L’Obiettivo fame zero è un proposito concreto. Le Nazioni Unite se lo sono posto già da tempo, addirittura formulando una previsione: il 2030 come anno “x”. Un giro di boa se vogliamo: da un mondo che ancora lancia grida per alleviare la propria sofferenza, a uno privo della piaga dell’emergenza alimentare. Un bel proposito, accompagnato dalle ottimistiche previsioni avute fin qui dalle organizzazioni internazionali, convinte che obiettivo e utopia non facessero rima. Il punto, ora, è che di mezzo si è messa una pandemia, che non ha solo aggravato alcuni contesti di sofferenza ma ne ha addirittura creati altri. Potenzialmente, nuovi focolai di emergenza fame laddove lo scopo era di debellarle del tutto nel giro di appena un decennio. Un rush finale che, per la prima volta, l’Onu, la Fao e le altre agenzie si vedono costrette a correre più piano. Con il rischio concreto di non tagliare il traguardo entro i termini previsti.
Il Sofi
L’affresco dolente lo ha dipinto l’ultimo Sofi, il rapporto Onu sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo. Da quattro anni a questa parte il dato cresce ma è solo nell’analisi del dislivello fra gli ultimi due che l’allarme ha iniziato a tingersi del rosso peggiore. I numeri sono impietosi: addirittura 690 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2019, ossia 10 milioni in più rispetto al 2018. Se poi si prendono in considerazione gli ultimi cinque anni, si parla di circa 60 milioni in più nell’arco di un quinquennio. E qui entra in gioco la pandemia, il coronavirus, che di milioni (di persone affamate) potrebbe aggiungerne altri 132. Una pericolosa escalation verso il miliardo che, mai come oggi, fa vacillare tutte le buone intenzioni circa l’Obiettivo fame zero.
Sistemi alimentari
Il problema non sono tanto gli effetti diretti della pandemia, quanto i meccanismi innescati dalla frenata delle attività dovuta al lockdown. Niente di nuovo, in questi mesi se n’è parlato, ma quando il discorso si sposta sul piano della necessità base (quella alimentare) il contesto inizia a farsi drammatico. Questo perché, al di là delle attività lavorative, il coronavirus ha colpito anche i basilari canali di assistenza e sussistenza creati per garantire il sostentamento alle comunità in maggiore difficoltà. Una circostanza che, finora, era ad appannaggio quasi esclusivo di contesti di guerra: “Mentre le ultime tre relazioni – ha spiegato Simone Garroni, presidente di Azione contro la Fame – si sono concentrate sulle principali cause della fame, ovvero conflitti, crisi climatiche, disuguaglianze economiche e sociali, il Sofi 2020 pone all’attenzione di tutti alcune importanti raccomandazioni che mirano a rendere il cibo nutriente, sostenibile e accessibile a tutta la popolazione mondiale attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari”.
Nuovi scenari d’azione
Va detto che, secondo il Sofi 2020, la pericolosa deriva era stata notata già prima dell’avvento della pandemia. E che il coronavirus, con i suoi riverberi su scala globale, abbia aggravato un quadro già compromesso: “L’attesa ripresa nel 2021 – spiega il Sofi – ridurrebbe il numero di denutriti, ma comunque al di sopra di quanto proiettato in uno scenario senza pandemia”. Con un’avvertenza: “Ancora una volta, è importante riconoscere che qualsiasi valutazione in questa fase è soggetta a un alto grado di incertezza e deve essere interpretata con cautela”. In sostanza, le variabili in campo possono giocare un ruolo fondamentale. A patto, però, che le misure di contrasto al declino economico mettano al centro innanzitutto la ripresa dei canali di sussistenza. Sia nei contesti di povertà che in quelli di crisi creati dal Covid. In questo senso, a fronte di un nuovo scenario di azione, la ricostruzione della rete di sostegno diventa fondamentale. E l’Obiettivo fame zero entro il 2030 potrebbe anche rinunciare al supporto della data di scadenza. Per ora naturalmente.