Secondo i dati diffusi dall’Emcdda, ossia l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, un’agenzia dell’Unione Europea e dal contestuale European Drug Report, in Italia, un terzo della popolazione, tra i 15 e i 64 anni di età, ha fatto uso di droga almeno una volta nella sua vita e un decimo ne ha fatto uso nell’ultimo anno. La droga più consumata è la cannabis, con una persona su dieci che ne ha fatto uso almeno una volta negli ultimi dodici mesi.
I cambiamenti e il processo terapeutico
In passato, soprattutto negli anni ’70 e ’80, con l’uso prevalente di determinate sostanze, quali ad esempio eroina e cocaina, le opzioni terapeutiche e farmacologiche, i sintomi dell’astinenza e le dinamiche umane e sociali che si instauravano avevano una certa uniformità. Dagli anni ’90 ad oggi invece, con l’arrivo delle cosiddette droghe sintetiche, il problema della tossicodipendenza e le relative terapie, ha assunto una complessità crescente per tutti gli attori in campo che hanno dovuto trovare nuove e inedite soluzioni per aiutare le persone a uscire da questo tunnel. Interris.it, in merito a questo tema, ha intervistato don Diego Fognini, sacerdote di frontiera, fondatore della comunità pedagogica-riabilitativa “La Centralina” in località Cermeledo, nel territorio comunale di Morbegno, in provincia di Sondrio, che accoglie uomini maggiorenni con problemi di dipendenza da alcool e sostanze stupefacenti. È inoltre autore del libro “L’amore non esclude nessuno”.
L’intervista
Don Diego, come nasce e che obiettivi si pone “La Centralina”?
“La Centralina” è sorta nel marzo del 1991. L’intento all’epoca era quello di costituire un centro di aggregazione giovanile, ma poi ci siamo trovati ad affrontare delle gravi problematiche emergenti, le quali in Valtellina cominciavano ad esserci ma, nel milanese, erano presenti già da qualche anno. Ci siamo messi insieme con altre persone, tra cui due medici e altri che lavoravano in diversi settori sociali e, da lì, abbiamo dato vita ad un centro diurno per persone con difficoltà, ad esempio dei borderline e giovani con problematiche psichiatriche. Siamo partiti da qui. La struttura non era quella attuale, ma una vecchia casa dove le persone anziane residenti nella casa di riposo di Morbegno, nei mesi estivi, venivano a fare le ferie, quindi, durante l’estate, bisognava convivere con loro. Nei primi tempi, attraverso dei corsi di piantumazione, eravamo riusciti a creare dei campi lavoro, svolti in sinergia con Enaip e con l’aiuto di volontari, in cui venivano impiegati i ragazzi qui residenti. Con il passare del tempo però, ci siamo accorti che stava cominciando ad avanzare il problema della dipendenza dalle sostanze stupefacenti, per cui si è iniziato ad intraprendere tale percorso con due/tre persone che venivano da via. Abbiamo allora chiesto al comune di poter utilizzare l’edificio conosciuto come “La Centralina” che, in passato, era una piccola centrale idroelettrica ormai in disuso. Però, ad un certo punto, una delle prime ragazze residenti qui, sieropositiva, si è sentita male ed una notte è morta. Dopo averla accompagnata a casa sua e celebrato il funerale, una notte, è stata incendiata la casa e ciò ha provocato molti danni. Dopo questo avvenimento, è partita la seconda fase della comunità. C’era un educatore che risiedeva sempre qui e si è cominciato a fare questo tipo di attività. A quel tempo, dopo aver effettuato una scrematura iniziale, si iniziava il lavoro con una decina di ragazzi e i risultati erano ottimi perché, su dieci che iniziavano il percorso terapeutico, otto riuscivano a portarlo a termine. Trascorso un po’ di tempo, sono stati fatti dei lavori di ristrutturazione e attualmente, dopo dieci anni, abbiamo questa struttura. In tale periodo sono passate da qui migliaia di persone, ci siamo accreditati con Regione Lombardia e, nel frattempo, abbiamo creato anche un centro diurno per persone con problematiche di natura psichiatrica. “La Centralina” rimane invece una comunità pedagogico riabilitativa. Attualmente abbiamo a disposizione 20 posti e cominciano a giungere persone da tutta la Lombardia. Se oggi effettuiamo una rilettura di tutto questo, ci rendiamo conto che l’ambiente è mutato, ma soprattutto è cambiata la modalità di assunzione delle sostanze stupefacenti. Un tempo, ad esempio, c’era chi assumeva cocaina, eroina o marijuana. Purtroppo, oggi invece, chi arriva qui, ha assunto ogni tipo di sostanza e, per questo, il problema diventa molto più difficile perché gli stessi, quando giungono a “La Centralina”, sono già molto compromessi. Ci chiediamo cosa dobbiamo guarire, la persona, la dipendenza oppure la psiche perché, la maggior parte di queste persone, hanno dei problemi di natura psichiatrica. Questo è il risultato dell’oggi in cui le droghe, che sono delle schifezze, colpiscono la testa delle persone e ciò rende difficile stabilire il nostro punto di partenza. Tale è la grande difficoltà che incontriamo, soprattutto nei ragazzi molto giovani”.
In che modo si potrebbe prevenire l’utilizzo di droghe? Le istituzioni come potrebbero intervenire per contrastare in maniera più efficace questo fenomeno e aiutare i ragazzi che entrano nel tunnel della droga?
“Questo è un grande problema. Penso che, bisogna cominciare a contrastare tale fenomeno a partire dalle scuole elementari. È importante sottolineare che, queste sostanze fanno del male alle persone, le quali non riescono più a distaccarsi dalle stesse perché, quando le usano, si sentono forti e percepiscono di avere una sorta di primato su tutto e tutti. Ciò diventa una grave problematica perché, spesso, nel momento in cui questi ragazzi devono fare delle attività e non si sentono in un certo modo, non stanno bene e non si presentano ai vari impegni. L’esperienza di Rogoredo insegna che, tante di queste persone, non hanno mai avuto delle cose belle o delle valutazioni positive da parte dei loro genitori. I motivi sono diversi, ad esempio perché non hanno raggiunto gli obiettivi che un genitore desiderava. Quando non si lascia la scelta a un ragazzo è chiaro che, lo stesso, non si sente apprezzato e responsabile della sua vita, perché gli sembra che siano gli altri a guidarla. È importante invece che siano loro a poter scegliere. Non dobbiamo dare la colpa solo alla famiglia, agli amici o alle diverse problematiche, ma a tutto ciò che sta loro intorno. A partire dalla scuola, dove magari, in alcuni casi, i ragazzi non sono stati apprezzati, i loro talenti non sono stati visti oppure non erano ciò che i professori pretendevano. L’abbandono scolastico oggi è altissimo, perché i ragazzi non ce la fanno. La scuola deve avere un aspetto educativo ed è proprio in questo elemento che il professore deve essere capace di trarre gli elementi belli che il ragazzo porta con sé, non quelli che vuole lui. Bisognerebbe fare un importante lavoro all’interno delle istituzioni scolastiche per far sì che, tutti gli alunni, si sentano importanti. Quando ci si sente valorizzati, non si ha più bisogno di sostanze per essere attivi. Sono i ragazzi stessi che si sentono vivi nonché valorizzati e, di conseguenza, stanno lontani dalle droghe. Se mostriamo loro il piatto della droga e quello della vita, tutti sceglieranno quest’ultimo con amicizie, gioia e felicità, piuttosto che quello della vita che scompare e sfugge sotto l’influsso delle sostanze. È chiaro che però, bisogna avere passione e spendere il tempo necessario per aiutare le persone a venire fuori da questa situazione. È il lavoro che tentiamo di fare a Rogoredo, non tanto portare cibo o vestiti, ma fermarsi a parlare con loro per ascoltare le rispettive problematiche e difficoltà. A volte, anche dopo un anno, si riesce a far valorizzare loro la vita e alcuni decidono di entrare in comunità. Magari è solo uno su dieci che si porta via alla criminalità, ma ciò dà soddisfazione perché la persona è tornata a vivere e non è più nell’inferno della droga”.
Quali sono i suoi auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare la sua azione?
“I sogni sono tantissimi. In particolare, riuscire sempre a dare qualcosa di buono a questi ragazzi. L’elemento più importante è l’esempio quotidiano, per far sì che gli stessi siano convinti e certi del proprio percorso. Solo in questo caso si comprende il significato del processo di ricostruzione della propria persona, non il dire adesso, perché si trovano qui, che la droga fa schifo. Altrimenti, quando vanno via dalla comunità, trovano subito lo spacciatore che li fa ricadere nel tunnel della dipendenza. Ne escono se capiscono che bisogna imparare ad essere sé stessi, non relazionarsi con le persone solo per sfruttarle e avere cura della propria persona. Solo in questo modo si può superare tale momento. Oltre a ciò, si fa fatica a trovare degli educatori che, al livello di studio sono preparatissimi, ma umanamente molto deboli e qui non c’è bisogno di teoria ma di pratica, è un luogo dove bisogna far crescere l’umanità. Bisogna trovare delle persone che, sulla carta d’identità, abbiano scritto “professione di umanità”; questa è una grande fatica che incontriamo quotidianamente. I volontari sono fondamentali ma devono fare gli uomini, questi ragazzi devono cambiare e non sono poverini. La formazione dei volontari è molto importante ma spesso si ha poco tempo per farla perché le giornate sono molto piene. Abbiamo diverse modalità con la quale potete aiutarci, come ad esempio dare il vostro 5×1000 oppure fare una piccola donazione per la frutta e la verdura che coltiviamo qui”.