Famiglietti a Interris.it: “Lavorare da casa richiede una strategia aziendale”

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Da casa il lavoro diventa strategia. Il lavoro domestico, se efficacemente organizzato, non danneggia né l’azienda né il lavoratore. Sugli effetti della crisi Covid nella riorganizzazione interna delle imprese, Interris.it ha intervistato Andrea Famiglietti, uomo d’industria, esperto di risorse umane, autore di documentati e apprezzati libri sulla vita d’impresa come “Correndo con il diavolo. Anime in saldo al mercato del lavoro” (Aldenia).

Da casa

“Per le aziende lo smartworking è più una risorsa che un costo”, spiega a Interris.it Andrea Famiglietti, esperto di risorse umane con una lunga esperienza lavorativa in multinazionali dell’industria.In termini di organizzazione aziendale, quali difficoltà comporta armonizzare il lavoro domiciliare con quello in sede

“Lo ‘smart working’ va organizzato per tempo. Ciò significa che questa soluzione dev’essere oggetto di preventivo accordo tra i lavoratori ed i propri responsabili. Così da definire in buon anticipo le date e le attività gestibili con questa modalità. Questo consentirebbe di facilitare l’armonizzazione tra lavoro domiciliare e quello in sede”.A cosa si riferisce?

“Non si può pretendere di implementare lo ‘smart working’ senza gli adeguati meccanismi di preavviso e condivisione fra responsabili, lavoratori e sindacato”.L’Italia è indietro nel processo di innovazione tecnologica che il “lavoro intelligente” comporta?

“Si, rispetto alla media degli altri Paesi occidentali. Benché diverse aziende stiano velocemente adattando i propri processi a metodologie più “smart”. La difficoltà principale nel nostro Paese è legata ad una mentalità imprenditoriale”. Cioè?

“E’ una mentalità che risente ancora della necessità del controllo diretto e ravvicinato del dipendente da parte del datore di lavoro. Il quale in molte realtà preferisce ancora oggi che i propri dipendenti rimangano in ufficio, ‘in loco’”.A cosa è dovuto?

“Non bisogna dimenticare che metodi di ‘lavoro intelligente’ come lo ‘smart working’ sono impraticabili negli stabilimenti produttivi. Dove la creazione materiale dei prodotti ed il loro assemblaggio devono essere attuati manualmente all’interno delle fabbriche. Piccole o grandi che siano”.La differenza con l’estero?

“In questo senso la vocazione manifatturiera del nostro paese rallenta la diffusione di processi lavorativi ‘smart’. Rispetto a paesi come il Regno Unito, la Francia o i Paesi Bassi. Dove il terziario è maggiormente diffuso e consolidato”.Cosa comporta per la gestione delle risorse umane l’effetto-Covid in termine di strategie del personale?

“Il Covid ha imposto una riflessione profonda su come riorganizzare la strategia della gestione delle risorse umane. Le parti sociali possono tramutare un problema apparente in un’opportunità fondamentale per aggiornare le soluzioni a situazioni ormai stantie e antistoriche”.Può farci un esempio?

“Lo ‘smart working’ è solo una delle opzioni. Ma oltre ad esso c’è l’intero sistema di welfare aziendale che dev’essere rivisto alla luce dell’emergenza Covid. Ad esempio potenziando l’assistenza sanitaria o altre forme di ‘work-life balance’. Datori di lavoro e sindacati potrebbero sfruttare il momento per creare regole precise per la gestione dello smart working nelle contrattazioni di primo e secondo livello in particolare”.Con quali prospettive per il lavoro da casa?

“Si potrebbe rivedere il modo in cui si definiscono i livelli di inquadramento. E le competenze che integrano le diverse qualifiche e categorie di legge. E’ chiaro che oggi l’impiegato non è più il routinario ‘travet’ di qualche decennio fa. Ma possiede strumenti di lavoro e competenze che ne aumentano di molto la flessibilità. Sia in termini di orario di lavoro che di gestione da parte dell’imprenditore”.

Giacomo Galeazzi: