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Il fenomeno dei baby influencer: l’infanzia nelle strategie di marketing

Il marketing usa le strategie più subdole e, in nome del consumo, fagocita i bambini persuasori e i loro coetanei

I “baby influencer” (o “kid influencer”), sono bambini che spopolano sul web, illustrando giocattoli, vestiti e altri articoli, spalleggiati dal marketing delle grandi aziende, per favorire, così, un settore in enorme crescita (un fatturato di mille miliardi di euro nel mondo). Le strategie commerciali, da sempre, hanno utilizzato i media disponibili adattandoli ai vari segmenti generazionali. La TV è stata l’apripista, indirizzando i consumatori all’acquisto “dovuto” (fatto passare per “voluto”). Agli albori, visto il pubblico limitato e maturo a cui si rivolgeva, la televisione non ha soffermato l’attenzione sui piccoli. Con il passare degli anni, complice un’offerta più ampia e ricca anche di canali tematici, l’interesse verso i bambini è aumentato. Ora si assiste al trionfo dei social, che hanno anche la brillantezza di essere mirati al target d’età: Facebook per gli adulti, Instagram e TikTok per i giovani e i giovanissimi.

Nel mondo occidentale, in particolare in Italia, si è verificato un curioso fenomeno: dopo i grandi numeri del baby boom (nati tra il 1945 e il 1964), le generazioni successive sono state sempre meno consistenti. A questa diminuzione dei bambini, tuttavia, si è affiancata una notevole crescita di interesse commerciale nei loro confronti (al contrario di quando erano moltissimi ma poco attenzionati). Il fenomeno è ancora più inquietante per la “regia” che, spesso, vi è dietro: gli sponsor di questi bambini così influenti sono i loro genitori, che li “gettano” nell’arena mediatica, in una logica di puro arrivismo e di competizione per guadagnare soldi e fama. Non si tratta, quindi, di bambini sfuggiti al controllo di mamma e papà, anche perché l’età minima per iscriversi ai social è, in Italia, di 14 anni (nel resto del mondo oscilla, in genere, tra 13 e 14 anni).

Il baby influencer è, spesso, la punta di un iceberg, in cui la parte immersa è quella genitoriale/imprenditoriale che non si pone scrupoli. In alcuni video, a sponsorizzare una vita felice, spensierata e fondata sul consumo, accanto ai piccoli ci sono, dunque, i genitori. Questo è l’ordito disegno della famiglia ideale: felice perché spende, unita perché consuma.

Quanto incidono, tuttavia, tali figure nella psiche dei piccoli? Quanto li condizionano e come minano la loro creatività?  Un tempo, i piccoli creavano da soli i loro giochi, alimentati da grande fantasia nella scoperta del mondo. Con i kid influencer c’è chi già gli sta “organizzando” la creatività, canalizzandola in aspetti sempre più commerciali. Si modellano gli individui secondo il mercato, sin da piccoli. Il bambino rappresenta il futuro consumatore, per cui, nelle logiche di mercato, è necessario porre le basi “educative” di come soddisfare ogni sfizio da adulto: cambia l’età ma restano vivi i capricci materiali da appagare, pena la mancata felicità, l’esclusione e la bollatura sociale. Non si rispettano, in tal modo, la dignità e la vita dei minori poiché il loro consenso non nasce da una scelta consapevole, vista la tenera età; in futuro potrebbero ripensarci e non accettare di essere stati dati in pasto pur di lucrare like e soldi.

La quotidianità del kid influencer è sbandierata e spiattellata al mondo intero, a grandi e piccini alla visione, in una totale osmosi fra pubblico e privato. In tale circo, viene meno anche quel sano e genuino rapporto tra pari, tra coetanei che si dovrebbe instaurare. Più che di gruppo dei pari, ci si dovrebbe riferire a un gruppo di dispari, viste le profonde differenze in gioco, a carattere economico, sociale e valoriale. Non si instaura alcuna socialità, quella condivisione, che si mostra e che si vede, è solo esteriore e basata su un prezzo. Il tutto, inoltre, crea dipendenza e squilibra ogni rapporto equo tra pari, poiché una persona è la star e tutti gli altri pendono, acriticamente, dalle sue labbra.

I piccoli persuasori hanno un ascendente particolare nei confronti dei loro coetanei: non c’è discernimento e valutazione, per cui si accetta ogni messaggio in modo assoluto. La presa è davvero ipnotica, al punto che i dispositivi digitali dilagano anche a età molto tenere. Scorrono video di marketing, soppiantando, molto spesso, i cartoni animati e il loro messaggio educativo. I kid influencer, seguiti da milioni di follower, hanno imparato presto, con notevole perizia, come disimpegnarsi davanti alla telecamera. Cresciuti in troppa fretta, hanno compreso (ben istruiti se necessario) il valore di un “like” e del “mi piace”, accompagnato a un brand e a un articolo da promuovere tra un video e l’altro.

Il 24 gennaio 2013, nel Messaggio per la XLVII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Papa Benedetto XVI ricordava “La cultura dei social network e i cambiamenti nelle forme e negli stili della comunicazione, pongono sfide impegnative a coloro che vogliono parlare di verità e di valori. Spesso, come avviene anche per altri mezzi di comunicazione sociale, il significato e l’efficacia delle differenti forme di espressione sembrano determinati più dalla loro popolarità che dalla loro intrinseca importanza e validità. La popolarità è poi frequentemente connessa alla celebrità o a strategie persuasive piuttosto che alla logica dell’argomentazione. A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si esprimono in maniera più suadente. I social media hanno bisogno, quindi, dell’impegno di tutti coloro che sono consapevoli del valore del dialogo, del dibattito ragionato, dell’argomentazione logica; di persone che cercano di coltivare forme di discorso e di espressione che fanno appello alle più nobili aspirazioni di chi è coinvolto nel processo comunicativo”.

La scrittrice Holly Bathie è l’autrice del volume “Social media. Manuale di sopravvivenza”, pubblicato da “Usborne” nell’ottobre 2022. Si tratta di un testo leggibile sin dai 10 anni di età. L’estratto recita “Ormai è impossibile tenere i bambini lontani dai social media, eppure non tutti sanno come utilizzarli in maniera sana e sicura. Grazie a questa guida, i più piccoli (e non solo) scopriranno tutto su privacy, messaggi diretti e influencer, imparando a proteggersi da bulli, immagini ritoccate e fake news”.

Nello scorso febbraio, il portale ticinonline, al link https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1647282/anni-baby-influencer-soldi-bambini, riportava “L’86% dei millennials (nati fra il 1980 e il 1996, ndr) afferma che le loro decisioni di acquisto sono influenzate dai figli Gen Alpha (nati dal 2010 in poi, ndr), che a loro volta vengono influenzati per il 28% dai loro coetanei, per il 25% dai blogger e per il restante dai familiari. Bambini e adolescenti che al di sotto dei tredici anni, per legge, non potrebbero neppure avere un profilo social e che invece postano foto personali alla ricerca di like e follower. Il sito citava anche nomi famosi, fra questi “Ha fatto molto scalpore lo scorso anno la notizia di Boram, a oggi 7 anni, della Corea, ha comprato un grattacielo da otto milioni di dollari nell’esclusivo quartiere di Gangnam a Seul. Questa bambina è una youtuber da oltre 30 milioni di follower, ha ben due canali: uno per le recensioni di giocattoli e un altro in cui pubblica un video blog per i suoi fan che la seguono quotidianamente”.

generazioniconnesse.it, portale per “educare all’uso consapevole della rete e imparare a riconoscere i rischi a esso legato”, al link https://www.generazioniconnesse.it/site/it/2023/02/08/il-30-dei-giovani-passa-pi-di-5-ore-online-la-ricerca-2023-/, sempre nello scorso febbraio, precisava “Rispetto agli anni passati, c’è un’ulteriore diminuzione di coloro che affermano di essere connessi oltre 5 ore al giorno: oggi sono il 47%, contro il 54% del 2022 e il 77% del 2021. […] Sta cambiando, poi, il comportamento adottato sui social network. La parte di intrattenimento rimane preminente: 2 su 3 li usano per restare in contatto con gli altri, 1 su 2 per seguire creator e influencer”.

In Italia non esiste ancora una norma specifica sull’argomento. Vista la delicatezza del caso e delle parti coinvolte, si rende necessaria una regolamentazione molto accurata e rispettosa delle età infantili poste a repentaglio, del lavoro minorile (vietato sino ai 16 anni, tranne casi particolari e tutelati), della privacy e del diritto all’oblio. Pubblicare fotografie e video di bambini comporta dei rischi gravi che il web, purtroppo, rappresenta in continuazione. Il business di questi contenuti multimediali presenta solo rischi, camuffati, per chi li produce, da un subdolo e diabolico guadagno economico. Qual è il rapporto con il denaro che questi pargoli, ricchissimi, imparano a costruire? Qual è la considerazione che nutrono nei confronti del denaro e, al tempo stesso (conditi dall’esempio degli adulti che li circondano), delle persone? La risposta è, inevitabilmente, negativa.

Appare superfluo evidenziare come l’infanzia e lo sviluppo psicofisico dei baby influencer e dei loro follower siano molto compromessi, eppure, nei fatti, non sembra essere una problematica così sentita. Il rischio di gravi conseguenze negli anni a venire, a livello caratteriale e mentale, con patologie e dipendenze, è palese. Sono tutte vittime. In questa guerra dell’esteriore, che indirizza sin dai primi anni di vita, sono condannati tutti i bambini, sia quelli che guadagnano sponsorizzando vestiti e giocattoli, sia quelli che li seguono come serpenti al suono del piffero. I genitori, dal canto loro, hanno fallito la loro missione, sia quelli che si arricchiscono sia quelli che subiscono i figli sempre più esigenti.

A queste famiglie, ricche e felici solo in apparenza, si contrappongono quelle del mondo che non può spendere, se non per nutrirsi, con difficoltà. I loro figli non abboccano a sirene commerciali né si crucciano per questo, poiché li rende felici una palla di pezza che rotola, rincorsa e presa a calci insieme ad altri bambini festanti. La persuasione non fa leva su loro, la felicità non è negoziabile.

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