Oggi, domenica 15 gennaio Mons. Rosario Gisana celebra, nella Chiesa di Sant’Agostino di Gela, una messa in suffragio e di lode al Signore per fratel Biagio Conte, che ha concluso la sua esistenza terrena a Palermo giovedì mattina scorso circondato dai poveri per i quali ha speso tutta la sua vita.
Biagio, figlio di un industriale edile, nel maggio 1990 decise di dedicarsi a Dio, vestendosi di sacco, rinunciando a una casa, ritirandosi nelle montagne dell’entroterra siciliano e vivendo come un eremita, per poi incamminarsi in solitudine verso Assisi. Tornò a Palermo con l’intenzione di partire per l’Africa come missionario, ma rimase tra la sua gente: “Qui in troppi soffrono povertà e abbandono, qui è la mia missione”.
Cominciò dai senzatetto della Stazione di Palermo Centrale, facendosi – e lo era – uno di loro. Nel 1993, fondò la “Missione di Speranza e Carità” che ha ospitato e aiutato, negli anni, migliaia di persone senza chiedere ad alcuno in quale Dio credesse.
Il ricordo di don Pasqualino Di Dio di fratel Biagio
Ho conosciuto fratel Biagio Conte – racconta a Interris.it don Pasqualino di Dio, iniziatore della Piccola Casa della Misericordia di Gela – nel 1999, avevo 17 anni, mi colpì subito di lui il suo sorriso e i suoi occhi da bambino, con quella sua visione del mondo semplice e disarmante che trasmettevano qualcosa che andava oltre lo sguardo. Mi ricordo ancora quel suo camminare spedito nella Chiesa di San Sebastiano, appena inaugurata.
Biagio era un laico, non un prete né un monaco, tutti lo chiamavano “Fra” perché si è fatto fratello di tutti e per tutti ha camminato, spesso portando sulle proprie spalle una croce non solo per le strade della Sicilia e dell’Europa ma soprattutto del cuore nel dare voce a chi non ha voce e non si è mai stancato di gridare: gli ultimi.
Gela, che varie volte visitò, rimase nel suo cuore e la cosa che sempre mi colpiva era il fatto che, ogni volta che si parlasse di Gela, il suo ricordo andasse alla figura combattiva di don Franco Cavallo, che Biagio ha conosciuto già ammalato e prematuramente, come lui, scomparso. Durante gli studi teologici a Palermo, varie volte lo incontrai, lo invitai anche al Convegno interdiocesano della Misericordia nel 2012 e, accogliendo l’invito, vi partecipò con grande fatica perché allora era sulla sedia a rotelle; ricordo ancora l’applauso con il quale è stato accolto e la sua grande amabilità.
Poi nell’estate di quello stesso anno, dopo un pellegrinaggio a Lourdes, lasciò la carrozzina e si mise a peregrinare in tutta l’Italia per ringraziare il Signore e per portare il Vangelo della semplicità a tutti coloro che incontrava per le strade e le città fidandosi solo della Provvidenza.
Quando nel 2013 il Santo Padre Francesco mi chiese di fondare la Piccola Casa della Misericordia, ne parlai a Palermo con lui: chi più di lui poteva aiutarmi ad iniziare questa opera? – prosegue don Pasqualino Di Dio. Io e i miei collaboratori non avevamo mai fatto nessuna esperienza nel mondo del volontariato, non avevamo nessuno che ci potesse orientare, neanche un vescovo che ci potesse suggerire qualcosa: eravamo infatti nell’anno di sede vacante.
Lui mi diede delle indicazioni e poi venne a trovarmi, rimase con noi due giorni, volle rimanere a casa e dormire con la mia famiglia, come uno di famiglia nella semplicità disarmante che solo lui riusciva ad avere. Nei dialoghi con i volontari ha sempre dato i consigli necessari per l’accoglienza e nel come poter accogliere, pur nelle difficoltà, Gesù povero che nel povero, nell’anziano, nell’immigrato, nei giovani bussano ancora oggi alle porte della nostra Opera.
Mi ricordo che in quell’occasione confidai a Fratel Biagio il desiderio di iniziare l’adorazione eucaristica perpetua, all’uscita del palazzo Regina Margherita dove ha sede la Piccola Casa della Misericordia.
Fratel Biagio si mise in ginocchio davanti al portone della Chiesa di San Francesco di Paola, chiusa da 28 anni e, iniziando a battere con il suo bastone sulla porta pregava chiedendo al Signore questa grazia continuando a ripetere: “Questo luogo sarà fonte di benedizione e di provvidenza per la città e il comprensorio”. Così avvenne e, a dicembre dello stesso anno, si riaprì la chiesa iniziando subito l’adorazione eucaristica che da più di cinque anni va avanti ininterrottamente.
Varie volte incontrai Biagio a Palermo sia nella Missione “Speranza e Carità” da lui fondata che nella grotta dell’eremitaggio vicino all’Oasi della Speranza. Negli anni la nostra Casa ha avuto un grande legame di affetto e di carità per i poveri e i barboni che lui assisteva. Lo abbiamo aiutato anche nelle vetrate della Chiesa di tutti i popoli da lui fortemente voluta e visitata dal Santo Padre Francesco nel 2018.
Ho avuto la gioia di celebrare con lui e pochi fratelli, di parlare con lui lungamente soprattutto in questo ultimo anno segnato dalla sua grave malattia. L’ultimo saluto qualche settimana fa in una stanza della Missione trasformata in infermeria e l’ultimo dialogo telefonico a Natale. Non dimenticherò mai le sue parole e le sue lacrime di un uomo abbandonato alla volontà di Dio per il bene del suo popolo.
L’eredità spirituale che fratel Biagio oggi lascia a tutti è quella di accogliere il suo messaggio profetico, praticarlo nelle nostre comunità e di continuare l’opera che Dio ha iniziato in Lui, perché tutto quello che ha fatto, non l’ha fatto per sé stesso, ma per il Signore Gesù che lui riusciva a vedere con i propri occhi nei poveri e negli ultimi. Fratel Biagio nella sua coraggiosa testardaggine ci ha insegnato ad amare i poveri e la povertà e a lottare per loro perché ognuno sia valorizzato e non scartato o semplicemente assistito.
È un santo della porta accanto, che speriamo presto possa essere riconosciuto ufficialmente. Il suo insegnamento, la sua dottrina, la sua missione erano quelli dell’accogliere tutti senza distinzioni ed etichette, riuscire a vedere costantemente Dio in tutte le cose nella semplicità, di costruire artigianalmente la “civiltà dell’amore” nella gioia della condivisione e nel prendersi cura dell’altro nelle piccole cose.
Grazie Fratel Biagio per la tua “santa follia”, grazie perché non hai cercato consensi da nessuno ma sei andato avanti nell’umiltà e nella caparbietà del tuo essere in sintonia con Dio e il creato andando a volte contro tutto e tutti nella tua visione profetica che va più veloce dei nostri stantii ragionamenti e progetti.
Grazie per le tue battaglie, incatenamenti, scioperi della fame e soprattutto preghiere e carezze facendoti povero con i poveri, povero dei poveri, povero tra i poveri, senza slogan e compromessi, facendoti “servo di tutti per guadagnare il maggior numero” di fratelli. Grazie per i pani e i pesci passati nelle tue generose mani, miracolo che avviene non con le chiacchiere dei potenti di turno ma con la generosità degli umili.
Fa che portiamo avanti il tuo stile sobrio e con gesti concreti di pacificazione e segni di carità perpetuare il tuo stare sulla soglia tra la strada e l’altare.
Perdonaci se tante volte non ti abbiamo capito, se non siamo riusciti ad avere la tua lunghezza d’onda, anche quando sei stato costretto a dare segni forti alla tua amata terra e alla Chiesa intera.
Mancheranno i tuoi grandi occhi che sprigionavano il Cielo che portavi dentro, il tuo sorriso disarmante, la tua voce profetica di non dimenticare nessuno dietro, il tuo gigante cuore e la tua fede, convinta, pura e semplice – conclude il bel ricordo don Pasqualino Di Dio.
Ti vediamo circondato di gloria, accolto dai Lazzari della storia, nostri avvocati nel giudizio finale, e sentire dire al Signore: “Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo signore”. Grazie Biagiuzzo!