L’urgenza sociale di tutelare le donne. Intervista alla psicologa Veronica Leone

depressione

La tutela delle donne come obbligo morale della società. A Monza una donna è stata perseguitata e stuprata dall’ex. Ci sono voluti sei mesi per ottenere il divieto di avvicinamento. Eppure il quadro era chiaro nella sua drammaticità. Settanta messaggi al giorno, poi pedinata, immobilizzata e violentata. Un calvario di abusi sessuali e stalking dopo aver lasciato un 50enne per la sua possessività e aggressività.  In Terris ha intervistato la psicologa Veronica Leone.

Donne nel mirino

Quali possono essere le cause di tragedie del genere?
“Non mi soffermerò sul caso specifico. Ma è oramai cosa nota che la violenza sulle donne non sia questione di raptus ma di una cultura patriarcale ancora oggi difficile da estirpare che ha plasmato inconsciamente il modo di agire e pensare degli individui e se a questo aggiungiamo altri fattori ne consegue un mix devastante. Tuttavia, oltre ad una cultura Padrona, ci sono meccanismi, rintracciabili all’ interno delle dinamiche famigliari, che potrebbero favorire il sorgere di comportamenti aggressivi e violenti, mi riferisco alle dinamiche disfunzionali che il bambino vive all’interno della famiglia come ad esempio abusi, abbandono e maltrattamenti, che possono provocare , a livello di personalità nell’individuo, una vulnerabilità e fragilità tali da non essere capace a gestire e a tollerare, in età adulta, eventi dolorosi e separazioni. Non a caso la maggior parte delle violenze si verifica quando c’è la volontà della donna di separarsi”.

foto Daniele Buffa/Image

A cosa si riferisce?
“Un fattore da tenere in considerazione, non meno importante, è che molti uomini, nella maggioranza dei casi, sono stati educati a non mostrare emozioni e quindi spesso a un non riconoscimento di queste ultime, questo implica che ‘un non sapersi leggere dentro’, una non consapevolezza di queste ultime può rendere l’individuo insicuro, dipendente e paranoico e provocare risposte comportamentali esagerate Solitamente sono uomini che presentano un rapporto fusionale e simbiotico con la partner tanto da non riconoscere l’Altro per cui si determina una dinamica dominante dominato e non di reciprocità che potrebbe sfociare in aggressività e/o comportamenti violenti. Poi mi preme sottolineare l’aspetto patologico poiché anche i disturbi di personalità sono implicati nella violenza sulle donne: ricerche mostrano che individui borderline, antisociali, narcisisti avevano più probabilità di diventare assalitori”.Può farci un esempio?

“Da un punto di vista psicologico, è bene ricordare anche un aspetto che forse molto spesso viene tralasciato poiché anche la donna che vive una situazione di violenza, è molto spesso una donna che ha vissuto relazioni disfunzionali d’ attaccamento, questo per dire che anche la coppia non si forma cosi a caso ma si forma in base ai vissuti precedenti e in base anche alla relazione stabilita con caregiver e figure d’attaccamento Mi riferisco a questo perchè se nell’infanzia abbiamo avuto un attaccamento insicuro con la figura d’attaccamento da adulti si tenderà a stabilire relazioni di dipendenza dovute a una mancata fiducia nelle figure di accadimento. Poiché quando una persona ha dei nuclei irrisolti è più facile che incappi in relazioni disfunzionali”.Un fenomeno multiforme quello della violenza di genere. Il codice rosso e cioè la legge 694 del 2019 ha introdotto nuove fattispecie di reato (tra cui la costrizione al matrimonio e il revenge porn) e ha perfezionato meccanismi di tutela delle vittime. Cosa spinge un uomo a passare da una avance a una molestia?
“Tralasciando la questione patriarcato e potere che come ho detto nella prima domanda, influiscono, è altresì vero che viviamo in una società che non incoraggia affatto l’espressione del consenso. Educare al consenso vuol dire educare al rispetto verso sè stessi e verso l’altro, assumersi la responsabilità delle proprie azioni rispettando i propri bisogni e quelli dell’altro. Consenso è condivisione. Molto spesso mi è capitato di sentir dire ai più piccolini di abbracciare i loro compagnetti anche contro il loro volere o il volere dell’altro di essere abbracciato/baciato con frasi tipo ‘ma ti vuole solo abbracciare, che sarà mai’. ‘Ma Chiara (nome di fantasia) non vuole farti del male, vuole solo salutarti con un bacino, che caratteraccio!’. Questo comportamento, il più delle volte inconsapevole, da parte dell’adulto potrebbe mettere un seme che poi nell’ età adulta potrebbe risultare difficile da ‘disinnescare’. E’ opportuno quindi, a mio avviso, dare al genitore lo strumento più giusto e opportuno per capire come educare al consenso, poiché, educare al consenso vuol dire rispettare il volere dell’altro, rispettare i suoi confini, rispettare i suoi limiti e rispettare me stessa/o”.In che modo?
“Educare al consenso non vuol dire solamente farsi rispettare quando l’altro ci sta facendo del male ma rispettare quelli che sono i miei bisogni e fidarmi di quelle che sono le mie sensazioni ed emozioni. L’ espressione del consenso si basa sia sulla comunicazione verbale che non e non si tratta solamente di imparare a saper chiedere un permesso ma anche di saper ascoltare la risposta. Ribadisco l’importanza, inoltre, dell’educazione affettiva, sessuale e al consenso sin da piccoli. Perché oltre ad essere molto importante all’interno delle dinamiche relazionali è anche un valido strumento per abbattere lo stereotipo di genere. Per fare un altro esempio ‘fatti valere che sei un maschio’ o ‘i veri maschi non piangono,ti stai comportando da femminuccia’,in questo modo si svalutano le emozioni del bambino dicendogli che lui è un debole e non che invece sta mostrando una sua fragilità e quindi un punto di forza”.Quale risposta si può dare?
“Una possibile risposta potrebbe essere rintracciata proprio all’ interno dell’espressione Consenso: oggigiorno non c’è un riconoscimento dell’ altro, dei suoi limiti e confini ma solo la voglia di un appagamento del nostro bisogno. L’Educazione al consenso metterebbe, invece, le radici di un albero di condivisione e rispetto”.Si assiste a una escalation di reati spia, ovvero di tutti quei delitti che sono indicatori di violenza di genere come i maltrattamenti in famiglia, gli atti persecutori (stalking) e la violenza sessuale. Cosa significa per una donna ricevere complimenti insistenti e non graditi per esempio sul posto di lavoro o sui social? Perché è così difficile far capire che non si può dire e fare tutto?
“Le parole sono importanti. Dobbiamo un attimino uscire dall’ ottica che i complimenti siano “sempre” graditi, perché potrà sembrare strano ma i complimenti non fanno sempre piacere, soprattutto se questi poi diventano insistenti e petulanti, tanto che non ritengo utile e ne funzionale inscatolare in una griglia di definizioni la sessualità, poiché anche il “banale” complimento di ammirazione può assumere la forma di una molestia, se ad esempio, è fuori luogo. Non vi è consenso. Siamo in un contesto non confidenziale o tra sconosciuti e ha doppi fini. Ciò che cambia le carte in tavola è sempre una cosa: il consenso. Recenti ricerche mostrano come, ad esempio, le donne vittime di molestie sul luogo di lavoro manifestino diverse conseguenze negative come ansia, depressione, disturbi alimentari e stress post traumatico perché se è vero che la violenza fisica ha ripercussioni devastanti per la vittima, anche la molestia verbale ha conseguenze tali da gettare la vittima in un vero e proprio incubo”.Cioè?
“E’ stato riscontrato, ad esempio, in alcune statistiche, che una delle paure principali delle vittime di molestia, è proprio quella che dal complimento fuori luogo si passi alla violenza fisica e alle ritorsioni in caso di denuncia; per non parlare, inoltre, del tremendo senso di colpa che “investe” la donna oggetto di molestia, che ha la convinzione errata di aver provocato l’ altro tramite abbigliamento o frasi di cordialità e gentilezza”.

Paola Anderlucci: