L’emergenza educativa attraversa la famiglia, la scuola, la società. Sul difficile dialogo tra le generazioni In Terris ha intervistato il professor Samuele Animali. Avvocato. Docente. Giornalista pubblicista. Dottore di ricerca in sociologia delle istituzioni giuridiche e politiche. Autore di pubblicazioni e ricerche sulle politiche pubbliche in materia di istruzione superiore e di servizi sociali. Sulla tutela giuridica dei diritti civili e sociali. Su diritto e nuove tecnologie.
Crisi educativa
Professore, si parla molto di crisi educativa, da docente trova un calo di attenzione generalizzata nell’attitudine dei giovani all’apprendimento rispetto a quando era studente?
“La difficoltà a concentrarsi è abbastanza diffusa e molto condizionata dai device elettronici. Anche le conoscenze dei nativi digitali sono sempre più veicolate dalle nuove tecnologie, che propongono contenuti più accattivanti. Ma i problemi riguardano la relazione educativa nel suo complesso, un fenomeno innescato da cambiamenti epocali di ordine economico e sociale che coinvolgono anche altre istituzioni come lo stato, la famiglia, il lavoro. L’effetto più preoccupante è il non riuscire ad evitare la dispersione scolastica, accentuata dalle difficoltà legate al Covid”.
“Mi sembra che vi sia una certa difficoltà ad articolare in autonomia queste istanze o forse siamo noi che non le sappiamo leggere. Pensano che la scuola dovrebbe indirizzare verso un’ attività lavorativa e professionale soddisfacente, pongono la questione dello star bene in classe, ma è difficile concentrarsi insieme sulla questione dei metodi e degli strumenti. Un certo spaesamento è accentuato dalla sensazione di una contraddizione tra i valori della società e quelli che la scuola cerca di far passare.
“Dire di uno studente che deve “studiare di più” in molti casi maschera l’incapacità di far fronte alla latitanza di altre istituzioni. La dispersione scolastica è una sconfitta per tutti e se questo è donmilanismo ben venga. E’ vero che una scuola che pretende poco finisce per fallire dà meno chances di emergere ai “capaci e meritevoli”. Ma non dobbiamo formare solo classe dirigente o riprodurre forza lavoro. Dalla scuola dovrebbero uscire cittadini consapevoli”.
“Sì. La trasmissione di conoscenze unidirezionale è avvilente, è solo una piccola parte del lavoro di insegnante. Più che di imparare da loro si tratta di imparare insieme”.
“A questa età si è ancora disposti a mettersi in discussione. I ragazzi e le ragazze assorbono ancora ciò che accade loro intorno. Non necessariamente per imitazione, qualche volta per differenza. Vedo che ragazzi e ragazze sono molto sensibili alla testimonianza. ‘Fate quello dico e non quello che faccio’ non funziona. Le figure adulte di riferimento servono spesso anche per tamponare l’inadeguatezza di un’istituzione familiare che spesso mostra debolezza. Ovviamente i ruoli sono diversi e non esiste un solo tipo di adulto credibile e di insegnante credibile. Meglio proporre diversi modelli e diverse strade per diverse sensibilità. La cultura della vita e della dignità dell’uomo costituiscono dei canoni che permettono di riconoscere i modelli positivi. Anche quando sono all’apparenza molto diversi tra loro. In ogni caso sei investito di una grande responsabilità”.