“Non si tratta solo di assistere i poveri. Né l’esercizio della carità nei loro confronti è un problema della Caritas e o dei volontari. L’amore per i poveri e la loro inclusione
nella comunità, nel rispetto delle differenze, si pone come una dimensione costitutiva dell’essere cristiano“, afferma a Interris.it monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo. Membro del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana e della Congregazione delle Cause dei Santi, è stato rettore della Pontificia Università Urbaniana.
Al servizio dei poveri
“È evidente a tutti come Francesco voglia vivere e testimoniare la Chiesa povera per i poveri– sottolinea il presule a Interris.it-. Lo ha fatto scegliendo di vivere a Santa Marta. Lo fa parlando continuamente dei poveri. Della cultura dello scarto così diffusa nella nostra società. Della necessità di ‘toccare la carne’ dei poveri. E non solo di
aiutarli, tenendoli a distanza. Proprio parlando dei poveri emerge l’idea conciliare del popolo. A cui tutti possono appartenere”. È quanto dice Francesco nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” quando parla dell’inclusione dei poveri (186-216).
Sensus fidei
Per la Chiesa, scrive papa Bergoglio, l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Mette nero su bianco il Pontefice: “Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del ‘sensus fidei‘, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti si lascino evangelizzare da loro“. Commenta il presidente delle Commissione Cei per l’Ecumenismo e il dialogo: “Alcuni esempi di ciò sono la scelta preferenziale per i poveri che Francesco sempre ricorda. Oppure una lettura incarnata nella storia della Parola di Dio. Ma soprattutto il senso di una Chiesa come popolo»
Essere parte del popolo
“Il senso di una Chiesa come popolo è uno degli aspetti più rilevanti della realizzazione del Concilio Vaticano II in Sud America- precisa il vescovo Spreafico-. Francesco ha iniziato il pontificato parlando di vescovo e popolo. Non ha detto solo ‘buonasera’. Ma, e forse ci fa meno comodo, ha mostrato la vera dimensione della Chiesa. Cioè quella messa in luce dalla stessa costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’. Che inizia non parlando della gerarchia. Bensì del mistero della Chiesa e subito del Popolo di Dio. Solo dopo si parla della gerarchia. Che non è separata ma è parte del popolo. Questa dimensione della Chiesa evidenzia la comunione. L’unità. L’incontro. L’inclusione. Una Chiesa senza barriere e muri. Una Chiesa che esce e dialoga con tutti“.
In uscita verso i poveri
“Chiesa in uscita”, la chiama Francesco. “Ho partecipato nel 2013 al IV Congresso Missionario Americano in Venezuela- racconta il presule a Interris.it-. C’erano circa 4000 partecipanti da tutto il continente. Ma soprattutto dall’America del Sud. Tra loro molti giovani. Ho percepito con chiarezza e gioia la dimensione del popolo”. Una dimensione che “si fonda e cresce su una Parola di Dio letta nella storia. E nella vita dei popoli e dei poveri. Il cui ascolto libera, dà speranza, integra, guarisce. Dà gioia anche nelle difficoltà. Lo si percepiva anche nei canti e nelle manifestazioni gioiose di religiosità popolare“. E’ lo stesso entusiasmo che ha Jorge Mario Bergoglio nel comunicare il Vangelo.