“L’agricoltura è sia vittima che concausa del cambiamento del clima”, afferma a Interris.it Federica Ferrario, responsabile Campagna, Agricoltura e Progetti Speciali di Greenpeace Italia.
Greenpeace a difesa dei campi
Da sempre appassionata di etologia, ecologia e ambiente. Lombarda di nascita, Federica Ferrario ha collaborato con il Parco Lombardo della Valle del Ticino. Si è occupata di gestione dei rifiuti e bonifiche. Dal 2002 è la Responsabile Campagna Agricoltura e Progetti speciali di Greenpeace Italia e dal 2016 segue le problematiche legate agli accordi commerciali internazionali.
“L’agricoltura ci permette di portare cibo sulla tavola ogni giorno, è alla base della vita di tutti. Ovviamente però, non sono solo e rose e fiori, ma come molte attività umane porta con sé anche impatti importanti. Pesticidi, deforestazione, perdita di habitat naturali. E ancora, consumo di risorse, inquinamento di acqua e suolo, cambiamenti climatici. Ho fatto solo alcuni esempi. Sì, perché l’agricoltura è sia vittima che concausa del cambiamento del clima”.
“Basti pensare all’enorme uso di fertilizzanti di sintesi. O alle foreste, fondamentali per sequestrare carbonio. Abbattute per fare spazio a pascoli e a coltivazioni di prodotti da destinare alla mangimistica come la soia. Ai carichi di nitrati nel suolo a causa delle enormi quantità di deiezioni animali provenienti dagli allevamenti intensivi. O alle polveri sottili che respiriamo. In Italia l’allevamento intensivo è la seconda causa di formazione di PM2,5 (le polveri sottili) a causa dell’ammoniaca prodotta. Questi sono solo alcuni esempi. Ma sufficienti a dare un’idea di quanto l’agricoltura intensiva impatti sulla salute del pianeta”.
“In agricoltura intensiva si fa un grande utilizzo di pesticidi. Erbicidi, insetticidi, fungicidi, eccetera. La storia dei pesticidi ci insegna che spesso nuovi principi attivi vengono immessi sul mercato e pubblicizzati come innocui. Solo dopo anni o decenni di utilizzo, si riesce a comprendere il quadro degli impatti. A livello di salute e di ambiente”.
“Le normative sui pesticidi non sono univoche a livello mondiale. Ma differiscono da paese a paese. Questo fa sì, nella pratica, che in determinati paesi alcune sostanze siano vietate a causa dei loro impatti. E in altri purtroppo sia comunque legale utilizzarli. Da questo punto di vista, l’Unione europea ha normative sui pesticidi. Lungi dall’essere perfette, ma sono più avanzate rispetto a molti altri paesi”.
“Per fare un esempio, l’investigazione di recente pubblicata da Greenpeace e Public Eye, riguarda la produzione e l’esportazione dall’Ue, di pesticidi vietati nell’Unione europea. Dall’analisi è risultato un volume complessivo di oltre 80.000 tonnellate di pesticidi. Il loro uso è stato giustamente vietato nell’Ue a causa dei loro potenziali rischi per la salute umana o per l’ambiente. Sono stati esportati nel 2018 in 85 paesi diversi, di cui oltre la metà destinate a nazioni in via di sviluppo”.
“L’Italia è risultato essere il secondo Paese europeo– dopo il Regno Unito– per export di queste sostanze, oltre 6.000 tonnellate. Tra l’altro da molti di questi paesi l’Unione europea importa derrate alimentari. Che potrebbero quindi contenere residui di queste sostanze vietate. Insomma un cane che si morde la coda. Questo fa capire come esistano consumatori e agricoltori di serie A e serie B”.
“Sono diversi e riguardano diversi ambiti. I pesticidi ne sono un esempio, con impatti sia su salute e ambiente. Inquinamento di corsi d’acqua superficiali. Ma anche di falda, con devastanti impatti su flora e fauna. Ad esempio ormai è un fatto risaputo che api e impollinatori sono in declino. E una delle principali cause è appunto l’uso di pesticidi”.
“Il fenomeno è talmente evidente che nel 2018 sono stai vietati nell’ Ue tre insetticidi largamente utilizzati. Proprio a causa degli impatti su api e impollinatori. Le stesse sostanze però, continuano ad essere utilizzate in altri luoghi. E anche nell’Ue continuano ad essere usati molti principi attivi pericolosi per questi insetti così fondamentali per la nostra esistenza. Dato che ci offrono, gratuitamente, il servizio di impollinazione”.
“Dalle api dipende il 30% del cibo che portiamo in tavola. E oltre il 70% del cibo che coltiviamo è influenzato a livello qualitativo e quantitativo, dall’opera degli impollinatori. L’allevamento intensivo è un altro grande problema. Produciamo e consumiamo troppa carne. A livello europeo le stime ci dicono che circa il 17% dei gas a effetto serra dell’Ue deriva da questo settore. Ovvero emissioni maggiori di auto e furgoni messi insieme. L’ammoniaca che deriva dalle deiezioni di questi animali, una volta in atmosfera da il via alla formazione di polveri fini”.
“I famosi PM2,5 che tanto male fanno alla nostra salute. I liquami sparsi sui campi in quantità eccessiva, fanno superare i limiti legali dei carichi di azoto e contaminano le acque. Tant’è che sull’Italia pende una procedura di infrazione europea per la Direttiva nitrati. L’agricoltura industriale, è responsabile inoltre di circa l’80% della distruzione delle foreste con maggiore biodiversità. Spesso per far posto a coltivazioni destinate alla mangimistica”.
“Questo molto dipende dalla volontà politica dei diversi paesi. Dalla diversa consapevolezza del problema. E da diversi strumenti a disposizione e possibilità. Ci sono paesi più poveri che, ad esempio, non hanno strumenti o sufficienti informazioni per intervenire adeguatamente. Altri, anche molto ricchi, dove le lobby delle aziende agrochimiche sono molto forti”.
Chi sono?
“Per fare un esempio, gli Stati Uniti sono fra le economie più ricche. Ma, ciò nonostante. sono autorizzati e si possono utilizzare molti pesticidi che invece in Europa sono vietati da anni a causa degli impatti su salute e ambiente”.
“C’è ancora molto da fare. Da un lato in Italia abbiamo un’agricoltura ancora ricca di biodiversità e su piccola scala. Ma si sta osservando una intensificazione del settore. Ogni hanno perdiamo migliaia di aziende agricole che vengono fagocitate da aziende sempre più grandi e sempre più intensive”.
“Queste aziende stanno ‘standardizzando’ sempre più la produzione. Col rischio di far diventare il famoso ‘made in italy’ un concetto astratto. Nel nostro Paese si usano ancora troppi pesticidi. E alleviamo molti più animali (concentrati in capannoni di allevamenti intensivi) di quanto il nostro territorio sia in grado di sostenere”.
“Per queste ragioni è ancora più importante che i fondi in arrivo dalla prossima Pac (Politica agricola comune) e dal Recovery fund. Vanno usati in modo intelligente. Non per finanziare attività non più sostenibili per salute e ambiente. Ma occorre investirli per una vera transizione della nostra agricoltura verso l’agroecologia. Per ‘costruire’ un futuro resiliente di questo settore. C’è inoltre una cosa che possiamo fare tutti”.
“Stare attenti a ciò che mangiamo. E’ un gesto semplice ma importante allo stesso tempo. Scegliendo di mangiare più verdura e meno carne, prodotti locali e di stagione e se possibile biologici, facciamo la nostra parte per ridurre l’impatto sul pianeta”.