Elvira Serafini (Snals-Confsal): “Ecco quali sono i problemi della scuola italiana”

In questi due anni di pandemia, la scuola italiana ha subito un contraccolpo molto pesante. Da una parte i docenti, che si sono trovati a dover fare lezione in una modalità del tutto nuova, dall’altra gli studenti che, come i loro insegnanti, hanno dovuto seguire le lezioni attraverso un computer mentre si trovavano confinati in casa. Un periodo molto difficile che ha messo in luce alcune problematiche del sistema scuola italiano, come la  mancanza di risorse, a cui si aggiungono – in alcuni casi – la carenza di insegnanti, ambienti poco sicuri, edifici che hanno urgente bisogno di essere ammodernati. Un’altra problematica riguarda gli studenti che – in questi due anni hanno molto sofferto a causa del lungo lockdown imposto per fronteggiare la diffusione del Covid-19 – sembrerebbero non essere più in grado di relazionarsi né con i loro pari né con gli insegnanti. L’emergenza sanitaria ha messo a dura prova tutti, in particolare i più giovani che hanno perso da un giorno all’altro quello spazio vitale per poter apprendere e crescere.

La crisi educativa e la mancanza di rispetto

Stiamo vivendo sicuramente un periodo complesso, uno degli aspetti più gravi dei nostri giorni è una diffusa disabitudine al confronto, alla relazione, alla comunicazione. Ciò avviene tra pari, ma anche tra genitori e alunni, tra alunni e docenti, tra famiglie e scuola – spiega a Interris.it la dottoressa Elvira Serafini, Segretario Generale SNALS-ConfsalGli studenti hanno bisogno di essere ascoltati, di sentire che sono al centro del nostro interesse, che siamo con loro, pronti ad accompagnarli nel percorso formativo e di vita che stanno compiendo”.

Segretario, quali sono gli attuali problemi della scuola italiana?

“Scorgiamo una certa distanza nei confronti della scuola e dei suoi operatori e un disconoscimento delle energie profuse dalla comunità scolastica durante la pandemia, tuttora in corso, per adattarsi con tempestività alle diverse condizioni operative. La scuola pubblica viene ringraziata con le briciole mentre avrebbe bisogno di risorse per valorizzare il personale e per rendere sicuri e dignitosi gli ambienti di apprendimento”.

In questi giorni abbiamo visto scendere in piazza gli studenti italiani per chiedere maggiore sicurezza durante l’alternanza scuola lavoro. Ma abbiamo anche visto scontri con le forze dell’ordine. Cosa possiamo capire da questa situazione?

“Quando sono stati approvati in Italia i percorsi di alternanza scuola lavoro, abbiamo pensato che fosse una grande opportunità per gli studenti e che potesse favorire un rapporto tra il mondo della formazione e quello della produzione. Purtroppo, però, il sistema è partito con delle gravi carenze. Sicuramente demandare alle scuole il compito di individuare e stringere convenzioni con il mondo dell’impresa non è stata una mossa vincente. In Germania, ad esempio, questo compito spetta a un istituto paragonabile alla nostra Camera di Commercio, che ha gli strumenti per verificare che le aziende abbiano gli standard per garantire lo svolgimento di stage in sicurezza. Inoltre, in quel caso sono i giovani che individuano l’azienda presso la quale desiderano svolgere l’alternanza, in modo da scegliere il percorso più adatto alle proprie aspettative lavorative. In Italia l’alternanza è diventata in alcuni casi un’opportunità per le aziende di garantirsi manodopera gratis e i giovani sono così diventati dei lavoratori stagionali. Questo è accaduto più frequentemente nelle aziende ristorative, che si sono accaparrate flussi di giovani nei periodi di alta stagione, in cambio di vitto e alloggio. Chiaro che, in tali situazioni, la sicurezza non può essere garantita dalle scuole, che non hanno gli strumenti per poterne verificare gli standard, ma spesso non viene garantita nemmeno dalle aziende che, sulla carta dovrebbero individuare un tutor per gli allievi loro affidati, ma che spesso non hanno abbastanza personale da poter destinare alla ‘formazione in azione’ dei giovani. Del resto in Italia il problema delle morti bianche è fortemente presente e richiede interventi profondi e strutturali. Per questo i giovani, che scendono in piazza per chiedere di rivedere l’organizzazione alla base dei PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), non vanno lasciati soli, c’è bisogno di un sistema maggiormente attento alle loro esigenze formative ma che, allo stesso tempo, supporti in modo più efficace le scuole, nella gestione di tali percorsi. Oltre ad essere necessario prevedere maggiori controlli nelle aziende con le quali vengono stipulate le convenzioni, magari prevedendo ristori per i percorsi attivati, affinché sia garantito il supporto costante e realmente presente di un tutor e una maggiore sicurezza nella gestione delle fasi di lavoro affidate ai giovani in formazione”.

