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La depressione si combatte anche al lavoro

Il percorso terapeutico adeguato richiede, quindi, un approccio integrato;: il 40% dei casi nell'Unione Europea sono collegati a fattori stressanti legati al lavoro

La depressione è due volte più comune nelle femmine adolescenti e adulte che nei maschi adolescenti e adulti. Nei bambini, maschi e femmine sono ugualmente affetti. Il disturbo depressivo, secondo l’Istituto di psicologia e psicoterapia comportamentale e cognitiva (Ipsico), può esordire ad ogni età, con un’età media di esordio intorno ai 25 anni. Alcuni hanno episodi di depressione maggiore isolati seguiti da molti anni senza sintomi. Mentre altri hanno gruppi di episodi. E altri ancora hanno episodi sempre più frequenti con l’aumentare dell’età. Secondo l’Oms, ambienti di lavoro sicuri e sani possono agire come un fattore protettivo per la salute mentale. In occasione del World mental health day, l’Organizzazione mondiale della sanità ha posto l’accento sul benessere dei lavoratori. Sottolineando come “ambienti di lavoro sicuri e sani possono agire come un fattore protettivo per la salute mentale”. Il lavoro è una parte importante della vita che aiuta a definire e a realizzare gli individui. Tuttavia, trovare il giusto equilibrio tra vita lavorativa e vita personale non è così semplice. E sempre di più il work-life balance diventa un tema centrale. Il lavoro, infatti, può e deve integrarsi con la routine senza comprometterne la qualità. Secondo l’Etuc-European trade union confederation, circa il 40% dei casi di depressione nell’Unione Europea sono collegati a fattori stressanti legati al lavoro. Come una cattiva organizzazione, over work, disponibilità costante, precariato e condizioni di eccessiva pressione lavorativa.

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Foto di K. Mitch Hodge su Unsplash

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I Millennial e la Gen Z sono particolarmente sensibili a queste dinamiche. Secondo una ricerca riportata dal World Economic Forum, il 40% della Gen Z e il 35% dei Millennial si sentono spesso stressati, impauriti o ansiosi, con molti che segnalano episodi di burnout. Ma c’è una buona notizia. E’ possibile fare molto per prendere cura della propria salute mentale anche sul lavoro. Le aziende stanno già facendo passi avanti, promuovendo ambienti di lavoro più equilibrati e supportivi. Politiche che incentivano la flessibilità, il supporto reciproco e la gestione dello stress stanno diventando sempre più comuni. “In Guna – afferma Antonella Zaghini, peace manager dell’azienda farmaceutica milanese – per il secondo anno consecutivo, abbiamo attivato uno sportello psicologico gratuito per i dipendenti, un’iniziativa di supporto emotivo che ha ottenuto grande consenso. Questo spazio offre una consulenza mirata alla gestione delle emozioni, pensata per chi si trova ad affrontare difficoltà, sia in ambito lavorativo che personale. Un sollievo rapido per favorire l’uscita da crisi psicologiche-emotive momentanee”. Tutti possono contribuire al proprio benessere quotidiano, come ad esempio adottando semplici tecniche per gestire lo stress. Gestendo consapevolmente degli stati d’animo e chiedendo supporto quando si ha bisogno. Piccoli gesti che possono fare una grande differenza. La Giornata Mondiale della Salute Mentale ha offerto l’occasione per riflettere sul valore di un buon equilibrio tra vita e lavoro. Per sentirsi più appagati, sereni e in armonia con sé stessi.

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Foto di Christian Erfurt su Unsplash

Allarme burnout

“Il burnout (BO) – spiega Simonetta Marucci, medico chirurgo specialista in Endocrinologia – può̀ essere classicamente definito l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto (helping profession) e di servizio alla persona. E si presenta anche nelle situazioni in cui non si riesce a rispondere in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro o la vita quotidiana porta ad assumere”. Aggiunge Marucci: “Non si identifica esattamente con lo stress, poiché il BO è uno stato mentale negativo più prolungato. Mentre la reazione da stress è determinata da una risposta ad una percezione di ‘pericolo’ e ha una connotazione di risposta adattativa. Il BO porta ad uno stato emotivo di svuotamento, di astenia, di perdita di interesse per il lavoro e per le attività quotidiane e può facilmente sfociare in uno stato depressivo. Sia nello stress cronico che nel BO, si verificano dei veri e propri danni cerebrali, soprattutto a livello dei neuroni dell’ippocampo, sede della memoria ed importante centro emozionale. I quali vanno incontro ad una morte cellulare precoce, con riduzione delle funzioni cognitive“. Prosegue Marucci: “Certamente non possiamo prevenire il BO e lo stress. Poiché non dipendono da noi, ma dal contesto in cui ci troviamo a vivere e a lavorare”, Come si può agire quindi? E’ possibile prevenire, o almeno ridurre, i danni provocati a livello cerebrale?
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Foto di Vie Studio: https://www.pexels.com/it-it/foto/sentimenti-tipografia-carta-testo-7004950/

