breve servizio televisivo dedicato ad un ristorante che, pur di non chiudere, ha esposto un cartello che invita chi può a pagare e chi non può a mangiare gratis. La notizia mi ha riportato alla mente anche l’uso napoletano del caffè che si lascia pagato per chi ne ha bisogno. Forse se anche noi potessimo ogni tanto lasciare un pranzo pagato, i ristoratori lavorerebbero un po’ di più e chi ha improvvisamente perso la possibilità di offrire una pizza ai propri figli potrebbe tornare a farlo. Di più non saprei dire, anche perché io stessa mi sento immersa nel disorientamento che che in questo momento ci avvolge come una nube tossica“.
L’impegno dei credenti
Prende la parola Massimiliano, architetto. “Per noi cattolici praticanti e impegnati, la solidarietà è un obiettivo primario che in queste circostanze deve fortemente manifestarsi- sostiene-. Credo nessuno sia escluso, tutti soffriamo, penso che gli anziani poveri e soli siano i più esposti. Non credo che ci siano persone più solidali o piu chiuse, concorrono le condizioni sociali , la cultura e soprattutto un abituale impegno appreso in famiglia a proporsi per gli altri. L’esclusione sociale è dietro l’angolo siamo noi che in prima fila dobbiamo testimoniare, anche come esempio, la nostra disponibilità a soccorrere i più bisognosi come ci indica il Vangelo”. Interviene Guglielmo, pensionato: “La pandemia ha trasformato o meglio ha fatto emergere il lato reale delle persone, in molti casi un lato buono ma è diffuso anche il lato peggiore. La solidarietà non è una pratica almeno non solo, è un valore e ce l’hai sempre. Per noi cristiani diventa una pratica o dovrebbe esserlo. Non è solo nei gesti materiali (importanti), ma anche in quelli morali“.
No al caos
E’ solidarietà secondo Guglielmo, “anche essere responsabili e rispettare le regole e restrizioni per poter rallentare il contagio da Covid-19, perché vuol dire che non solo temo per la mia salute ma vorrei aiutare anche gli altri a mantenerla. Credo che abbiamo un’ ampia schiera di uomini (genere umano), che invece se ne fregano. Ma i peggiori sono quegli uomini pubblici che usano la pandemia per sobillare o creare consenso, quando invece di tutto avremmo bisogno tranne che del caos. La sofferenza è diffusa e diversificata. C’è la sofferenza fisica per aver contratto il virus e sviluppato in forma grave i sintomi. C’è la sofferenza per aver perso il posto di lavoro, non è fisica ma non meno devastante. C’è la sofferenza da solitudine, mi riferisco alle persone anziane soprattutto nel lockdown. Non si può fare una classifica, forse i soggetti più anziani sono i più esposti ma le evidenze delle ultime settimane sembrano sfatare anche questo dato. La pandemia non aumenta o diminuisce la solidarietà, anzi forse la mette a rischio, gli uomini potrebbe essere tentati dal ‘si salvi chi può’ o che la cosa non li riguardi. Basta vedere come molti ragazzi o soggetti giovani non siano attenti a seguire le regole e poi contagiano i familiari”.
Perdere il poco che si ha
Secondo Guglielmo: “L’esclusione sociale è in corso da molti anni ormai, la pandemia la può accelerare, si fa presto a diventare degli “invisibili”, basta perdere il lavoro, essere soli e si finisce per perdere anche il poco che si ha, è pieno di uomini e donne finite in strada per i motivi più vari. Ma queste sono le contraddizioni dei paesi capitalisti del primo mondo, a fronte di un livello di vita alto (per quanto ancora?), qualcuno ne paga il prezzo. Oso affermare che è proprio previsto dal ‘sistema’. Veniamo a noi. La religione cosa c’entra? Beh sinceramente se si seguono i precetti del Vangelo saremmo spinti a vivere secondo principi di rispetto e fratellanza, aiutandoci l’un l’altro, divideremmo il pane. Ma attenzione anche nelle altre religioni monoteiste o nelle filosofie orientali l’uomo è spinto al rispetto della vita, alla carità e all’armonia con il creato. Mi sembra che Papa Francesco stia spingendoci in questa direzione, nonostante la parte più retriva e secolarizzata della Chiesa lo contrasti con ogni mezzo”.
