L’errore sociale di considerare malate le persone con disabilità. Barriere culturali all’effettiva partecipazione

Logo Interris - Pregiudizi e stereotipi sulle donne con disabilità nei luoghi di lavoro: la risposta di AISM

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Pregiudizi e stereotipi sulle donne con disabilità nei luoghi di lavoro: la risposta di AISM

Disabilità e malattia non sono sinonimi. La disabilità è una condizione che può nascere da una malattia. Ma non è la malattia stessa. Nella condizione di disabilità ha un ruolo predominante il contesto sociale, culturale, ambientale, urbanistico. La Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità parla di persone che “presentano una duratura menomazione fisica, mentale, intellettiva, sensoriale. La cui interazione con varie barriere può costituire un impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società”. Persone, non malati.

Condizione di disabilità

A mettere in guardia dalle “trappole della mente” sono la psicologa Erica Bertucci e il direttore sanitario di Arep Onlus, Massimo Zamuner. “E’ fuorviante pensare che l’ambiente naturale della persona con disabilità sia un luogo di cura– spiegano-. Avere una disabilità non significa essere malati. La persona con disabilità è portatrice di un bisogno di salute. E di un diritto di vedere tutelata la possibilità di giungere alla migliore espressione di sé. E delle proprie potenzialità. Affinché la disabilità possa rappresentare un’esperienza di vita. E un patrimonio della persona e della comunità. Nella disabilità, infatti, la persona e chi la circonda si confronta con il senso del limite. E ciò restituisce valore alle potenzialità dell’essere umano. La disabilità come patrimonio comune. Più che problema dell’individuo .Ed è falso che salute equivalga ad assenza di malattia”. E lo ribadisce la definizione di disabilità data dall’Icf. La Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. La stessa patologia produce effetti disabilitanti diversi. A seconda della persona e del contesto su cui agisce.

Adattamento

La disabilità richiede un processo di adattamento. E di accettazione della menomazione. Ciò consiste nel progressivo accogliere la perdita di funzionalità. Nei suoi aspetti concreti. Cioè necessità di ausili o strategie di compensazione. Per giungere ad una riorganizzazione della propria identità. Integrando la menomazione nell’immagine di sé. A testimoniarlo è Luca Trapanese .”Ho avuto la fortuna a 16 anni di conoscere la disabilità– racconta l’assessore alle Politiche sociali del comune di Napoli- Il mio migliore amico si ammala di melanoma. Lo accompagno fino all’ultimo momento della sua vita. E’ stata un’esperienza terribile. Ma anche la più bella della mia vita. Sono diventato grande quando ho capito che Diego era morto. Si fa spesso un errore a considerare disabili le persone malate. Sono due cose diverse. Ogni persona disabile, prima ancora, è una persona. Dobbiamo vedere la persona. E in essa noi stessi”.

Opportunità, non sventura

Quindi, è una questione culturale. Le persone disabili non sono malate. Certo, necessitano anche di trattamenti sanitari. Ma non solo di quelli. A ciò si unisce al Giffoni Film Festival il racconto, delicato e toccante sulla sua esperienza di genitore di Alba. Una bimba con la sindrome di Down adottata nel 2018. “Non mi sento un eroe– sottolinea Luca Trapanese-. Avere un figlio disabile non è una sventura ma una opportunità. La felicità dipende da te e dagli altri. Essere disabili non significa essere infelici. Tutti possiamo essere felici. Ma solo se la comunità è pronta ad accogliere questa persona con disabilità. La normalità non esiste. Siamo tutti difettati. E proprio i nostri difetti sono quello che ci caratterizzano. Possiamo essere felici solo se siamo noi stessi”.

Sos inconsapevolezza

E’ necessario, però, che anche la società sia pronta all’accettazione dell’altro. “Qualche settimana fa – afferma Trapanese – un bambino mi si è avvicinato sulla spiaggia. Spiegandomi che la madre aveva detto che Alba era malata e brutta. C’è ancora tanta inconsapevolezza della sindrome di Down che non è una malattia. Per non parlare di come facciamo crescere i nostri figli. E cioè ancora con atteggiamenti che allontanano dalla disabilità. Non siamo in grado di inserire nella nostra vita persone disabili. E’ difficile, per i nostri figli, anche permettere una gita, un doposcuola, un campo estivo. L’Italia è disunita su tutto ma unitissima, purtroppo, su questo fronte. Dietro la disabilità c’è tante cose. Dietro un disabile c’è un essere umano che ha voglia di vivere. Più che la malattia, spesso, è la società che li uccide“. Senza dimenticare le tante volte che nel linguaggio quotidiano usiamo ancora espressioni come “affetto da disabilità”. O “affetto da sindrome di Down”. Come se le persone con disabilità fossero state colpite da una malattia.

Giacomo Galeazzi: