Don Saulo Scarabattoli, parroco da oltre 50 anni della parrocchia di Santo Spirito di Perugia, spiega su Interris.it il significato cristiano e il legame teologico tra la solennità di Ognissanti e la commemorazione dei fedeli defunti
“La solennità di Ognissanti seguita dalla commemorazione dei defunti sono due momenti importanti della vita cristiana. Rappresentano lo sguardo sul mistero della vita dopo la morte, lo sguardo rivolto al cielo, al Paradiso”. Così Don Saulo Scarabattoli, parroco da oltre 50 anni della parrocchia di Santo Spirito di Perugia, nello spiegare su Interris.it il significato cristiano della solennità di tutti i santi, che la Chiesa ha celebrato il primo Novembre, e della commemorazione dei fedeli defunti, oggi 2 novembre.
“Non abbiamo una vista adatta per guardare i particolari della nuova vita in paradiso, quindi dobbiamo fidarci di due doni divini: la speranza e la rivelazione. La speranza è quella che ognuno conserva nel cuore: vale a dire che l’amore non finisca neppure con la morte. Anche di fronte allo sfacelo della convivenza civile che stiamo vivendo, delle guerre e del male che ci circonda, noi sentiamo la percezione chiarissima che siamo fatti per la vita e non per la morte; siamo fatti per la costruzione, non per la distruzione. Vedere i bambini o gli adulti o i soldati ridotti a ‘oggetti’ per i meccanismi perversi delle multinazionali delle armi è una cosa contro natura. Chi compie tale scempio sicuramente fa violenza a se stesso: è buttare via il proprio cuore per affidarsi soltanto alla logica del potere delle armi, dunque dei soldi. In questi giorni di guerra percepiamo in maniera ancora più evidente quanto sia prezioso il dono della speranza”.
“Se da una parte c’è questa speranza – che l’amore non finisce – dall’altra c’è la parola, la rivelazione data dalle Sacre Scritture. Tutte le religioni hanno tentato di spingere lo sguardo oltre il mistero della morte. Ma l’uomo non ha bisogno di elucubrazioni, bensì di una rivelazione: quella che ci viene dal Vangelo che assicura che la vita è più forte della morte e che l’amore non muore mai”.
“Quando la Bibbia parla di questo mistero, usa delle immagini molto semplici – se vogliamo ‘ingenue’ che però ci fanno capire la festa che ci aspetta. E difatti si parla di un pranzo di nozze, di un giardino e di un monte dove Dio preparerà un pranzo per tutti i popoli. Una festa che coinvolge anche il corpo: non sono soltanto belle idee, ma è un’esperienza esistenziale di grande pienezza, di grande felicità. La rivelazione evidenzia come diceva san Paolo che ‘la speranza non delude’ perché l’amore di Cristo è stato diffuso nei nostri cuori per la potenza dello Spirito Santo. Questo secondo me è il modo per guardare al mistero della morte che va oltre i confini del nostro sguardo ma che è sempre compresa nei confini del cuore, in questa speranza invincibile”.
“C’è un piccolo racconto che si fa per spiegare loro la Solennità di Ognissanti e la commemorazione di tutti i fedeli defunti ai bambini del catechismo e ai ragazzi. Il racconto spiega che l’esistenza dell’uomo è suddivisa in ‘tre stanze’. La prima è quella dell’utero materno; la seconda è la vita terrena; la terza stanza è quella della vita definitiva: la festa del paradiso. Il passaggio dall’una all’altra stanza è sicuramente un trauma che comunemente chiamiamo ‘nascita’ e ‘morte’. Ma dovremmo chiamare nascita anche la morte, perché – come diceva serva di Dio Chiara Corbella Petrillo – ‘una volta nati non si muore più’. La commemorazione dei defunti, posta subito dopo la solennità dei Santi, è dunque un modo per dare una risposta alla nostra sete di vita eterna”.