AMC Theatres, una delle più grandi catene di sale cinematografiche al mondo, ha espresso “sostanziali dubbi” circa la possibilità di restare in vita a causa delle perdite provocate dalla chiusura di oltre un migliaio di cinema durante la diffusione del Coronavirus. Il colosso della distribuzione, controllato dal conglomerato cinese Dalian Wanda Group, ha annunciato che le sue trimestrali includeranno 2,4 miliardi di dollari di perdite a causa delle chiusure per il virus. E l’Italia? Negli ultimi anni, il cinema del Bel Paese ha registrato un’espansione importante che è stata bruscamente interrotta dalla lotta al Covid-19. Il mondo del cinema è composto di professionisti molto ben pagati e da tecnici, le cui richieste di sostegno sono rimaste inascoltate nei Palazzi romani. Interris.it ne ha parlato con Fabio Zamarion, direttore della fotografia e già vincitore del David di Donatello, che si dice basito dal “trattamento ricevuto dal governo per un settore che dà all’erario ogni anno quasi un miliardo e mezzo di euro”.
Come ha risposto il mondo del cinema al lockdown dovuto al Coronavirus?
“C’è stato uno smarrimento totale perché si è deciso di chiudere dalla mattina alla sera. I film in uscita non sono più usciti mentre quelli che stavano per iniziare le riprese sono stati bloccati. È stata una chiusura repentina di tutti i progetti previsti e in realizzazione. È stato scioccante perché il nostro mondo, quello del cinema, è molto vitale. Inoltre, c’è un senso di abbandono dovuto all’assenza dello Stato che non ha protetto i lavoratori dello spettacolo. Abbiamo compreso subito la difficoltà nell’affrontare quel periodo, sotto tutti gli aspetti”.
Il mondo dello spettacolo ha anche molti giovani lavoratori che non guadagnano molto. Cosa ha significato per loro rimanere a casa?
“Paradossalmente, coloro i quali hanno guadagnato di meno e hanno lavorato meno giorni, in ossequio alle disposizioni emanate dall’esecutivo, hanno potuto godere degli ammortizzatori sociali ossia dei seicento euro. Quindi chi, all’interno delle produzioni, aveva appena cominciato a lavorare o chi svolgeva attività più marginali si è visto riconoscere il sussidio. Anche in proporzione maggiore rispetto a chi ha lavorato molto negli anni e che in questi ultimi tre mesi non si è ritrovato niente”.
Il governo vi ha dato la giusta attenzione?
“A mio avviso no, la sensazione è di abbandono. In Francia, l’esecutivo ha risposto in maniera diversa alle questioni provenienti dal mondo dello spettacolo: ha erogato un sostegno ai lavoratori, i quali sono stati tutelati fino ad ottobre. In Italia abbiamo una burocrazia che uccide qualsiasi cosa. Basti pensare che il protocollo per far cominciare le riprese già firmato dalle parti cinematografiche più di due settimane fa, ancora deve essere controfirmato dallo Stato. La burocrazia è troppo lenta: noi cominceremo a girare con un protocollo che non è stato sottoscritto dallo Stato. Il ministro della cultura (Franceschini N.d.r.) ha asserito che avrebbe fatto qualsiasi cosa per far ripartire il mondo dello spettacolo ma, in realtà, la situazione è ancora estremamente incerta”.
Come avete reagito alla dichiarazione del premier in conferenza stampa: “Gli artisti ci fanno divertire”?
“Illustri colleghi hanno già fatto notare l’inadeguatezza di una dichiarazione simile. Il Presidente del Consiglio, che rappresenta tutta la popolazione, dovrebbe comprendere in maniera più esatta e profonda il mestiere di chi lavora nello spettacolo. Non siamo dei saltimbanchi ma dei professionisti”.
Secondo lei, si vedranno le mascherine anche nelle scene?
“Secondo il mio personale punto di vista no. Anche le sceneggiature su cui stiamo lavorando in questi giorni non prevedono alcuna scena che faccia riferimento al Covid-19. Perché i produttori si sono resi conto che le persone non vogliono assolutamente sentir parlare del Coronavirus. Certo, ci sono degli accenni a quanto è accaduto qualche mese fa e non è detto che in futuro non si faccia utilizzo dei dispositivi di protezione personale per raccontare cinematograficamente ciò che abbiamo vissuto. Ma adesso, bisogna guardare avanti, al futuro con la speranza che non accada più nulla di così drammatico”.
Ci sarà una ripresa decisa nel cinema?
“Questo dipenderà da noi. Saranno alcuni produttori lungimiranti che, con un enorme rischio di impresa, si metteranno a girare. Ora, ci si aspetta che un film costerà di più a causa dei protocolli di sicurezza. E durerà, probabilmente, anche di più, aumentando ulteriormente i costi. Se prima si girava in sette settimane ora lo scenario ce ne lascia presagire otto. E la settimana in più è sulle sole spalle del produttore e della distribuzione. Rai Cinema, che partecipa con quote nei film, al momento non ha assicurato la sua partecipazione nella gestione di eventuali costi aggiuntivi. Vedremo nei prossimi mesi che decisioni si prenderanno. Inoltre, bisogna considerare che noi siamo una corporazione molto solida che dà all’incirca un miliardo e 280 milioni di euro all’erario ogni anno. Anche per questo, ci aspettiamo un aiuto più preciso e attento”.
Ci sarà una diminuzione del numero dei film e degli introiti?
“Mi auguro di no. Durante la Grande Depressione i cinema americani hanno incassato molto. Anche se adesso ci riferiamo ad un virus, il concetto rimane lo stesso: le persone hanno bisogno di andare al cinema, di distrarsi immergendosi in un film, in una storia che li trasporta fuori dalla realtà. Credo che la sala cinematografica rimarrà, l’avevamo portata ad una quota altissima: quest’anno più 25% rispetto al precedente. Ma lo Stato, nel momento del bisogno, non si è interessato. Questo è un problema del Paese che sembra trascurare la cultura in generale”.