Piega diversa
Interviene Daria, casalinga: “Chi avrebbe mai pensato che un virus di questa portata avrebbe messo così a dura prova la solidarietà tra gli uomini? Oggi il concetto di solidarietà ha preso una piega diversa quasi a diventare sinonimo di coraggio, dato che ognuno di noi è potenzialmente un veicolo di contagio. Siamo diffidenti gli uni con gli altri. Coloro che prima aiutavano le persone ora sono in difficoltà e, a loro volta, hanno paura di non avere abbastanza per sé stessi… ecco perché il valore della solidarietà si è così trasformato, in quanto sembra che aiutare gli altri sia diventato sempre più difficile nonché rischioso. Le persone contagiate vengono tutelate tramite le cure mediche ma allo stesso tempo sperimentano la solitudine ed è proprio in questo momento di sofferenza fisica e morale che sentono crollare tutte quelle certezze che pensavano di aver consolidato, gli altri invece, lottano per il loro lavoro, sono arrabbiati, tristi, delusi e a volte più soli rispetto ai primi nonostante stiano bene e possano abbracciare le loro famiglie ogni sera”.
Le mille sfaccettature della sofferenza
Secondo Daria “il risultato di questa situazione di emergenza è che a farne le spese non sono soltanto i più deboli, le persone ricoverate o le persone sole, ma tutti noi. La sofferenza ha mille sfaccettature e ognuno la vive in modo diverso. Questa pandemia ha influito molto sulle nostre abitudini e persino il semplice respirare è diventato complicato. Tutto questo lascia dentro di noi un profondo senso di inquietudine ed incertezza del domani. L’esclusione sociale, purtroppo, c’è sempre stata e ciò viene riportato dal Vangelo di Luca che ci racconta della guarigione dei lebbrosi. Ai tempi di Gesù, coloro che erano affetti da questa malattia veniva emarginati, esclusi ed abbandonati fuori dai centri abitati. Le persone avevano talmente tanta paura che non riuscivano a vedere nient’altro che la malattia. Oggi, nonostante siano passati secoli, gli uomini ritrovano la stessa paura, per fortuna con modalità un po’ diverse, di contrarre questo virus. I media non fanno altro che dirci di stare lontani persino dentro casa e quindi in un certo senso ci legittimano a far uscire prepotentemente il nostro egoismo“.
Gratitudine verso Gesù
Conclude Daria: “Ma Gesù no. Gesù li ascoltò e loro guarirono. Mi sono resa conto che anche noi potremmo aiutare molte persone anche solo con l’ascoltarle, donando loro un sorriso o un piccolo aiuto per fargli comprendere che non sono sole. Gesù ci ascolta e non ci abbandona mai. Lui è la nostra forza in ogni momento e non ci fa mai sentire esclusi. Dovremmo tutti tornare sui nostri passi e dirgli il nostro ‘grazie’ come quel lebbroso (L’unico su 10) che è tornato indietro a ringraziarlo“. Subentra nel dibattito Giovanni, insegnante di scuola media: “Abbiamo vissuto e viviamo, purtroppo, le conseguenze di un evento, come la pandemia, che ricorderemo nei libri di storia contemporanea. Ebbene, ci siamo svegliati al grido di ‘Ne usciremo migliori’ e ‘Andrà tutto bene’. Ci siamo risvegliati con un modello di socialità “diversamente sostenibile”. Il nostro naturale istinto di sopravvivenza ci ha proiettato in una diminuzione del valore etico della solidarietà. Non si è solidali con il prossimo perché, in questa fase, nessuno lo è con me. Questo è un po’ la sintesi, a mio avviso”.
Trasversalità
Secondo Giovanni “La sofferenza è, sì diffusa, trasversale per ceto sociale, età e condizione: economica, sociale, relazionale, sentimentale. È un po’ una gara a chi non arriva per ultimo, non a chi persegue il podio, perché in realtà la pandemia ci espone tutti al medesimo potenziale di rischio che qualcuno ha sintetizzato con l’espressione (poco felice) di ‘immunità di gregge‘ che interpretato equivale a ‘sopravviva il più forte’. Un modo cinico e dirompente che sembra assestare un duro colpo a quel legame sociale che è la base del nostro progresso. In questo momento il mio personale pensiero va ai bambini, privati di una socialità come la scuola, i compagni del catechismo, i giochi nel parco. Sì, loro soffrono perché ‘scoprono’ un mondo visto solo nei film di fantascienza e che, miracolosamente si trasforma in vissuto quotidiano. Soffrono, altresì gli anziani, privati dei loro affetti, ‘selezionati’ negli ospedali per la somministrazione delle cure in ragione della loro aspettativa di vita. Difficile quantificare la sofferenza, difficile, altresì poter confrontare se è maggiore la sofferenza economica di chi perde un lavoro o quella affettiva, non è invece complesso valutare il grado di sofferenza se si presentano entrambe in un individuo, allora sì che risulta devastante”.
