Sulle sfide della comunicazione digitale e sul giornalismo 2.0, Interris.it ha intervistato uno dei più autorevoli giornalisti economici italiani: la firma della Stampa, Luigi Grassia. Alla redazione centrale di Torino si occupa di affari esteri, economia, scienze e cultura. Autore di servizi da oltre un centinaio di paesi (fra cui reportage sulla Somalia in guerra, le due Coree, le terre dei Sioux e i lanci spaziali da Cape Canaveral e da Kourou in Guyana) ha intervistato personalità come Henry Kissinger, l’ex segretario dell’Onu Kofi Annan, lo storico Arthur Schlesinger, Indro Montanelli. E i premi Nobel per l’Economia Amartya Sen e Paul Krugman. Fra i suoi libri c’è un’autobiografia giornalistica ironica, In mongolfiera contro un albero (con prefazione di Massimo Gramellini). Per scrivere la storia di Beltrami ha svolto ricerche in Italia e negli Stati Uniti, trovando numerosi documenti inediti. È cittadino onorario del Texas.
“Non credo che ci sia differenza di scrittura fra gli articoli di giornale e i libri che ho pubblicato. La questione si porrebbe in altri termini se anziché di saggi si trattasse di romanzi, lì si richiede tutt’altra scrittura, ma quando si tratta di riferire fatti non è diverso, almeno per quanto mi riguarda, farlo in un articolo di giornale o in un libro. In entrami i casi bisogna essere chiari, precisi, si deve far capire tutto e non bisogna annoiare il lettore, la sua attenzione non deve sfuggire. Non tutti sono di questo parere. Uno storico professionale una volta mi ha detto: ‘Complimenti per questo suo libro, certo è scritto in stile giornalistico e non accademico, ma la qualità del saggio è ottima’. Traduco: ‘Il suo saggio è ottimo, se fosse anche scritto male sarebbe di livello accademico’. Questo per quanto riguarda la forma. Quanto al contenuto, ovviamente il saggio comporta ricerche di archivio che l’articolo di giornale non richiede, se non in via eccezionale”.
“Ricordo che percepivo un’atmosfera opprimente, come una cappa di piombo, soprattutto nella crisi successiva a Lehman Brothers, cioè quella dello “spread”, quando ci fu il rischio concreto che lo Stato italiano fallisse e che venissero tagliate le pensioni e che gli ospedali non curassero più i malati come era successo in Grecia. Però si deve mantenere il distacco analitico in ogni circostanza”.
Cosa significa per lei raccontare la complessità del mondo?
“Che domanda difficile. Per me capire, scoprire, e poi comunicare e condividere, sono fra gli elementi essenziali del vivere. Mi piace occuparmi di tutto, dalla politica internazionale alla scienza, senza trascurare sport e spettacolo, possibilmente non a compartimenti stagni, ma tenendo conto delle connessioni. Fatta la tara dei momenti di noia (che ci sono) il lavoro che faccio mi piace moltissimo, infatti l’anno scorso ho rifiutato l’offerta dell’editrice di diventare un pensionato baby”.
Quando è nata in lei la passione intellettuale e professionale per il giornalismo e per l’attività di scrittore?
“Do una risposta ridicola e una seria, entrambe riferite all’infanzia. Risposta ridicola. La mamma mi ha raccontato che quando avevo un anno lei mi ha sorpreso dopo che mi ero mangiato mezza pagina di giornale (la Gazzetta del Popolo, concorrente de La Stampa che molti anni dopo mi ha assunto). All’epoca le pagine dei quotidiani erano enormi, altro che gli attuali tabloid. Se ne ho mangiata mezza doveva essere buona. Magari mi è rimasto l’imprinting. Risposta seria. Quando avevo sei anni e mezzo mio papà, che leggeva molti libri e giornali, mi regalò la Storia di Roma di Indro Montanelli, dicendomi che era scritta in modo chiaro e che anche un bambino avrebbe potuto capirla. Mi ci sono impegnato per un anno a sillabarla e ho deciso allora che da grande avrei fatto il giornalista, il che per me significava anche scrivere saggi, in uno stile così chiaro che tutti capissero”.
Come crede potrà evolversi la professione giornalistica a fronte delle turbinose evoluzioni tecnologiche nei mass media?
“Mi spiace ma sono pessimista. Io scrivo moltissimo anche sul web de La Stampa e su un paio di riviste online, e questo mi piace, però ho l’impressione che la lettura digitale sia più superficiale di quella su carta: si scorrono i titoli e le foto, forse qualche riga e si passa oltre. Però ci sono tante evoluzioni in atto, e il bisogno di informarsi non verrà meno, quindi sospendo il giudizio, anche perché ogni generazione pensa che la successiva sia avviata al disastro ma poi il mondo va avanti lo stesso. Non farò come Dante che credeva che il mondo suo contemporaneo andasse a rotoli e rimpiangeva i tempi dell’antenato Cacciaguida”.