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Perché l’eredità non può essere un premio o una punizione per i figli

Come le aspettative e i desideri possono influire sulle delicate relazioni tra genitori e figli

Ci scrive un anziano signore che ci racconta che col frutto del suo lavoro e della collaborazione della moglie è riuscito ad acquistare un terreno sul quale insieme hanno costruito un fabbricato composto di due piani; ci chiede consiglio se può donare un appartamento al figlio più grande, sposato e con due bambini, che lavora con loro, senza dover donare necessariamente l’altro appartamento al secondo figlio, ancora scapolo e senza intenzioni serie di costituire una famiglia. Il timore degli anziani genitori è di vedere presto dilapidata la parte del frutto dei loro sacrifici che dovrebbero donare al secondo figlio, di cui non nascondono di avere poca stima.

La lettera merita attenzione per due ordini di ragioni; il primo, strettamente giuridico, ed un secondo più generale che pure merita considerazione.

Cominciamo col dire che non esiste l’obbligo giuridico di donare, anzi, la legge richiede esattamente l’opposto, e cioè che ci sia un animo libero di dare gratuitamente, un’intenzione effettiva di donare, di dare senza corrispettivo, per la sola gioia di fare un atto che si chiama, appunto, di liberalità.

Quindi, il nostro lettore potrà certamente donare un appartamento al figlio che vuole preferire senza dover donare alcunché all’altro figlio o a chicchessia; va solo aggiunto che dalla lettera sembra che la proprietà appartenga anche alla moglie per cui la donazione andrà fatta da entrambi, ed il notaio, che deve necessariamente essere presente a pena di nullità, saprà verificare.

Ma vediamone le conseguenze; la legge stabilisce che con la morte il patrimonio del defunto, che si compone sia da quello che ha donato in vita sia da ciò che lascia quando muore, si devolve ai suoi eredi secondo le quote stabilite dal defunto con il testamento o, in mancanza di questo, dalla legge; eredi sono i figli, o i figli dei figli che siano già morti, ed il coniuge, la cui presenza esclude i fratelli ed i loro figli; ma con il testamento il defunto può inserire anche altri soggetti a suo piacimento od anche preferire qualcuno dei figli, o la moglie, rispetto ad altri.

Sennonché, ed è questo il punto delicato, la legge non consente di escludere dalla successione nel patrimonio del defunto i figli ed il coniuge, almeno per una quota ridotta che viene definita di riserva. In sostanza, il coniuge e i figli (o i nipoti se il figlio muore prima) non possono essere esclusi dall’eredità ed a loro è riservata una quota di cui il defunto non ha potuto disporre.

Qual è l’immediata conseguenza per il nostro lettore: che se dona un appartamento ad un figlio, questo andrà conteggiato al momento della sua morte e scomputato, dalla quota disponibile o dalla quota di riserva, a seconda della dichiarazione di imputazione nell’atto di donazione.

Ma è l’altro aspetto che ci interessa sottolineare: essere padre è molto di più che essere padrone, proprietario dei beni di cui si vuole disporre; è comprendere i motivi per i quali un figlio non ci ascolta, si allontana, è o vuole essere diverso da noi; è ascoltare un figlio; è spostarsi nel suo mondo per capire.

Punire un figlio perché non è come il padre avrebbe voluto è un grave peccato di superbia (ne abbiamo scritto) poiché ci si rende superiori al disegno divino. Meglio attendere gli eventi, magari ritardare la seconda donazione o disporre con testamento nei limiti del consentito, e qui un consulente sarà in grado di spiegare nel dettaglio e consigliare come procedere, senza ergersi a giudice delle scelte altrui ma solo, eventualmente, a guida saggia e previdente nell’interesse di migliorare le condizioni di chi è meno fortunato o di chi abbia sbagliato: la Parola di Cristo è tutta orientata per la salvezza.

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