Status aggredito
Si chiede Giovanni: “Quante domande inconsciamente ci pone la pandemia? Numerose. Il mio ‘ego’ è in pericolo? Il mio ‘status’ è aggredito da un nemico invisibile eppur letale? La mia capacità di relazione è minacciata? Potrò frequentare quella persona? Perché dunque preoccuparmi degli altri? Tutto vacilla. L’ alternativa non esiste, esiste solo l’’io’ che contrappongo cinicamente al ‘noi’. È indubbiamente, per molti, la soluzione più rapida e rassicurante. Ritornando alla mia esperienza di educatore osservo negli occhi e nei visi nascosti dalle mascherine una consapevolezza inaspettata, un rinnovato senso di compostezza e di responsabilità. Pazienza se ogni mattina, un’aula è vuota e una classe è in isolamento, i bambini delle altre classi continuano a frequentare, assuefatti ad un’apparente normalità dettata dal contingente”.
Dietro la mascherina
Spiega Giovanni: “Lo fanno, però con giudizio, non abbassano quella mascherina, soffrono in silenzio e quei 20 minuti di cortile sono la normalità di una vita che continua, nonostante tutto, ancora, continua nella certezza che questi giorni saranno solo un ricordo. Questa mia riflessione è un’analisi che può sembrare troppo dura. Ovviamente non condivido la china pericolosa che abbiamo imboccato come società, ma non nutro grandi speranze. Cerco di educare con autorevolezza e affetto, tutti i miei alunni perché i genitori non hanno talvolta gli strumenti e il tempo per farlo. I bambini sono il nostro futuro, se la scuola, la Chiesa, la famiglia lavorano bene, forse potremo migliorare la società”.
La vera vicinanza
Prende la parola Luciano, artigiano: “Proprio in questo momento di grande difficoltà per molti la solidarietà sociale è fondamentale. Tuttavia l’esigenza del distanziamento credo ponga dei problemi anche in questo ambito, perché la solidarietà è anche una vicinanza fisica verso chi ha bisogno. Devono quindi senz’altro essere trovate nuove e diverse strategie. Sicuramente però il sostegno economico può essere una risposta. Sicuramente chi è solo e chi aveva già difficoltà (economiche, psicologiche, sociali, di salute, etc.) che la pandemia ha fatto emergere con più forza ed evidenza. Credo purtroppo che susciti più chiusura in se stessi, anche perché il messaggio che arriva dall’esterno è di stare in casa, avere meno contatti possibile, affidarsi alle istituzioni che però non riescono ad arrivare ovunque c’è bisogno. C’è il rischio che la pandemia accresca l’esclusione sociale. Questo rischio c’è, anzi mi sembra già qualcosa di concreto. Quanto ai lebbrosi evangelici, ho potuto vedere di persona come la malattia (o anche semplicemente la positività al Covid senza sintomi) sia vissuta spesso ancora oggi come una colpa e uno stigma sociale di cui le persone si vergognano. Questo rende ancora più complicata la solidarietà”.
L’urgenza di socializzare
Interviene Annalisa, studentessa scuola media: “In questo periodo, secondo me, la socializzazione è diminuita molto e quindi ci siamo tutti un po’ allontanati. Di conseguenza anche la solidarietà ha dovuto cambiare forma. Soffrono maggiormente gli anziani che hanno un sistema immunitario ormai debole. Anche i poveri che saranno sempre di più. Suscita più una chiusura in sé stessi. L’esclusione sociale è un rischio che esiste perché tutti iniziano ad evitarsi specialmente se pensiamo ai positivi al Covid che tutti allontanano oppure se guardiamo ai poveri come a possibili persone contagiose anche se non sappiamo nulla di loro”. Prende la parola Antonello, studente scuola media: “Penso che il valore sociale è diventato più speciale per tanti. Questo accade perché per la quarantena siamo stati da soli per tanto tempo. Penso che tanti sentono per questo il bisogno di socializzare. Penso che le persone senza tetto soffrono tanto perché dato che siamo costretti a stare a casa, loro hanno molto meno cibo e devono andare a dormire per strada con il freddo. Vedo tanta chiusura in se stessi perché quando stiamo da soli possiamo solo parlare con noi stessi. Se noi continuiamo a stare da soli senza socializzare, poi non ci ricorderemo più come socializzare“.