Malattia mentale

La Medicina delle basse dosi (Low dose) ci mette a disposizione delle Neurotrofine (fattori di nutrizione neuronale) che vanno a sostenere il sistema nervoso, favorendo il nutrimento cellulare dei neuroni e la loro attività. Aumentando “le connessioni sinaptiche (le sinapsi sono i collegamenti tra i neuroni, dai quai dipende la nostra capacità di produrre pensieri)”, sostiene Marucci-. Ad esempio, il Bdnf (Brain derived neurotrofic factor) e l’Ngf (Nerve growth factor) svolgono questa funzione in maniera fisiologica, sostenendo la funzione cerebrale in maniera naturale. A questi si può associare la Serotonina Low Dose, che contribuisce a sostenere il tono dell’umore“. La depressione, una patologia complessa. In Italia oltre 3,5 milioni di persone soffrono di disturbi depressivi e negli ultimi anni si è registrato un incremento significativo delle diagnosi, con un aumento del 30%, L’Oms ha lanciato un allarme globale, definendo la depressione come la principale causa di disabilità nel mondo e si prevede che, entro il 2030, diventerà la malattia mentale più diffusa. Ma quanto sono consapevoli gli italiani dei disturbi mentali?
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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Indagine

Per rispondere a questa domanda, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, l’istituto di ricerca Swg, con il supporto di Johnson & Johnson Innovative Medicine, ha realizzato un’indagine che traccia un quadro contraddittorio della percezione e della conoscenza della depressione nel nostro Paese. Sebbene più della metà degli intervistati la riconosca come una vera malattia, 3 italiani su 4 la associano ancora ad uno stato temporaneo, ritenendo che “capiti a tutti di sentirsi depressi di tanto in tanto“. Questo fraintendimento spesso porta a sottovalutare la gravità del disturbo. Due italiani su 3 pensano infatti che sia sufficiente distrarsi e fare qualcosa di divertente e coinvolgente, mentre il 67% crede che cambiare lo stile di vita, eliminando i possibili fattori scatenanti, sia una soluzione per affrontare la depressione. Lo stesso divario tra conoscenza e azione si evidenzia quando si parla dei sintomi. Da un lato, la conoscenza dichiarata dei sintomi della depressione risulta molto elevata. La perdita di interesse nelle attività quotidiane (86%), le difficoltà nelle relazioni sociali (88%), la bassa autostima (78%), i problemi legati al sonno (81%), le variazioni nell’appetito (77%), la stanchezza cronica (73%) e le difficoltà di concentrazione (69%). Dall’altro lato, però, il 63% delle persone, sospettando l’insorgenza dei primi sintomi, preferirebbe attendere un po’ di tempo per capire se si tratta di una fase passeggera. Di fronte al dubbio che qualcuno soffra di depressione – si legge nel report – solo una persona su 2 crede che ci si dovrebbe rivolgere ad uno psicologo o al proprio medico di base. Ma ancora il 35% degli italiani crede che sia sufficiente rivolgersi ad amici o familiari.

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Accesso alle cure

“Molti italiani – sostiene Felicia Giagnotti, presidente Fondazione Progetto Itaca Ets – riconoscono l’importanza di affrontare le malattie mentali e la depressione, la più diffusa tra queste, attraverso un percorso terapeutico. Ma purtroppo molti evitano di rivolgersi ad uno specialista della salute mentale, per paura dello stigma sociale. Come associazione, avvertiamo quindi l’urgenza di sensibilizzare l’opinione pubblica e offrire supporto concreto a chi combatte quotidianamente contro la depressione ed altre malattie psichiatriche, promuovendo una corretta informazione e un adeguato accesso alle cure. Il nostro impegno è orientato ad offrire maggiore supporto a pazienti e caregiver, perché superino lo stigma e non abbiano paura di chiedere aiuto”. “Sebbene la ricerca documenti una buona consapevolezza riguardo ai vari tipi di depressione – sottolinea Andrea Fiorillo, professore ordinario di Psichiatria presso l’Università della Campania ‘L. Vanvitelli’ e presidente della European Psychiatric Association, la Società europea di psichiatria – la depressione maggiore rimane spesso sottovalutata, nonostante l’impatto devastante sulla vita delle persone affette e dei loro familiari. Questa condizione si manifesta attraverso una tristezza persistente, una perdita di interesse per le attività quotidiane e cambiamenti significativi nel sonno, nell’appetito e nei livelli di energia. Può essere accompagnata da sentimenti di colpa, difficoltà di concentrazione e pensieri suicidari. Le cause della depressione sono molteplici. E includono fattori genetici, biologici (alterazioni ormonali e chimiche) e fattori ambientali (ad esempio traumi o situazioni di stress).
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Foto di Priscilla Du Preez 🇨🇦 su Unsplash

Percorso

Il percorso terapeutico adeguato richiede, quindi, un approccio integrato. Inoltre, è fondamentale promuovere diagnosi precoci e garantire un accesso tempestivo ai trattamenti più efficaci e innovativi”. Su una cosa c’è unanimità: la depressione fa paura. Il 79% degli intervistati dichiara di essere fortemente spaventato dalla depressione. E il 19% la percepisce come una condizione senza via d’uscita. Quasi il 90% riconosce inoltre l’impatto significativo che la malattia ha sulle relazioni personali. Causando conseguenze gravi nei rapporti di coppia, nelle amicizie, nelle dinamiche lavorative e persino nell’educazione scolastica. “Dallo studio Swg emerge ancora di più la necessità di intensificare l’educazione e la sensibilizzazione per affrontare correttamente questa patologia e ridurre lo stigma che la circonda – conclude Alessandra Baldini, Medical Affairs Director Johnson & Johnson Italy – L’88% degli intervistati ritiene infatti che il termine ‘depressione’ venga spesso utilizzato in modo inadeguato, sminuendo la serietà della malattia. Per noi di J&J Innovative Medicine, garantire un accesso equo e tempestivo ai trattamenti innovativi per i pazienti affetti da depressione maggiore è una priorità assoluta. Lavoriamo in continua collaborazione con istituzioni e associazioni di pazienti per promuovere un’informazione adeguata e assicurare cure accessibili e di alta qualità per tutti“.

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