Suor Faustina Kowalska e la centralità della Divina Misericordia
Karol Wojtyla è scomparso la vigilia della festività della Divina Misericordia. Difficile pensare che fosse stata solo una “coincidenza”. Era stato lui, a istituire quella festa e scrivere la lettera apostolica "Dives in Misericordia"
Alla misericordia Francesco ha dedicato un Anno Santo straordinario. La misericordia è la linea guida del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Oggi alle 10 il Papa celebra per la prima volta a San Pietro la Messa della Divina Misericordia. Negli ultimi due anni, a partire dal 2020 nel pieno della pandemia, il Pontefice aveva presieduto in forma riservata a Santo Spirito in Sassia la celebrazione istituita da Giovanni Paolo II. La chiesa è dedicato a santa suor Faustina Kowalska che ebbe il mandato da Gesù di celebrare la festa nella seconda domenica di Pasqua. Una vicenda che unisce inseparabilmente due modelli di santità. La religiosa polacca e Karol Wojtyla.
La misericordia come missione
Prima ancora di compiere gli ottant’anni, Giovanni Paolo II aveva chiesto agli esperti se fosse stato il caso, in quelle condizioni, di dare le dimissioni. E, dopo la risposta negativa (comunque aveva predisposto ugualmente tutto, nel caso ce ne fosse stato bisogno), decise di fronte a Dio di proseguire la sua missione. Almeno fino a quando ne avrebbe avuto le forze. Così, aveva continuato ad assolvere i suoi impegni. Senza mai far pesare la sua malattia, le sue sofferenze, sulla Curia. Sulla Chiesa universale. Resistette fin quando poté. Per la prima volta nel 2005, non ce la fece a partecipare alla Via Crucis al Colosseo. A Pasqua, si affacciò alla finestra dello studio. Ma non riuscì a pronunciare la benedizione. Sentendo avvicinarsi la fine, volle congedarsi da tutti i suoi collaboratori. E anche dall’addetto che curava la pulizia nell’appartamento pontificio.
Prima eredità
Il 2 aprile del 2005 era un sabato. Wojtyla sussurrò a suor Tobiana: “Lasciatemi andare dal Signore“. Poi, il suo cuore si fermò. E, già qui, c’era una prima eredità che Giovanni Paolo II lasciava. Da uomo, prima che da Papa. E cioè, lui che era stato acclamato come “John Paul Superstar”. Come il “Papa globetrotter”. Vigoroso. Atletico. Osannato in tutto il mondo. E ora invece era un povero vecchio impedito di camminare. Impedito di parlare. Ebbene, a una società ossessionata dal vitalismo. Dall’efficientismo. Dalla sublimazione del corpo. Giovanni Paolo II voleva ricordare come si possano vivere le diverse stagioni della vita. Con dignità. Con serenità. E, soprattutto, come si possa affrontare con coraggio anche una prova così sconvolgente, così “definitiva”, come la morte.
Quel 2 aprile era proprio la vigilia della festività della Divina Misericordia. Difficile pensare che fosse stata solo una “coincidenza”. Era stato lui, Giovanni Paolo II, a riscoprire e rilanciare la misericordia. Cioè quello che è uno degli attributi centrali di Dio e del suo amore senza confini. Era stato lui, a istituire quella festa. Era stato lui a dedicare alla Misericordia il suo miglior documento. La lettera apostolica “Dives in Misericordia”. Dove c’era, in controluce, il senso profondo della sua vita e del suo progetto di rinnovamento della Chiesa.
Rivelare Dio
La “Dives in Misericordia”, infatti, era un invito alla Chiesa molto diretto, molto esigente. Un invito, non solo a professare la misericordia di Dio. Non solo a immetterla nella vita dei fedeli. Ma anche, se la Chiesa vuole essere veramente specchio fedele di Cristo, tornare a mostrarsi più misericordiosa, più pronta al perdono. “Non le è lecito, a nessun patto, di ripiegarsi su se stessa. La ragione del suo essere è, infatti, quella di rivelare Dio“, scrisse Karol Wojtyla.
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