Fermare la guerra con la forza della preghiera. È questo il “grido” di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e professore di storia contemporanea. A Roma presso la parrocchia di Sant’Ippolito, in zona piazza Bologna, Andrea Riccardi ha parlato di pace nel contesto di un ciclo di incontri culturali organizzati sul tema “Di cosa sei capace o uomo?“. Dopo gli incontri con mons. Fisichella e col cardinale Zuppi, Riccardi ha proposto una riflessione sul tema della pace in un tempo in cui la guerra è entrata nella nostra quotidianità. “L’uomo e la guerra. L’uomo è capace solo di conflitti?” è il tema della serata che ha convocato circa duecento persone nel noto cinema parrocchiale in via delle Province.
In un teatro gremito, con una grande partecipazione di giovani, il fondatore di Sant’Egidio ha ripeso le riflessioni presentate nel suo ultimo saggio, recentemente pubblicato dalle edizioni San Paolo e intitolato “Il grido della pace“, per meditare sul dramma della guerra, sulla necessità urgente della pace e sulle insidie che uno stato di conflitto permanente comporta per la società. Citando Edgar Morin Riccardi ha sottolineato la necessità di stroncare sul nascere i conflitti che più si aggravano e più rischiano di coinvolgere altre nazioni e più rendono difficile il ristabilirsi di una pace duratura.
Il focus è sulla guerra in Ucraina, “popolo esperto nel soffrire”, un conflitto in primo piano durante la stesura del libro, oggi messo in secondo piano da quello riaccesosi in Medio Oriente col feroce attacco di Hamas e la dura risposta militare di Israele. Conflitti particolarmente difficili perché affondano le loro radici nella storia di queste nazioni e subiscono l’influenza di forti identità etniche e religiose.
“La nostra generazione non ha vissuto la guerra” ha affermato Riccardi, ma col tempo si è ripreso a considerare la guerra come uno strumento utile per risolvere i conflitti, come strumento di politica internazionale. Cosi il grande pericolo che corriamo è quello di diventare indifferenti e di considerare la guerra come un evento tecnico, pulito, che non ci preoccupa né ci coinvolge più di tanto. Riccardi ha citato le memorie del principe Harry che racconta di aver ucciso 25 persone in Afghanistan semplicemente pulsando un tasto dall’elicottero.
Col tempo le politiche di pace hanno lasciato spazio a politiche belliche e il rischio oggi è quello di normalizzare ed “eternizzare” la guerra. Dimentichiamo presto i conflitti che scoppiano in tutto il mondo: come oggi dimentichiamo l’Ucraina, così abbiamo presto dimenticato l’Afghanistan e la crisi umanitaria in parte dovuta a errori dell’Occidente. In questo senso il più grande errore di fronte a una guerra è quello dell’indifferenza.
Per questo è di fondamentale importanza informarsi, «informarsi con passione e con pazienza» per conoscere a fondo le guerre, le storie dei popoli coinvolti, le ragioni politiche e geopolitiche che stanno alla base dei conflitti, le situazioni sociali ed economiche delle popolazioni interessate, «così come ci si informa sulla salute di una persona cara». Citando il teologo protestante Karl Barth Riccardi ha ricordato che il cristiano deve avere «in una mano la Bibbia e nell’altra mano il giornale» perché non si può dimostrare di amare ciò che non si conosce mentre l’informazione crea una coscienza, una passione che denota amore e interesse.
Cosa può dunque fare il cristiano di fronte alla guerra? Sicuramente mostrarsi solidale, sostenere in maniera diretta le popolazioni colpite e le vittime della guerra, coloro che pagano con la loro vita l’orrore delle politiche belliche, ma soprattutto attraverso la preghiera che diventa per i cristiani un dovere e una responsabilità. Il cristiano deve pregare e pregare molto per la pace «perché come diceva un uomo di pace Giorgio La Pira, “la preghiera è il motore della storia”». Pregare conoscendo ciò per cui che si prega: «dovremmo conoscere i nomi dei vari conflitti e delle popolazioni in campo e stringerli tra le mani come i grani del rosario» mentre preghiamo per la pace. Così Riccardi ha sottolineato la centralità di uno dei pilastri della Comunità da lui fondata, la preghiera ed in particolare la preghiera per la pace, spesso offuscata dalle opere di stampo sociale e dalle incursioni in campo politico per cui Sant’Egidio è pubblicamente conosciuto.
Rispondendo alle numerose domande del pubblico Riccardi ha poi ripreso e sviscerato diversi concetti espressi nel suo discorso. Dal ruolo della Chiesa nelle trattative di pace fino al ruolo dei media.
“Il giornale non è la bibbia” ha specificato rispondendo a una domanda sulle false notizie dei media. Durante i conflitti bellici c’è sempre, e da ambedue le parti, il rischio di diffondere false notizie, notizie di regime, propaganda utile alla causa. Il cristiano deve dunque avere l’inquietudine di informarsi bene. In questo senso i media cattolici offrono un buon servizio nel cercare di raccontare i conflitti che altri giornali ignorano. Un modo per approfondire e avvicinarsi alla verità è quello di avvicinarsi alle vittime, di ascoltare le loro storie, come quelle dei migranti che fuggono dalle guerre, che hanno perso tutto a causa della guerra. Si tratta, con parole di papa Francesco, di «toccare le membra sofferenti delle persone che escono dalla guerra». «Non dico che sia l’informazione esatta, ma lo storico fa storia coi documenti, con le testimonianze orali, che non sempre sono credibili ma danno il sapore della realtà»
Rispondendo a una domanda sul ruolo delle donne nelle trattative di pace Riccardi vede una possibilità, le donne infatti hanno propensione al dialogo e alla trattativa più degli uomini, ma non nega, citando Hillary Clinton e Margaret Thatcher, che ci siano state donne che accecate dal potere sono cadute nella trappola della guerra come arma politica.
Sul ruolo politico di mediazione svolto dalla Chiesa Riccardi ha difeso papa Francesco, accusato da più parti di essere eccessivamente cauto ed equidistante nelle sue dichiarazioni pubbliche sul conflitto russo-ucraino ma anche in quello mediorientale. Lo si accusa di avere una posizione di neutralità ma «in questo senso – ha affermato Riccardi – papa Francesco è profondamente tradizionale» nel situarsi in piena continuità coi suoi predecessori del novecento «da Benedetto XV “la guerra è un’inutile strage”; a Pio XII: “tutto è perduto con la guerra, niente è perduto con la pace”; a Giovanni XXIII con la sua Pacem in Terris; a Paolo VI all’ONU dice “mai più la guerra!”; a Giovanni Paolo II di cui ricordiamo “La guerra è un’avventura senza ritorno”». La Chiesa ha una passione per la pace e il papa lo dimostra con i suoi gesti e le sue parole.
La Fratelli Tutti non è solo un documento sulla fraternità, è un’enciclica sulla Pace: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni». «Questa è la posizione della Chiesa, che si nutre della grande esperienza del popolo di Dio che sa che il mondo esce peggiore da ogni guerra».