Non c’è progresso sociale senza contributo femminile all’avanzamento scientifico della collettività. In Terris ha intervistato la studentessa Claudia Vitturini che ha appena portato la sua testimonianza a convegno sull’apporto femminile alla scienza. Nata a Fermo nel 1997, cresce e vive a Servigliano. Diplomata nel 2016 al Liceo Classico “Annibal Caro” di Fermo, il 4 ottobre 2017 si immatricola all’Università degli Studi di Camerino e inizia il suo percorso di studi universitario in Medicina Veterinaria. Dal 2018 fa parte del Consiglio degli Studenti dell’Università di Camerino. Prima come rappresentante in Senato Accademico (fino al 2021) e poi come rappresentante del corso di Medicina Veterinaria. Tra le esperienze più significative della laureanda marchigiana c’è lo scautismo. Un impegno e una passione coltivati per 15 anni, dal 2005 al 2020. Ecco un esempio, quindi, di “genio femminile” nelle materie scientifiche. Una preziosa testimonianza al femminile a In Terris.A partire dal suo intervento sulle prospettive “rosa” della scienza. Cosa significa essere una studentessa in ambito scientifico?
“E’ una grandissima opportunità e questo è bene ricordarlo e ribadirlo, considerando che ancora oggi moltissime donne nel mondo non hanno libero accesso all’istruzione. Allo stesso tempo, però, non nego che pensare al futuro mi agita un po’: quale percorso intraprendere? Vado o non vado all’estero? E se volessi costruirmi una famiglia? Forse non sono l’unica giovane donna a farsi queste domande, ma il punto sta proprio qui: è come se una ragazza avesse già dentro di sé la consapevolezza che se sei una donna dovrai fare delle scelte, delle rinunce, ti dovrai accontentare. Famiglia o lavoro: o sei una brava moglie/figlia/mamma o sei una brava lavoratrice. Questa è una provocazione, conosco donne che riescono a fare bene tutte queste cose. Ma per chi, come me, sta per arrivare alla fine degli studi e dovrà fare delle scelte, queste sono tutte voci che possono risuonare nella mente di una ragazza”.
Un tempo le materie scientifiche erano appannaggio degli uomini. Ci sono ancora resistenze culturali da superare?
“Credo che il problema sia certamente di tipo culturale. Parliamo di stereotipi, opinioni precostituite e generalizzate non basate su un’esperienza diretta che applichiamo su persone o gruppi sociali. E’ uno stereotipo ad esempio, ritenere che ci siano lavori più adatti alle donne e lavori più adatti ad un uomo: nel nostro immaginario collettivo, c’è la maestra e non il maestro, c’è l’ingegnere e non l’ingegnera, e potrei fare mille altri esempi. Sono tutte idee che ci vengono trasmesse dalla famiglia, dalla società, più o meno volontariamente, perché ‘è normale che sia così’, ‘è giusto che sia così’. Ma questa idea di ‘giusto’ o ‘normale’ ce la siamo creata noi, i nostri antenati per essere corretti, è stata socialmente accettata ed è stata trasmessa di generazione in generazione. E’ diventata cultura”.A cosa si riferisce dal punto di vista femminile?
“Molto spesso siamo noi donne in primis ad avere moltissimi stereotipi e non ce ne rendiamo conto: il fatto stesso che io mi faccia tanti problemi per il mio futuro è perché nella mia mente dovrò essere una brava moglie, figlia, mamma e lavoratrice. Un altro stereotipo è pensare, per esempio, che per una donna il lavoro perfetto sia un lavoro part-time: si lavora metà giornata e l’altra metà la si impiega per stare con i figli, con la famiglia, per occuparsi della casa. Come ci sono lavori più adatti a un uomo piuttosto che ad una donna, ci sono anche studi più adatti: del resto, sa che le ragazze sono più portate per gli studi umanistici e i ragazzi sono più bravi nelle materie scientifiche. Ma chi l’ha detto? Sulla base di cosa?”.Ragazze e Stem, il 54% ama la scienza. Ma ancora pensa che sia “poco adatta” a una donna. I dati diffusi in occasione della Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza: immatricolazioni scientifiche in aumento, ma pesano ancora le preclusioni contro il “genio femminile”. Perché secondo lei?
“Osservando la situazione oggi, non possiamo negare che le cose stanno cambiando: aumentano i numeri delle ragazze iscritte a corsi di studio scientifici e questo è rincuorante. Non dobbiamo però cadere nell’errore di credere che tutto sia risolto, di credere che non ci sia questa disparità, il fatto che le percentuali aumentino non significa che le cose siano a posto. La strada da percorrere è ancora molta e quella che vediamo è solamente la punta dell’iceberg. Dobbiamo lavorare ancora molto, prima di tutto dobbiamo cercare di eliminare gli stereotipi di cui parlavo prima: lavoro impegnativo, dato che sono idee che si sono ben impiantate nella mente delle persone per moltissimo tempo. È come se volessimo scalare una montagna senza però sapere dove inizia il sentiero: iniziamo partendo dal linguaggio”.Può farci un esempio di contributo femminile al superamento degli stereotipi di genere?
“Sembra una sciocchezza, una cosa di poco conto, ma è fondamentale: dal linguaggio nascono i pensieri. Le donne stesse dicono di essere ‘un avvocato’ o ‘un ingegnere’ o ‘un chirurgo’. Spesso siamo noi a voler essere considerate alla stessa maniera di un uomo, a fare come farebbe un uomo. Abituiamoci a parlare e a pensarci come “avvocatesse”, “ingegnere”, “chirurghe”: non siamo come gli uomini, è sbagliato anche che uomini e donne siano uguali. Le differenze ci sono ma non devono essere viste come degli ostacoli, devono essere viste come ricchezze! Nessuno è migliore o peggiore dell’altro, siamo diversi e siamo ok tutti e tutte, dobbiamo però avere uguali. È fondamentale capire questo e dobbiamo iniziare, come sempre, dai più piccoli: trasmettere loro i messaggi giusti e le idee giuste, ma dobbiamo essere noi i primi e le prime a capire. Dobbiamo riscrivere questo capitolo della nostra cultura. A questo proposito, sono immensamente grata per aver avuto una possibilità profondamente significativa e rilevante per il mio percorso di formazione umana e professionale”.Quale?
“Ho avuto l’opportunità di partecipare, lo scorso anno, ad una bellissima Winter School chiamata “Do.N.N.E. – Do Not Neglet Equality”, organizzata dall’Università di Camerino in collaborazione con Psyplus (gruppo di psicologi e psicologhe), esperti ed esperte teatrali, registi e registe. Abbiamo avuto la possibilità di trattare ampiamente questi argomenti, anche in maniera creativa attraverso laboratori teatrali e di scrittura. Credo che questi progetti debbano essere ampiamente promossi da scuole di ogni ordine e grado, mi hanno aiutata a capire moltissime cose e ad acquisire competenze che mi hanno aiutata a diventare più consapevole e a guardare la realtà con occhi diversi. “Quando ero alle elementari, le mie materie preferite (oltre a ginnastica e musica) erano due: italiano e scienze. Ho sentito da sempre questa ‘doppia attrazione'”.
Dunque sono sempre di più le donne che scelgono gli studi scientifici e si appassionano alla tecnologia già sui banchi di scuola. Lei perché ha scelto una facoltà scientifica?
“Quando ho dovuto scegliere la scuola superiore, ho dato ascolto alla voce che gridava ‘Italiano!’. E così ho intrapreso gli studi classici e, tornando indietro, lo rifarei mille volte. Non ho scelto il liceo classico per ripiego. Ma sicuramente non mi sentivo ‘adatta’ per un liceo scientifico. Per il mio percorso universitario però, ho deciso di farmi coraggio e di dare ascolto all’altra voce interiore che non vedeva l’ora di “nutrirsi” di scienza, e quindi mi sono iscritta al corso di studi di Medicina Veterinaria. Mi piace però avere questa ‘doppia personalità’, ancora oggi ogni tanto ho bisogno di rifugiarmi in qualche lettura classica. Credo che questi due mondi abbiamo molte più cose in comune di quelle che si possono pensare e che, comunque, uno sia ricchezza per l’altro e viceversa. Per fortuna, alle spalle ho due genitori meravigliosi che non mi hanno mai fatta sentire ‘inadeguata’ o ‘incapace’. Mi hanno sempre sostenuta in tutte le scelte che ho fatto, credendo sempre in me e nelle mie capacità. Ci tengo a ringraziarli, perché non è affatto scontato”.