Le famiglie tra povertà, inflazione e sommerso

Francesco Maria Chelli, presidente dell'Istat, è intervenuto all'evento "Giacomo Matteotti, i numeri e la democrazia. L'attualità del suo pensiero a cento anni dalla morte". L'incontro si è svolto a Treviso durante la manifestazione StatisticAll, il festival della statistica e della demografia

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Foto di Jill Wellington da Pixabay

Sos disuguaglianze per le famiglie e la società. Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, è intervenuto all’evento “Giacomo Matteotti, i numeri e la democrazia. L’attualità del suo pensiero a cento anni dalla morte”. L’incontro si è svolto a Treviso durante la manifestazione StatisticAll, il festival della statistica e della demografia. “Come si genera disuguaglianza? I meno abbienti pagano un prezzo più alto rispetto agli altri- spiega Chelli-. Tutti i mesi misuriamo il peso dell’inflazione che colpisce maggiormente quando, in momenti di picco, come per esempio due anni fa subito dopo il Covid, va a pesare sulle famiglie povere che pagano un prezzo importante in tal senso. Questo è uno dei motivi che pochi conoscono”. E aggiunge: “Il prossimo anno dovremmo essere pronti ad interrogare il nostro sito, una sorta di grande contenitore con i dati Istat, cui si può accedere facilmente ma si deve avere un minimo di esperienza. L’intelligenza artificiale dovrebbe aiutarci a porre domande molto semplici. Qual è la distribuzione del reddito disponibile delle famiglie nelle regioni ? E magari calcolarlo con le percentuali”. Essere o diventare poveri in Italia non è un’esperienza riservata a pochi. Nel 2023, con quasi 6 milioni di “poveri assoluti”, esattamente 5,69 milioni di residenti, si è toccato il record storico del numero di indigenti dal 2014, anno in cui si è cominciato a fare questo tipo di rilevazione. Dati alla mano, in Italia essere poveri è una condizione che riguarda più di una persona su dieci (10,6%), e i minori in condizioni di povertà sono arrivati a 1,29 milioni, anche questo un triste primato.

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CREDIT: CARLO CARINO BY AI MID

Sos famiglia

La probabilità di essere povero aumenta ovviamente se si è disoccupati ma, meno ovviamente, aumenta anche se un lavoro ce l’hai e sei un operaio, un lavoratore dipendente, se vivi in una famiglia numerosa, se sei straniero e se vivi al Sud, benché anche al Nord stiano aumentando le famiglie in povertà. Dal rapporto Istat, emerge che il disagio economico si aggrava per gli operai la cui quota in “povertà assoluta” è in continuo aumento. Le famiglie operaie in povertà nel 2023 hanno toccato il livello record di 16,5%, cioè un balzo di quasi due punti in più rispetto al 14,7% del 2022, stesso balzo anche per le famiglie operaie considerate in “povertà relativa” che passano dal 16,8% del 2022 al 18,6% del 2023. Il dato non stupisce considerando che la produzione industriale italiana ha segnato ad agosto il suo diciannovesimo mese di calo consecutivo. Mentre gli annunci di tagli, chiusure, cassa integrazioni, si susseguono con un bollettino senza tregua. Ma la povertà inizia a erodere anche le categorie sociali considerate privilegiate. Nel 2023 sono aumentate le famiglie di “dirigenti, quadri e impiegati dipendenti” in “povertà assoluta”, passate dal 2,6% del 2022 al 2,8% del 2023 come quelle di “imprenditori e liberi professionisti” (da 1% all’1,7%). Migliora invece il tenore di vita delle famiglie di lavoratori autonomi. In questo segmento si registra una diminuzione delle famiglie in povertà assoluta che scendono dall’8,5% del 2022 al 6,8% del 2023.

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Foto di Sandy Millar su Unsplash

Famiglie povere

Meno prevedibile, e per questo più preoccupante, è l’aumento della povertà riscontrata nelle regioni del Nord Italia. Se l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si mantiene ancora più alta nel Mezzogiorno, dove coinvolge oltre 859mila famiglie cioè più del doppio delle famiglie in povertà assoluta nel Nord-Est (413mila), al Nord e al Centro la fetta di famiglie in povertà assoluta è in aumento. Rispettivamente al Nord dal 42,9% del 2022 al 45,0% e al Centro dal 15,6% al 16,2%. Mentre nel Mezzogiorno la percentuale diminuisce dal 41,4% al 38,7%. Stesse dinamiche si riscontrano nelle famiglie in “povertà relativa”. Nel report l’Istat segnala un “aumento dell’intensità in tutto il Nord (sia nel Nord-est che nel Nord-ovest, dove è pari a 19,4% e 19,9%, rispettivamente), e al Centro (20,2%), mentre il Mezzogiorno segnala una riduzione che porta i valori dell’intensità al 20,9%“. Viene considerata dall’Istat in “povertà relativa” una famiglia di due persone che abbia una spesa per consumi pari o al di sotto la soglia mensile di 1.210,89 euro. Se la famiglia è di quattro persone la soglia sale a 1.973,75 euro. Mentre viene considerato in “povertà assoluta” un single di 30-59 anni che vive nell’area metropolitana della Lombardia e spende 1.217,10 euro al mese, o se vive in Sicilia spende 756,16 euro al mese. Commenta Elena Bonetti, ministro per le pari opportunità e la famiglia nel secondo governo Conte e in quello Draghi. “Il vero e drammatico record nel nostro Paese è quello dei minori che vivono in povertà assoluta: 1.290.000 nel 2023. Mai prima d’ora erano stati così tanti: quasi il 13,8%. È un numero enorme e sono vite disperate, famiglie che non possono assicurare ai figli neppure il minimo per una vita dignitosa. L’Italia è una e la Costituzione impegna le istituzioni a costruire solidarietà e giustizia sociale per tutti i cittadini. I bambini sono i primi cittadini che tutti dovremmo custodire e promuovere: da questo si vede lo stato di salute di una società. Servono subito politiche efficaci”.

Foto di Heike Mintel su Unsplash

Allarme-sommerso

Intanto cresce il sommerso. Traffico di stupefacenti e prostituzione spingono a 19,8 miliardi l’economia illegale che, con un aumento di 1,2 miliardi, nel 2022 è tornata a superare i livelli pre-pandemia. Mentre il sommerso nel 2022 vale 181,8 miliardi, 16,3 miliardi in più dell’anno prima. E’ stabile invece il lavoro irregolare, pari a 2 milioni e 986mila “ula”, il criterio statistico delle unità di lavoro equivalenti al tempo pieno. Il quadro emerge dal report dell’Istat che aggiorna al 2022 l’analisi sulla “economia non osservata nei conti nazionali” che, nel complesso, tra sommerso e illegalità, rispetto al 2021 è aumentata del 9,6% a 201,6 miliardi. E’ una crescita parallela e in linea a quella del Pil. Sul fronte delle attività illegali – rileva l’istituto di statistica – la crescita del 2022 è stata determinata per larga parte dalla dinamica del traffico di stupefacenti. Il valore aggiunto ha raggiunto 15,1 miliardi, un miliardo in più rispetto al 2021. Mentre la spesa per consumi finali è salita di 1,3 miliardi a quota 17,2 miliardi. “Nello stesso periodo si è registrata anche una crescita dei servizi di prostituzione”. Nel 2022 il valore aggiunto è aumentato del 4,3% a 4 miliardi. E “i consumi finali sono aumentati del 4,0% a 4,7 miliardi”. Il focus è anche sull’attività di contrabbando di sigarette che tuttavia “rimane marginale”, con 700mila euro di valore aggiunto e 800mila euro di consumi. L’indotto delle attività illegali è legato soprattutto a trasporti e magazzinaggio. Il valore aggiunto è salito da 1,4 miliardi nel 2021 a 1,6 miliardi nel 2022.

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Foto di Anne Nygård su Unsplash

Incidenza sul Pil

Il sommerso “aumenta per i professionisti ed è in forte riduzione nelle costruzioni“. Ed è diffuso soprattutto nel settore degli “altri servizi alle persone” (30,5% del valore aggiunto del comparto), del “commercio, trasporti, alloggio e ristorazione” (18,5%) e delle costruzioni (17,5%). La componente legata alla ‘sotto-dichiarazione’ ammonta a 100,9 miliardi mentre quella connessa all’impiego di lavoro irregolare è pari a 69,2 miliardi. In rapporto al Pil è una “dinamica decrescente”. Fra il 2014 e il 2017 “si è registrata una lenta diminuzione del peso del sommerso, che si è assestato al 10,7% del Pil”, spiega l’Istat . Una seconda fase, dal 2017 al 2020, è stata contraddistinta da una accelerazione della dinamica in riduzione, che ha ulteriormente abbassato di 1,7 punti percentuali l’incidenza del sommerso sul Pil, portandola al 9,0%. Livello al quale si è poi sostanzialmente stabilizzata negli anni seguenti. Il ricorso al lavoro irregolare da parte di imprese e famiglie “è una caratteristica peculiare del mercato del lavoro italiano”, ricorda l’Istat. E nel 2022 “è rimasto sostanzialmente stabile”. Ha una incidenza che resta più rilevante nel terziario (14,6%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli ‘altri servizi alle persone’ (39,3%) “dove si concentra la domanda di prestazioni lavorative non regolari da parte delle famiglie. Molto significativa – indica ancora l’Istat – risulta la presenza di lavoratori irregolari in agricoltura (17,4%), nelle costruzioni (12,4%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (14,5%)”.