Secondo gli ultimi dati disponibili relativi all’anno 2020, sono state segnalate 1303 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari ad un’incidenza di 2,2 nuovi casi per centomila residenti.
La Casa-famiglia Riario Sforza
In una zona periferica del capoluogo partenopeo, non lontana dall’ospedale Cotugno, specializzato nella cura delle malattie infettive, sorge la Casa-famiglia Riario Sforza dove – grazie all’impegno dell’Arcidiocesi di Napoli – dal 2003 vengono accolte le persone affette da Hiv e Aids e, oltre a fornire loro le cure sanitarie necessarie, si favorisce il loro reinserimento sociale attraverso l’accoglienza e l’empatia. Interris.it ha intervistato, in merito a questa realtà, Suor Marisa Pitrella, 49 anni di cui 28 di vocazione, appartenente all’ordine delle Figlie della Carita che con altre due sorelle – Suor Gabriella e Suor Cecilia –, sette operatori e dei volontari condivide questa missione in favore degli ultimi.
L’intervista
Come nasce e che obiettivi si pone la vostra casa di accoglienza?
“Nasce all’inizio degli anni duemila – precisamente nel 2003 – dopo una ricerca dei bisogni del territorio svolta dalla Caritas Diocesana. A tal proposito, si è evidenziato che ci sono molte persone le quali hanno l’Hiv e muoiono senza una dignità perché sono senza fissa dimora oppure perché abbandonati dalla famiglia. Per questo motivo, il Cardinale Michele Giordano e l’allora Direttore della Caritas, decidono di aprire una casa di accoglienza per ospitarle. L’intuizione che ne sta alla base è quella di essere un segno di comunione e collaborazione, tanto che vengono chiamati nella stessa i Padri Guanelliani, le Figlie della Carità, insieme con la Caritas per iniziare questo servizio nei confronti dei nostri fratelli più poveri”.
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Quale tipo di aiuto date alle persone che vivono presso la vostra casa?
“Accogliamo le persone curandole – sia fisicamente che spiritualmente -; quindi trovano una casa che le accoglie e li ama. Esse non sono persone malate ma da accogliere e amare. Soprattutto l’amore cura e guarisce le tante ferite ma anche la sofferenza che loro si portano dentro. Oltre a ciò, è previsto anche un reinserimento nella società, in quanto le aiutiamo a recuperare le relazioni con le proprie famiglie e prendersi cura di sé stesse. Coloro che accogliamo provengono da situazioni di estrema fragilità – ad esempio tossicodipendenza, tratta o strada – quindi, la prima cosa che facciamo è accoglierli ed amarli e, in seguito, ci interfacciamo con il territorio per fare avere loro tutto quello che serve come ad esempio una residenza, la carta d’identità, il codice fiscale e tutti i diritti che ogni persona – italiana e non – hanno. Si va dalla perdita della dignità che loro hanno in quanto stanno per strada e non si prendono cura di loro, al ridonare dignità ad ognuno di loro”.
In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra opera?
“Facendo delle donazioni oppure venendo a fare del volontariato. Ciò che facciamo non è solamente l’assistenza e l’accompagnamento all’interno, ma anche promozione nelle scuole e nelle parrocchie, perché oggi di Hiv e Aids non se ne parla più e invece, allo stato attuale, è una situazione ancora molto emergente. I giovani e i meno giovani devono comprendere che, se non c’è una relazione sana e buona, il rischio è che possono contagiarsi. Quindi, le modalità di aiuto possono essere tante, sia da un punto di vista personale svolgendo attività di volontariato oppure di sostegno economico e di accompagnamento. È chiaro che – prima di avere un approccio – è prevista una formazione per far si che gli altri non abbiano paura e non si spaventino”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro?
“Siccome è difficile il reinserimento di queste persone, noi sogniamo di avere una rete dove le stesse possono avere – oltre alla nostra Casa – un luogo dove vivere senza avere alti costi. Alcuni di loro possono vivere in autonomia ma, percependo la sola pensione di invalidità e non potendo lavorare, non possono pagarsi un affitto e le utenze. Quindi il sogno è quello di poter avere altre case da gestire gratuitamente per far vivere loro in maniera più autonoma. La vita è un dono e dobbiamo aiutare a far sì che la stessa possa sbocciare nuovamente. A volte arrivano da noi dei fiori che sono piegati e il nostro sogno e desiderio è proprio quello di aiutarli a risbocciare. Credo che ci arriveremo”.