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Culle vuote: alle famiglie con figli un ottavo delle risorse destinate ai pensionati

Agire sulle detrazioni fiscali per far pagare meno tasse a chi fa figli. L'introduzione di Quota 130 ha avuto un impatto evidente sulle scelte degli italiani

Sos risorse per la crisi demografica. “Sulla natalità in Italia c’è davvero poca trippa per gatti. Il nostro sistema di welfare è totalmente starato. Ogni anno spendiamo 25 miliardi per il sostegno alle famiglie con figli. Al contempo, spendiamo oltre 300 miliardi per le pensioni“, afferma Diodato Pirone, giornalista e autore del libro “La trappola delle culle: perché fare figlio è un problema per l’Italia e come uscirne”. “Di certo – prosegue Pirone – l’assegno unico universale, approvato durante il governo di Mario Draghi con il sostegno politico della maggioranza ma anche dell’opposizione, è stato un grande passo avanti, che ha sostituito 13 forme di sostegno diverse. Ma far riprendere la natalità in un Paese non è una cosa semplice. La volontà politica di intervenire sul tema c’è, mancano i fondi. Un miliardo all’anno stanziato come sostegno ai genitori è davvero poco. Grande volontà, grandi proclami ma progressi modesti. E non è una questione che riguarda solo il governo Meloni”. Con il rischio poi che l’intero sistema vada in crisi. “Oggi abbiamo circa 7,5 milioni di bambini sotto i 15 anni, la Francia ne ha 12, la Germania 12 milioni e mezzo. Ciò significa che in 10 anni queste nazioni avranno un serbatoio di intelligenza e lavoratori che rischia di avere conseguenze devastanti per la nostra economia“, spiega l’autore all’Adnkronos. Soprattutto in Italia mancano ancora “politiche e la cultura del sostegno alla natalità, che coinvolgano le città ma anche le imprese e la società intera”. L’esempio da seguire per Pirone è quello della “Tagesmutter”: “Traducibile con ‘mamma di giorno’, è il sistema nordeuropeo, ma applicato con efficacia anche in Trentino Alto-Adige, e in particolare a Bolzano, che prevede l’istituzione e l’istruzione di una figura di quartiere che si prenda cura di un piccolo numero di bambini cui i vicini pagano una piccola quota, integrata dalla provincia autonoma. Al tutto poi si aggiungono la grande quantità di servizi diffusi e di facile accesso sul territorio oltre a coinvolgere le imprese per il sostegno fra vita privata e lavoro”. 

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Foto di Luma Pimentel su Unsplash

Risorse da trovare

Agire sulle detrazioni fiscali per far pagare meno tasse a chi fa figli, obiettivo a cui starebbe lavorando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in vista della manovra, “è una strategia convincente, ma che da sola non basta. E’ uno dei termini fondamentali della strategia francese ormai di tanti anni, sicuramente è un elemento importante. Non da solo, però, perché chiaramente gli altri elementi sono per esempio quello della disponibilità di asili nido, e della disponibilità a supportare le mamme nel lavoro. La denatalità non la si risolve con un solo provvedimento, ma con un insieme di misure”. E’ l’analisi di Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma, sulle misure che potrebbero arrivare a sostegno della natalità in Italia. La linea di dare più sgravi fiscali a chi fa figli “si è rivelata cruciale” Oltralpe, evidenzia all’Adnkronos. “E’ un piano che richiede tante risorse e ci si chiede se e come si troveranno. E’ una questione di priorità e di volontà politica. Il problema della denatalità in Italia, premesso che non lo risolviamo soltanto con queste misure, è comunque un’urgenza da affrontare. Salute e natalità, io direi, oggi sono le due priorità assolute del Paese, per cui è chiaro che con la volontà politica vanno messe davanti ad altre esigenze. A dire il vero – evidenzia Ricciardi – ci sarebbe anche la scuola fra le priorità a cui le politiche economiche dovrebbero dare risorse”. Tre fattori che rappresentano “proprio un problema esistenziale“.

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Foto Ufficio Stampa Presidenza Consiglio Ministri/Image nella foto: Camera dei Deputati

Crisi demografica

Da ormai un decennio, l’Italia si trova ad affrontare una lenta ma costante crisi demografica, ma le conseguenze iniziano a vedersi ora e saranno ancora più evidenti nei prossimi anni. Un rapporto di Area Studi Legacoop e Prometeia rivela che il sistema produttivo italiano perde circa 150.000 lavoratori, e li perderà almeno fino al 2030. Un campanello d’allarme, mentre il Paese si avvicina al punto di non ritorno. Intervenire con politiche che incentivino la natalità, il welfare aziendale e migliorino le competenze dei giovani è ormai indispensabile. Questi ragionamenti valgono soprattutto per i settori più esposti alle conseguenze della crisi demografica, che significa non solo culle sempre più vuote ma anche popolazione sempre più anziana. Il declino demografico italiano è radicato in un lungo periodo di basse nascite e in un aumento dell’età media della popolazione. Anche se diventato preoccupante solo negli anni Duemila, il tasso di natalità è iniziato a scendere già dal 1980. Da quell’anno al 2022, le nascite si sono più che dimezzate passando da 800.000 nuovi nati a meno di 400.000. La crisi è accentuata dal fatto che la generazione dei baby boomer, nata negli anni ’60 e ora in fase di pensionamento, è di gran lunga più numerosa rispetto ai giovani che entrano nel mercato del lavoro e reggono il sistema pensionistico.

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Foto di Tim Kilby su Unsplash

Welfare in pericolo

E siccome la matematica non è un’opinione, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha ribadito: “Parliamo molto spesso in questa Aula di pensioni, sarebbe il caso di cominciare a parlare di quello che è il trend demografico del Paese. nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale”. Parole che il titolare del Mef aveva pronunciato quasi identiche già un anno fa. La perdita annuale di 150.000 lavoratori è amplificata dalle uscite pensionistiche, che hanno raggiunto le 600.000 all’anno, mentre le nuove assunzioni si fermano a circa 450.000. Il trend è semplice quanto devastante per l’economia italiana. Più è alta l’età media della popolazione, più sono anziani i lavoratori. Di conseguenza c’è un sostenuto numero di pensionati, che non riusciamo a rimpiazzare con le nuove generazioni. Per questo, il governo Meloni ha fortemente disincentivato l’uscita anticipata dal lavoro e, a guardare i dati Inps, l’obiettivo è stato raggiunto. L’introduzione di Quota 130 ha avuto un impatto evidente sulle scelte degli italiani. Nei primi sei mesi del 2024, l’istituto ha registrato un calo del 14,15% nelle pensioni anticipate rispetto allo stesso periodo del 2023. Con soli 99.707 nuovi assegni erogati contro i 116.143 dell’anno precedente.​

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