La pandemia del Covid 19 non ha bloccato le costose e controverse pratiche di procreazione medicalmente assistita (pma) o almeno lo ha fatto solo in un periodo di tempo limitato, quello relativo ai mesi primaverili del lockdown più severo. E’ quanto emerge dai dati riportati un’indagine effettuata nei 5 centri del gruppo Genera in tutta Italia (Roma, Torino, Marostica, Napoli e Umbertide), dove si è registrato un aumento di oltre 8 volte dei “pick up”, cioè le procedure di prelievo ovocitario, rispetto all’agosto del 2019.
Ovviamente questo report che fotografa un incremento dell’800% dei procedimenti di pma non considera i numeri delle altre decine di centri per la fertilità presenti in tutta Italia, tuttavia mette a fuoco un trend significativo, che mostra chiaramente una ripresa della corsa alla fecondazione assistita, durante l’estate che si è appena conclusa. In pratica le coppie che sono state costrette a restare in casa a marzo, aprile e maggio appena hanno potuto si sono rivolte ai centri per la fecondazione assistita, una scelta determinata forse anche dai tentativi di concepire un figlio andati a vuoto durante la quarantena, che ha consentito a molti aspiranti genitori di confrontarsi più seriamente con i problemi di infertilità.
Questo vero boom nel mese di agosto si inserisce comunque in un consolidato aumento della pma. A gennaio 2020, prima della pandemia, si era infatti registrato un aumento del 10% dei trattamenti rispetto a gennaio 2019. Poi a marzo c’è stato un inevitabile calo del 37%, ma dopo lo stop primaverile l’esplosione: un +30% a giugno, seguito da un +55% a luglio.
Tutto questo ci racconta di una grande voglia di maternità e paternità degli italiani ma anche di un grave incapacità di valutazione critica nei confronti di pratiche molto complicate (le percentuali di successo restano remote) ed eticamente discutibili, soprattutto dopo gli interventi della Corte Costituzionale che hanno letteralmente smantellato la legge 40, nonostante la normativa fosse stata confermata dagli italiani in un referendum del 2004.
Le sentenze della Consulta hanno creato un vero e proprio far west della procreazione medicalmente assistita. Nel 2009 i giudici hanno abolito il divieto di formare embrioni in sovrannumero. Inizialmente infatti la legge prevedeva la produzione di soli tre embrioni da inserire nelle vie genitali della donna. Il numero è stato quindi lasciato alla discrezionalità del medico “nei limiti dello strettamente necessario”. Poi nel 2014 la Corte è intervenuta di nuovo abolendo anche il divieto di eterologa. In pratica le coppie sterili possono ottenere gameti di altre persone (ovuli o seme) privando del diritto all’identità il nascituro.
L’esplosione delle procedure di prelievo ovocitario registrata questa estate lascia inoltre amareggiati il mondo delle realtà che operano nel campo delle adozioni. Ai.Bi. – Amici dei Bambini, ente autorizzato all’adozione internazionale, ricorda in una nota che mentre “le coppie senza figli, ricorrono a complicate procedure mediche, i bambini abbandonati di tutto il mondo, per i quali queste coppie potrebbero essere una preziosa risorsa, restano in attesa”.
“Il senso di ingiustizia dato da questa situazione è forse ancor più forte se si pensa che, stando a quanto riportano le coppie che per la prima volta incontrano un ente autorizzato – si legge ancora nel comunicato di Ai.Bi. – pare siano a volte gli stessi servizi o i medici a dire loro di provare prima a fare qualche tentativo con la pma prima di considerare l’adozione, che, così, diventa tristemente l’ultima spiaggia”. Secondo l’Ente ci sono anche dei pregiudizi alla base di questo comportamento: “Emblematiche sono le motivazioni fornite dalle coppie che favoriscono la fecondazione assistita all’adozione. Tra tutte la convinzione per cui i tempi per l’adozione di un bambino siano troppo lunghi. Ma, alla luce dei dati, la convinzione che la PMA sia un percorso più semplice, si dimostra infondata ed errata”.
Per fare un esempio Ai.Bi riporta i dati del 2017, secondo cui le percentuali di successo delle tecniche di fecondazione assistita senza donazione di gameti, considerando come indicatore la percentuale di gravidanze ottenute su cicli iniziati, si attestavano su un valore medio effettivo di due su 10: il 10,3% per le tecniche di I livello, il 17,6% per le tecniche di II e III livello, il 29,3% per le tecniche da scongelamento di embrioni e il 16,9% per le tecniche da scongelamento di ovociti.
“Per contro nove su 10, con lo stesso termine di paragone, sono le coppie che, dopo aver conferito l’incarico a un ente autorizzato, riescono a portare a termine l’adozione internazionale di un minore abbandonato”, ha spiegato il presidente di Ai.Bi. Marco Griffini. “Senza menzionare che, negli iter di adozione, si realizza anche quello che, probabilmente, è il più grande gesto di giustizia che una persona possa compiere al mondo – prosegue – dare una seconda opportunità a chi ha avuto come unica colpa quella di essere nata nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Forse, in un mondo che corre sempre più veloce, almeno su questi numeri varrebbe la pensa soffermarsi a pensare”.
Parlando con In Terris, Griffini denuncia quindi la crisi dell’adozioni internazionali che va avanti da circa un decennio. Si è passati infatti dai 4.022 minori adottati nel 2011 ai meno di mille dello scorso anno. Un record negativo dovuto anche ad anni di cattiva gestione della Cai (Commissione adozioni internazionali, gestita dal governo) e alla decurtazione dei fondi destinati ai rimborsi per le spese sostenute per l’adozione.
“Quest’anno non arriveremo a 500 adozioni, questo è spiegabile per via del Covid, ma in questo frangente i Paesi esteri stanno mostrando più buona volontà del nostro governo. Nazioni del sud America e dell’Est europeo, come Ucraina e Haiti, organizzano on line persino il primo incontro tra aspiranti genitori e bambini, evitando così un lungo viaggio in tempi di pandemia” racconta ancora Griffini.
“Una nostra inchiesta sui 29 tribunali dei minori in Italia – prosegue – ha portato alla luce molte inefficienze. Solo la metà ha lavorato in smart working e almeno 6 non rispondevano nemmeno al telefono”. Il presidente di Ai.Bi. mette anche l’accento sulla Cai; la commissione governativa non si riunisce da 9 mesi e il governo non ha provveduto a sostituire il vicepresidente e il direttore generale di questo organismo decisivo per le adozioni internazionali. Per questo Griffini chiede uno scatto della burocrazia italiana: “In questo periodo abbiamo fatto corsi di formazione ad oltre 250 ma per l’idoneità all’adozione servono i tribunali”.
Insomma serve uno sforzo per rilanciare il sistema delle adozioni e non facili scorciatoie, alimentate dalla cultura individualista e dello scarto (In Italia ci sono oltre 38000 embrioni congelati e almeno altri 63mila ovociti fecondati di cui non si conosce la sorte), che conduce, il più delle volte, solo a disperate frustrazioni. La fecondazione artificiale dovrebbe essere una soluzione residuale rispetto altri percorsi terapeutici per la fertilità della coppia e l’adozione dovrebbe essere presentata dalle istituzioni e da tutte le agenzie culturali come la più nobile opzione per dare una famiglia ad un bambino che ne è privo e soddisfare il proprio desiderio di genitorialità.