Alla fine, il fatidico tuffo c’è stato. Gli atleti del triathlon, dopo giorni di polemiche, hanno indossato i propri costumi e hanno svolto la fatidica prova della Senna, nuotando nel fiume cittadino di Parigi nonostante, fino a poche ore prima, gli esperti avessero sconsigliato di utilizzare quelle acque per bagnarsi. Figurarsi per disputarvi una competizione olimpica. L’organizzazione di Parigi 2024, tuttavia, non ha voluto sentir ragioni. Forte della convinzione di aver fatto quanto occorreva per garantire la sicurezza degli atleti (chiaramente in termini di salute) e di avere davanti a sé un fiume “pulito”, in base al giudizio degli esperti, il comitato organizzatore ha finalmente rotto gli indugi e dato il via alle prime gare nella Senna. Le perplessità, tuttavia, sono rimaste al loro posto. Specie dopo aver constatato, dagli atleti stessi, quanto aver optato per il fiume parigino sia stata una scommessa decisamente rischiosa. Basti pensare all’esperienza del canadese Tyler Mislawchuk, più volte di stomaco dopo la gara, o della belga Jolien Vermeylen, intimorita dall’aver bevuto involontariamente un’acqua che le era parsa tutt’altro che limpida.
La pulizia della Senna
È chiaro che l’organizzazione dell’Olimpiade ha puntato fortemente sul proprio fiume. Tanto da rendere di fatto impossibile percorrere un’alternativa, pena l’ammissione di un fallimento. E, per la verità, gli sforzi per rendere la Senna fruibile ci sono stati. Novanta milioni di euro sono stati destinati solo per la realizzazione del bacino di Austerlitz, volto a contrastare il rischio di diffusione di escherichia coli contenendo gli eccessi di acqua fognaria dovuti ai fenomeni meteorologici. Una soluzione che aveva permesso di portare le acque del fiume entro i livelli delle normative europee ma solo provvisoriamente. Tali soglie, infatti, sono troppo suscettibili al cambiamento ed è bastato un periodo di precipitazioni leggermente più intenso ad alterare nuovamente i valori.
È possibile pulire i fiumi?
Vista la spesa e la (tentata) impresa, viene da chiedersi se sia oggettivamente possibile ripulire completamente un fiume messo così duramente alla prova da millenni di interazione con l’uomo. “Quando pensiamo a fiumi cittadini – ha spiegato a Interris.it Endro Martini, Responsabile Nazionale Area Tematica Contratti di Fiume della Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea) – ci vengono in mente il Tevere a Roma o l’Arno a Firenze, ma anche corsi d’acqua più piccoli. Acque che i primi insediamenti utilizzavano senza inquinarle”. Al giorno d’oggi, invece, l’estensione delle città, lo sviluppo delle industrie e i livelli di antropizzazione hanno reso l’interazione uomo-fiume decisamente squilibrata: “Le città sui fiumi sono soggette a fenomeni di inondazione, alluvioni. Guardiamo il Seveso a Milano, il Lambro ma anche lo stesso Arno… Abbiamo, in contemporanea, anche i problemi della siccità. Quando manca acqua, le portate si riducono fino ad arrivare a situazioni di criticità. Poi abbiamo un terzo tema, che è quello della qualità delle acque”.
Monitoraggio della qualità
Il monitoraggio delle acque di un corso d’acqua cittadino è demandato a enti specifici. I quali lavorano affinché le soglie di guardia siano rispettate nell’interesse della salute dei cittadini: “Esiste una direttiva europea che fissa i cosiddetti obiettivi di qualità delle acque fluviali, da raggiungere attraverso efficaci sistemi di depurazione. I depuratori scaricano nei fiumi acque che devono avere determinati requisiti. Può infatti avvenire che una mancata manutenzione degli impianti o un malfunzionamento siano concausa di inquinamento. Chiaramente, abbiamo anche sorgenti di inquinamento che non derivano da mancati sistemi di depurazione: parliamo, ad esempio, di una fognatura che perde o di sversamenti di origine animale – ma anche industriale – non conformi alle normative”.
Il controllo dei fiumi
In Italia, il controllo è appannaggio delle Arpa regionali, i quali “hanno sostituito i vecchi uffici di Igiene e profilassi. Esse hanno una rete di punti nei quali si misura il livello e la portata d’acqua, così da avere dei parametri chimico-fisici a cui corrispondono le quantità di cloruro e di altri agenti inquinanti presenti in acqua. Le agenzie fanno controlli mensili e pubblicano poi i risultati ottenuti. Questi obiettivi di qualità, fissati da Ue, vengono documentati in rapporti triennali realizzati dalle autorità di bacino dei distretti idrografici”. In sostanza, viene periodicamente aggiornato un dossier documentale relativo alla gestione delle acque fluviali, completo di mappatura che mette in evidenza i punti di prelievo. “In tali rapporti viene “evidenziato l’andamento della qualità, da ‘buono’ a ‘scarso’. L’obiettivo ‘buono’ non è stato raggiunto in molti fiumi italiani e, quindi, siamo in procedura di infrazione. In linea generale, è evidente che fare il bagno in un fiume in cui è stata riscontrata la presenza di escherichia coli sia un rischio troppo grande”.
I contratti di fiume
Per quel che riguarda il nostro Paese, un ruolo cruciale è giocato anche dalle Asl locali, le quali “hanno potere d’ordinanza, potendo vietare l’uso o la balneazione nel caso in cui un fiume sia inquinato. Di recente abbiamo avuto il caso del Paglia, affluente del Tevere, dove sono state pescate carpe risultate inquinate da mercurio: il sindaco ha vietato l’uso della carpa a consumo umano. Si può quindi agire anche su segnalazione, ad esempio se dovesse esserci uno sversamento ritenuto pericoloso”. In questa direzione, agisce anche lo strumento del contratto di fiume, “partecipativo e collaborativo”, che consente “ad associazioni locali e stakeholders, privati e pubblici, di poter contribuire all’attivazione di azioni di tutela della qualità delle acque”. Per quel che riguarda la fattibilità della pulizia di un fiume inquinato, ha concluso Martini, l’unica soluzione è “agire sulle cause: se accerto la presenza di determinate sostanze, interrompo la sorgente di inquinamento. Fronteggiare gli effetti diventerebbe molto complicato”.