È di pochi giorni fa la notizia che un professore è stato picchiato da alcuni alunni. In un altro istituto una professoressa avrebbe rivolto termini poco lusinghieri a una studentessa per come era vestita. Come si è arrivati a questo punto? Come mai da nessuna delle due parti sembra esserci rispetto per l’altro?

“I casi a cui si fa riferimento, non sono purtroppo i primi né temo saranno gli ultimi. La violenza e l’intolleranza vanno sempre condannate. Sicuramente c’è uno scollamento sempre più profondo tra la scuola e le famiglie, in questo caso specifico la situazione di degrado socio culturale in cui versano gli studenti e le famiglie coinvolte, rende la vicenda ancor più complessa. Tuttavia, si assiste sempre più frequentemente a episodi che vedono i genitori ribellarsi per un’insufficienza o un richiamo fatto ai propri figli, rivendicando per sé la responsabilità educativa, dimenticando che esiste un patto di corresponsabilità tra genitori e docenti che li dovrebbe vedere agire all’unisono nel percorso formativo dei giovani. Invece, spesso i genitori dismettono i loro panni e indossano la toga, diventando avvocati dei figli senza neppure ascoltare le ragioni degli insegnanti. In questa situazione, tuttavia, gli unici a farne le spese sono i ragazzi, che perdono un punto di riferimento fondamentale nella loro formazione, quale quello della scuola. Circa poi la vicenda dell’alunna che è stata richiamata dalla docente in ordine al proprio abbigliamento, noi adulti dobbiamo interrogarci e capire i ragazzi e la loro necessità di esprimersi anche attraverso l’abbigliamento che scelgono e che li rappresenta. Tuttavia è pur vero che esistono codici a seconda del luogo in cui ci si trovi. Bisogna agire quotidianamente per far acquisire il senso di rispetto per la scuola, che dovrebbe manifestarsi anche in ordine alle scelte più opportune circa l’abbigliamento da indossare e i comportamenti, come una scelta consapevole e autonoma”.

Molto spesso si sente parlare di crisi educativa. Dove ricercare le cause? Nella famiglia? Nella scuola? O in entrambe?

“Stiamo vivendo sicuramente un periodo complesso, uno degli aspetti più gravi dei nostri giorni è una diffusa disabitudine al confronto, alla relazione, alla comunicazione. Ciò avviene tra pari, ma anche tra genitori e alunni, tra alunni e docenti, tra famiglie e scuola. Ognuno è concentrato sul proprio destino e questo mina la possibilità di mettere in campo le migliori strategie per ottenere il successo formativo di ogni alunno, in base alle sue potenzialità e peculiarità”.

Secondo lei di cosa hanno bisogno gli studenti di oggi?

“Gli studenti hanno bisogno di essere ascoltati, di sentire che sono al centro del nostro interesse, che siamo con loro, pronti ad accompagnarli nel percorso formativo e di vita che stanno compiendo, senza tuttavia arrogarci il diritto di volerglielo imporre, convinti di sapere ciò che è più giusto per loro. Docenti e genitori devono saper toccare i tasti giusti per aiutarli a comprendere le proprie potenzialità, accompagnandoli nella crescita e nella maturazione personale, rispettandone le aspirazioni e le attitudini e mettendo in campo la capacità di comprendere il proprio ruolo, nel rispetto di quello degli altri. I genitori devono sapere che i docenti camminano insieme ai loro figli, sono con loro non contro di loro; i docenti devono poter contare sulla collaborazione delle famiglie, perché solo in questo modo potranno individuare le migliori strategie formative per ciascun alunno”.

Cosa vorrebbe chiedere al governo?  

“Il governo dovrebbe agire ascoltando maggiormente chi la scuola la vive quotidianamente. I problemi della scuola sono tanti, tutti i governi che si sono susseguiti negli anni hanno preteso di lasciare il proprio segno nella scuola. Si parte sempre da lì, ma mai con l’atteggiamento di chi vuole prima capire e poi agire. Tutti arrivano con la propria ricetta, nella convinzione di sapere di cosa ha bisogno la scuola, pur non avendo mai messo piede in una scuola, se non da studenti, diversi anni prima. Eppure l’istituzione scuola è tra le più complesse e le scuole non sono le stesse ovunque, presentano problemi connessi al contesto in cui sono inserite e hanno l’enorme responsabilità di formare le generazioni future con un’attribuzione crescente di compiti. Eppure, anche in questi anni di pandemia, la scuola ha dimostrato di esserci, i docenti si sono attrezzati e con mezzi propri hanno messo in campo la didattica a distanza, per supportare gli alunni nei difficili mesi del lockdown. Hanno continuato a svolgere il proprio dovere nella consapevolezza dell’importanza per i ragazzi di essere un punto di riferimento in un momento di incertezza e paura. Allora, ora più che mai, sarebbe davvero il caso che il governo cominciasse ad ascoltare le proposte dei dirigenti scolastici e di tutto il personale per poter corrispondere nel modo più opportuno alle necessità della scuola di oggi e di domani”.

Manuela Petrini: