L’eyeballing (letteralmente “scrutare”) è la pratica, ormai virale in tutto il mondo di questi ultimi “anni social”, con la quale si versa una sostanza alcolica, di alta gradazione, negli occhi; l’obiettivo, perverso, è quello di raggiungere l’ubriacatura in tempi più rapidi della normale assunzione orale.
La problematica, quindi, è di triplice aspetto: il desiderio dello “sballo”, la rovina della pupilla e l’esempio da veicolare attraverso i social. Nel web, infatti, è possibile visionare diversi video che hanno la funzione di “tutorial” per questa pratica insensata. Tale “moda”, come molte altre dello stesso genere, arriva dall’Occidente ricco e opulento, evoluto a “tempo parziale”; proviene dagli States e, attraverso la Gran Bretagna e la Francia, ha attecchito in Europa non lasciando indifferenti i giovani italiani.
Elemento essenziale da sottolineare è la ricerca, attraverso l’assunzione dagli occhi, di una sbornia più rapida. Nell’epoca del “tutto e subito”, quindi, un obiettivo deplorevole diviene un traguardo da raggiungere a breve. Guai, nell’immaginario collettivo di alcuni, a non raggiungere necessariamente un livello di sbornia (un consumo alcolico moderato è fuori moda) e, oltretutto, a ottenerlo in tempi “lunghi”. L’idea di raggiungere l’ubriachezza in modo più rapido dagli occhi è, oltretutto, falsa. L’alcol, inoltre, non è un collirio e provoca danni devastanti, sino ad arrivare alla cecità.
Il volume “Nuove dipendenze” (sottotitolo “Da chi dipenderai domani”), pubblicato il 2 aprile 2020 da StreetLib, scritto da Danilo Lazzaro (Ispettore della Guardia di Finanza ed esperto di tossicodipendenza e criminalità), affronta le nuove frontiere delle “droghe moderne”, strettamente legate alle bravate nei “challenge” (sfide) e all’esigenza del like sui social.
A proposito di droghe, Papa Francesco affermò “No a ogni tipo di droga. Ma per dire questo no, bisogna dire sì alla vita, sì all’amore, sì agli altri, sì all’educazione, sì allo sport, sì al lavoro, sì a più opportunità di lavoro”.
Un recente report dell’Istat del 27 maggio scorso riguardo le dipendenze dei giovani, in riferimento agli sviluppi del Coronavirus, propone dati molto inquietanti. Fra questi, si legge “Nel 2020, il 18,2% dei ragazzi e il 18,8% delle ragazze di 11-17 anni hanno consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno. Negli ultimi anni si è registrata per i ragazzi una progressiva riduzione del consumo nell’anno; per le ragazze, invece, si è osservato – soprattutto a partire dal 2018 – un progressivo aumento, che ha allineato i livelli di consumo a quelli dei coetanei maschi. In particolare, nel 2020, si è registrato tra le ragazze un aumento di circa 2 punti percentuali rispetto al 2019. Il consumo di bevande alcoliche tra i ragazzi è prevalentemente un consumo occasionale (17,6%) e spesso consumato lontano dai pasti (8,7%). Tra le bevande alcoliche maggiormente consumate in questa fascia d’età, si segnala, tra i maschi, principalmente la birra (14,3%) e gli aperitivi alcolici/amari/superalcolici (12,4%); tra le ragazze, gli aperitivi alcolici/amari/superalcolici (13,5%), seguiti dalla birra (12,2%) […] La Legge 8.11.2012 n.189 vieta la somministrazione e la vendita di bevande alcoliche ai minori di 18 anni […] È assolutamente rilevante, quindi, il fatto che, nella fascia di età 11-17 anni, il 18,5% abbia consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno, valore che dovrebbe invece tendere allo zero […] Tra i 18 e i 24 anni, gli episodi di ubriacatura hanno riguardato, invece, circa 2 giovani su 10 (18,4%). Si segnalano per questo tipo di consumo a rischio più gli uomini che le donne (22,1% contro 14,3%), anche se nel tempo la quota di donne con abitudini al binge drinking è cresciuta significativamente, quasi raddoppiando negli ultimi 5 anni (era pari all’8,6% nel 2015)”.
Il drogato moderno assume una nuova caratteristica: non più il tossicomane con l’ago nel braccio ma larga dipendenza da sostanze psicotrope, con la nuova frontiera delle dipendenze comportamentali che “assumono” le nuove schiavitù del selfie e del like.
L’obiettivo di bere dagli occhi è quello di trasgredire sorprendendo gli amici e diventare famosi nel web, attraverso la circolazione virale del video. Una condotta simile, effettuata 30 anni fa, avrebbe stupito la cerchia di amici del quartiere e, attraverso un passaparola, si sarebbe alimentata la leggenda metropolitana di tale bravata. La fama dell’ardito trasgressore, tuttavia, non avrebbe ottenuto grande riscontro e, soprattutto, non si sarebbero diffusi, a macchia d’olio, l’immagine e il nome dell’autore. La prodezza del “duro” della comitiva ora non basta più: la sua audacia deve travalicare i confini fisici e arrivare nella “metafisica” dei social per guadagnare più seguaci possibili.
Si è nell’era dei like e dei follower, dove si è famosi in base al consenso acquisito e dove il numero dei “mi piace” rende il soggetto un “influencer”, capace di guidare mercati, commerci, gusti, consumi e idee (con guadagni notevoli). In tale scenario, l’obiettivo è soltanto quello di conquistare un follower in più, in assoluto e in relazione agli avversari; per centrarlo si utilizzano tutti i mezzi possibili, compresi quelli scorretti e pericolosi.
Nella fase della pandemia e del lockdown, si sono alternate, fra i giovani, storie e dinamiche opposte. La solitudine, la DAD e la tensione hanno contribuito a deprimere i ragazzi; in alcuni casi, sino a spingerli, nel richiamare l’attenzione, a bravate estreme di vario tipo, tra le quali l’eyeballing. Il rischio di scivolare nell’anonimato, di non essere presenti nelle vite degli altri, ha creato l’ossessione del farsi vedere a ogni costo, a rimanere famosi nel web con tutti i mezzi possibili. Al tempo stesso, agli antipodi, molti ragazzi hanno approfittato del web, nel periodo critico dell’emergenza sanitaria, per aiutare loro coetanei o anziani in difficoltà. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 27 novembre scorso ne ha premiati 30.
Il clima pre-pandemico non era molto tranquillo, poiché nella società moderna, liquida e insensibile, alcuni giovani erano rimasti indietro, soli, con istinti autolesionisti o suicidari. Il distanziamento sociale e la chiusura obbligata hanno amplificato questo disagio e l’unico palliativo sociale è stato drogarsi di social e delle sfide che propongono.
Il rischio di cadere nella retorica, nel celebrare espressioni del tipo “ai miei tempi questo non succedeva” non sussiste, a causa proprio dell’evidenza di tale pratica drammatica e scriteriata. L’oggettività del dramma esclude, aprioristicamente, la contrapposizione tra matusa e giovani. Le degenerazioni, considerate in se stesse, sono al punto tale da escludere pregiudizi e bollature di ceti o fasce generazionali.
L’alcol è scorso a fiumi anche per le precedenti generazioni. Ciò che colpisce, oggi, è l’adozione di forme estreme e assurde per assumerlo. Altro particolare inquietante, sul quale riflettere, tipico dei ragazzi contemporanei, è la ricerca sistematica della sbornia. In passato, infatti, l’ubriacatura era un’eventualità possibile ma non indispensabile, ora, invece, rimane il primo obiettivo, con qualsiasi mezzo.
L’insegnamento parte dall’esempio. I genitori che rimproverano i propri figli per il fatto di essere “dipendenti” dai social, dovrebbero essere i primi a usare moderatamente la tecnologia a disposizione. Molto spesso, tale comportamento educativo non si verifica, anzi, i genitori si comportano come i figli, giocano a far parte del “gruppo dei pari” e legittimano, di fatto, l’utilizzo smodato dei social. Nel rapporto squilibrato con il mondo dei videogame, in cui si assiste a un’osmosi tra virtuale e reale, il soggetto assume atteggiamenti “paraumani” in cui si sente invincibile e dominatore di questa sorta di iniziazione o di prova di forza.
Allo stesso modo in cui si domina il protagonista del videogioco, così l’autore di challenge e prove estreme, è convinto di saper giungere sino al “livello” più pericoloso (mostrando a tutti la sua audacia), per poi tornare immediatamente indietro. Non sempre il finale è quello immaginato. La “creatività” che utilizzano alcuni individui per sbalordire i coetanei, travalica qualsiasi logica umana. È un vero peccato che tale genialità sia riposta in queste derive insensate anziché proiettata nel sociale, nell’inventare, a esempio, nuove situazioni lavorative.
Gli esperti si riferiscono a un atteggiamento autodistruttivo di giovani cresciuti in fretta e in modo anaffettivo. Alla base di questi comportamenti estremi, di impulso allo scambio di selfie intimi e del cyberbullismo, c’è un bisogno di emergere dall’anonimità di una società sempre meno tale, ampliata dalle chiusure fisiche e mentali della pandemia e dalla paura di un’esistenza sempre più a rischio, anche per un colpo di tosse. Al difficile rapporto adolescenziale con il corpo e le prime difficoltà della vita, occorre aggiungere l’altra componente, quella relativa alla fama, di divenire un qualcuno in un determinato settore e guadagnare cifre enormi. La chiusura dovuta alla pandemia ha indotto molti, giovani e adulti, a ingannare il tempo attraverso una maggiore frequentazione dei social, immergendosi in questa “comfort zone”, paradossalmente sempre meno virtuale.
Tale dissociazione ha subito un incremento in seguito allo scoppio delle ostilità in Ucraina, indebolendo, ancora di più, i fragili equilibri mentali, soprattutto dei giovani. Molti di loro sono indifferenti al problema e proseguono le bravate nei social, altri ne sono scioccati, altri ne sono coinvolti direttamente: le vittime della guerra, le uniche ad aver ragione.