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Il dramma degli afgani visto dagli occhi di un connazionale

Enaiatollah Akbari, ex profugo afgano arrivato in Italia da oltre dieci anni, divenuto autore di vari libri sull'Afghanistan, ci racconta la sua prospettiva su quanto sta accadendo

Enaiatollah Akbari è un giovane afghano di trent’anni che vive in Italia, dove è giunto da profugo anni fa attraverso mille peripezie. Con un carattere forte, ha imparato la lingua italiana e si è impegnato con l’obiettivo di aiutare il suo Paese. Negli anni scorsi si è laureato in Scienze internazionali dello sviluppo e della cooperazione. Lavora per l’Università di Torino. E’ autore di alcuni libri, tra cui uno in cui racconta la sua drammatica vicenda di profugo.

A Enaiat (così si fa chiamare), abbiamo chiesto un punto di vista su quanto sta accadendo in Afghanistan in queste ore.

La presentazione del libro di Enaiactollah Akbari “Nel mare ci sono i coccodrilli”

Era prevedibile il ritorno dei talebani al Governo del Paese?

“Prevedibile fino a un certo punto, perché abbiamo sempre sospettato che il presidente di questo Governo [Ashraf Ghani, n.d.r.] non fosse la persona adatta. Persona non scelta dal popolo perché entrambe le le elezioni sono state super truccate e imbrogliate. Molte regioni dove c’erano altre etnie neanche avevano is seggi elettorali e invece dove vivevano i talebani c’erano i seggi elettorali e tutti hanno votato. Questo già favoriva i talebani. Inoltre lui era un considerato un fascista per noi, diceva che le carceri devono essere piene solo di una certa etnia. Salito al Governo, ha subito iniziato a scarcerare i talebani. Poi l’accordo con gli USA e pian piano sono crollati comuni e città sotto i talebani… No, comunque non eravamo pronti così all’improvviso a questa situazione”.

La comunità internazionale ha fatto abbastanza per evitare questa situazione?

“Purtroppo no, la popolazione è stata abbandonata così come sta dicendo la comunità internazionale la cui unica missione era quella di sterminare Al Qaeda e non altro. Mi sorge questa domanda: noi siamo diversi dagli Stati Uniti? i diritti della nostra gente sono diversi? siamo persone diverse da quelle che muoiono negli attentati negli Stati Uniti?

Ci sono in gioco altre potenze come la Russia, che sembra un attore molto importante; ha avuto sempre il contatto con i talebani, prima che si avviasse il “processo” tra mille virgolette tra talebani e USA il primo incontro pubblico si è svolto a Mosca, la prima uscita in pubblico dei talebani davanti alle telecamere è stata in Russia. Anche la Cina È un attore importante per gli interessi in ballo con  la via della seta: l’Afghanistan potrebbe essere “venduto” alla Cina per mantenersi.

Ma la cosa che mi fa specie è che nessuno fa un cenno sul Pakistan: sono i pakistane che hanno conquistato l’Afghanistan, da lì sono entrati migliaia di pakistani a sostegno del governo talebano. Di questo nessuno ne parla”.

La popolazione locale riesce in qualche modo a porre una resistenza? 

“E’ impossibile perché dal 2009-2010 è stata avviata una certa politica per accusare i leader locali etnici come signori delle guerre. Il governo democratico ha cercato di dividere la popolazione in mille piccoli gruppi e acuire le differenze. Nel 2016 sono state raccolte tutte le armi in possesso della gente comune, che ora è totalmente disarmate. Questo soprattutto al  nord, che era più contrario ai talebani. La gente ora ha problemi di sopravvivenza, mancano cose fondamentali come l’alimentazione. La strategia per preparare questo crollo è stata decisamente ben preparata”. 

Come immagina il futuro del suo Paese?

Io non immagino un futuro, ma solo violenza. Quando la gente ogni giorno dovrà uscire di casa, le donne saranno frustate per strada, magari per un tacco troppo lungo, o del trucco sugli occhi. O gli uomini saranno fucilati perché non sono arrivati in tempo alla preghiera.

Con questo regime non c’è niente da fare, non hanno nessun programma e nessun progetto per il popolo.

L’altro giorno ascoltavo il discorso del nuovo governatore della mia provincia, un ragazzo che avrà 30 anni: lui era un bambino quando è nato il movimento talebano. Quindi nella sua vita non ha avuto un insegnamento di politica, di cultura ma ha imparato solo a sparare a essere crudele. Che cosa possiamo aspettarci da lui e da tanti altri così?

Già in questo momento la gente non trova da mangiare, adesso le telecamere sono puntate su Kabul, ma l’Afghanistan è fatto di tanti luoghi sperduti, tante località, dove non arrivano le telecamere… è lì è il regno dei talebani.

Non c’è una giustizia o un tribunale, vince solo chi ha il kalashnikov in mano.

In questo momento è difficile trovare un minimo motivo per cui dovrei avere la speranza. Potevamo sperare finché c’erano le Nazioni Unite, finché c’era la democrazia, ma ora come si fa a chiedere al resto del mondo di essere lì?”.

 

Pensa che sia possibile in futuro che anche in Occidente e in particolare in Europa arrivino regimi totalitari fondati sul fondamentalismo islamico?

“No, io credo nell’istruzione. E’ molto difficile, per me in questo momento è impossibile, una cosa simile. Ci sono sì attentati, disordine sociale, ma non penso che si possa arrivare a questo.

Se tu chiudi il rubinetto, l’acqua non esce. Questi talebani sono stati formati, gli occidentali hanno venduto loro le armi. Se chiudi il rubinetto i talebani non possono arrivare.

L’unica cosa che li rende forti è l’orgoglio religioso di persone con sandali e motociclette… questo può essere alimentato.

La democrazia può avere mille difetti ma alla fine il popolo in qualche modo ha il potere. Ma con il regime, un regime che vuole far vivere il Paese con il riferimento a 1300 anni fa… come possiamo cambiare? Questo è veramente terribile”. 

A Enaiat e al suo popolo non possiamo che essere vicini, adoperandoci in ogni modo per aiutare e sostenere la popolazione afghana in questo terribile momento in cui l’orizzonte è solo nero.

 

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