Condizione di disabilità
Adattamento
La disabilità richiede un processo di adattamento. E di accettazione della menomazione. Ciò consiste nel progressivo accogliere la perdita di funzionalità. Nei suoi aspetti concreti. Cioè necessità di ausili o strategie di compensazione. Per giungere ad una riorganizzazione della propria identità. Integrando la menomazione nell’immagine di sé. A testimoniarlo è Luca Trapanese .”Ho avuto la fortuna a 16 anni di conoscere la disabilità– racconta l’assessore alle Politiche sociali del comune di Napoli- Il mio migliore amico si ammala di melanoma. Lo accompagno fino all’ultimo momento della sua vita. E’ stata un’esperienza terribile. Ma anche la più bella della mia vita. Sono diventato grande quando ho capito che Diego era morto. Si fa spesso un errore a considerare disabili le persone malate. Sono due cose diverse. Ogni persona disabile, prima ancora, è una persona. Dobbiamo vedere la persona. E in essa noi stessi”.
Opportunità, non sventura
Quindi, è una questione culturale. Le persone disabili non sono malate. Certo, necessitano anche di trattamenti sanitari. Ma non solo di quelli. A ciò si unisce al Giffoni Film Festival il racconto, delicato e toccante sulla sua esperienza di genitore di Alba. Una bimba con la sindrome di Down adottata nel 2018. “Non mi sento un eroe– sottolinea Luca Trapanese-. Avere un figlio disabile non è una sventura ma una opportunità. La felicità dipende da te e dagli altri. Essere disabili non significa essere infelici. Tutti possiamo essere felici. Ma solo se la comunità è pronta ad accogliere questa persona con disabilità. La normalità non esiste. Siamo tutti difettati. E proprio i nostri difetti sono quello che ci caratterizzano. Possiamo essere felici solo se siamo noi stessi”.
Sos inconsapevolezza
E’ necessario, però, che anche la società sia pronta all’accettazione dell’altro. “Qualche settimana fa – afferma Trapanese – un bambino mi si è avvicinato sulla spiaggia. Spiegandomi che la madre aveva detto che Alba era malata e brutta. C’è ancora tanta inconsapevolezza della sindrome di Down che non è una malattia. Per non parlare di come facciamo crescere i nostri figli. E cioè ancora con atteggiamenti che allontanano dalla disabilità. Non siamo in grado di inserire nella nostra vita persone disabili. E’ difficile, per i nostri figli, anche permettere una gita, un doposcuola, un campo estivo. L’Italia è disunita su tutto ma unitissima, purtroppo, su questo fronte. Dietro la disabilità c’è tante cose. Dietro un disabile c’è un essere umano che ha voglia di vivere. Più che la malattia, spesso, è la società che li uccide“. Senza dimenticare le tante volte che nel linguaggio quotidiano usiamo ancora espressioni come “affetto da disabilità”. O “affetto da sindrome di Down”. Come se le persone con disabilità fossero state colpite da una malattia.