Deinfluencer vs influencer: ultima strategia di marketing?

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Il “deinfluencing” è un fenomeno esploso nei mesi scorsi e ormai diffuso nel mondo: consiste nel sottoporre a critica i prodotti e i servizi reclamizzati dagli influencer, per dimostrare la presenza di falsi consigli. Nel “marketing dell’influenza” o “influencer marketing”, sta prendendo sempre più piede, nei social, soprattutto su TikTok (oltre 400 milioni di visualizzazioni) quest’atteggiamento contrario. La nuova tendenza dei giovani utilizzatori, non solo italiani, è quella di porsi dei dubbi sulle “direttive” degli influencer, impartite per ottenere i prodotti migliori e apparire al meglio (dal trucco all’abbigliamento). Qualche “eretico” ha posto in dubbio che i dogmi degli influencer siano verità rivelata e, dunque, ha scatenato una corsa a dubitare e sconsigliare. L’obiettivo è di ridimensionare il ruolo ipnotico e imponente (anche a livello economico) detenuto, attualmente, dagli influencer, soprattutto nelle nuove generazioni (ancora acerbe nelle scoperte e più sensibili ai subdoli condizionamenti.

Le critiche agli influencer non sono mancate, mai, sin dall’inizio, soprattutto per questioni competitive e di invidia nei loro confronti. Il seguito di tali perplessità, in ogni caso, è rimasto ai margini, tanta era la fiducia riposta nei dispensatori di consigli. Negli ultimi mesi, tuttavia, lo spirito critico ha conosciuto una spinta notevole e, sostenuto dall’effetto virale (ma anche sostanziale), ha imperversato nel passaparola del web.

La proliferazione, eccessiva, di influencer, probabilmente non ha favorito (nella confusione di offerte e prodotti), quelli più onesti e realistici. Reali, nel vero senso della parola, poiché le cronache hanno anche citato il caso di Aitana López, modella e influencer spagnola, creata dall’intelligenza artificiale ma in grado di produrre numeri, come riporta “Wired” (portale di notizie e commenti su digitale, sostenibilità, salute, gadget, ecc.) nel mese di novembre scorso, “da oltre 120.000 follower” e “di guadagnare oltre 10.000 dollari al mese”.

In materia di pubblicità digitale, ormai da tempo esaurito l’aspetto “pioneristico”, la Commissione Europea, rivolta a garantire una stretta normativa, nei mesi scorsi ha varato una piattaforma, la “Influencer Legal Hub”, attraverso la quale si possono reperire informazioni dal punto di vista legale, per tutti i soggetti coinvolti: chi vende, chi influenza e chi acquista.

Il 28 luglio 2002, a Toronto, durante la XVII Giornata Mondiale della Gioventù, San Giovanni Paolo II ricordò “Lo ‘spirito del mondo’ offre molte illusioni, molte parodie della felicità. Non vi è forse tenebra più fitta di quella che si insinua nell’animo dei giovani quando falsi profeti estinguono in essi la luce della fede, della speranza, dell’amore. Il raggiro più grande, la maggiore fonte di infelicità è l’illusione di trovare la vita facendo a meno di Dio, di raggiungere la libertà escludendo le verità morali e la responsabilità personale”.

Federica Micoli, digital strategist e consulente commerciale, è l’autrice del volume “Confessioni di un’influencer pentita”, pubblicato il 30 maggio scorso da “Fabbri”. Parte dell’estratto recita “Quel mondo luccicante per Federica (da influencer nda) è diventato una prigione, dove contava solo esserci sempre e comunque, mostrando un’immagine di felicità e perfezione. È questo in fondo l’obiettivo di un sistema che nasce per vendere pubblicità e monetizzare: rendere le persone dipendenti e schiave, eternamente connesse al digitale, costantemente disconnesse dalla realtà. Federica è sprofondata negli inferi dei social, ma è anche riuscita a risalire: ha scoperto che un altro modo di vivere i social è possibile, basta imparare a riconoscere chi vuole lanciarti fumo negli occhi”.

Il 21 novembre scorso, UPA-Utenti Pubblicità Associati (Associazione che riunisce le più importanti aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità e in comunicazione in Italia), ha pubblicato alcuni dati molto interessanti. Tra questi, si legge “Dalla survey realizzata da UPA presso i propri associati è emerso che gli investimenti pubblicitari in influencer marketing continuano a crescere: quest’anno toccheranno quota 323 milioni di euro, segnando un aumento del +10% sul 2022. Rispetto all’anno scorso cresce anche la percentuale delle aziende che fa ricorso a questa leva di comunicazione, passando dall’81% al 90%. I creator vengono sempre più equiparati a dei veri e propri mezzi di comunicazione, come dimostra il fatto che per il 56% delle aziende intervistate la spesa destinata all’influencer marketing è parte del budget media”.

In parte, il fenomeno ha similitudini con quello delle recensioni, in cui, per uno stesso ristorante, a esempio, pur nella legittima varietà di opinioni, si riscontrano pareri pessimi e altri incensatori. Dissuadere dai prodotti, a prescindere, non ha molto senso, semmai è opportuno invitare a un consumo critico e responsabile, legato effettivamente alle esigenze, evitando sprechi. Si prova a frenare lo shopping compulsivo, il disturbo del controllo degli impulsi, in cui la gratificazione avviene esclusivamente per via materiale, attraverso acquisti.

Il deinfluncer è un influencer che si pone in un’altra veste e che, in ogni caso, seppur presentandosi come “illuminato”, ha consensi importanti. Occorre valutare, tuttavia, se questa nuova figura non si stia gradualmente sostituendo, in realtà, a quelle che critica. I giovanissimi, pur essendo in una fase di attivo apprendimento del mondo, fra prove ed errori, conoscono bene il mercato e i prodotti, per cui sanno cogliere le eventuali falle dell’influencer marketing e iniziare a sospettare. La forte persuasione che le nuove strategie commerciali operano nei loro confronti, non garantisce un totale asservimento, anzi promuove delle critiche. In un ambiente (del web e dei social) dove tutto è molto veloce, camaleontico e nuovo, fisiologicamente si possono produrre situazioni impreviste.

“Sconsigliare” è la nuova parola d’ordine che si oppone a quella precedente di “consigliare”; la usano persone già affermate e seguite sul social nonché persone comuni senza, al momento, una “dote” di seguaci. Il deinfluencer si pone come smascheratore della falsità e si considera depositario dell’onestà, una persona su cui ci si può affidare.

Il marketing e la pubblicità, tendono da sempre, a convincere il consumatore, ricorrendo ai consigli di personaggi famosi (attori, cantanti, calciatori). L’influencer, nato, in genere, dal nulla, e destinato, prettamente, a categorie di età molto giovani e più malleabili, lega a sé il consumatore nel tempo e ne determina le opinioni. Si è assistito a molta attenzione e approvazione nei confronti dei deinfluencer ma i giovani acquirenti si dimostrano molto guardinghi poiché temono solo un’evoluzione del controverso fenomeno già visto alla prova dei fatti e dei prodotti.

Occorrerà valutare come i brand più famosi, operativamente sempre dietro agli influencer, decideranno di approcciare a tale consumo ridotto e più critico; sicuramente in una veste più etica e autentica. L’aver promosso e suggerito un consumo ostentativo (maggiore di quello che è possibile concedersi), nel ricercare fama e ammirazione esteriore, ora presenta il conto con una realtà più severa. Il terreno, tuttavia, rimane sempre quello della contrapposizione e della divisione, scatenando le tifoserie dei pro e degli anti e, all’interno delle stesse, altre sottocategorie/nominativi da sostenere. In tale divisione, rimane aperta la corsa alla verità, nel poter riuscire a dimostrare dove sia il giusto e l’ingiusto, chi ha ragione e chi no.

L’idolatria nei confronti dei santoni del web ha cominciato a vacillare. Qualcosa ha iniziato a covare sotto la cenere. In una prima fase, i clienti nutrivano l’esigenza di avvicinarsi ai miti che seguivano e di vivere la stessa loro vita, così sempre perfetta, con il massimo che si possa desiderare in materia di successo, abbigliamento, cibo, vacanze e possedere, dunque, la formula della felicità. In questo secondo momento, molti acquirenti non gradiscono rimanere in una posizione esclusivamente subalterna e passiva, vogliono essere protagonisti e affermare la propria opinione.

La persuasione è andata oltre e la pretesa di poter controllare, sistematicamente, i consumatori non si è rivelata tale. I giovani non hanno apprezzato lo spirito puramente commerciale e imprenditoriale, quasi meccanico e incriticabile, mentre avrebbero preferito anche dei consigli disinteressati, di essere considerati non solo delle unità da spesa bensì delle persone, con tutti gli aspetti che ne conseguono, attraverso un rapporto di vera fiducia, di compliance e solidarietà.

Il marketing estremo ed esasperato, benché giochi sulle debolezze dei clienti, rischia di contraddirsi, perdere credibilità e seguito. Non si immobilizza però, perde solo del tempo prezioso (che si conta in moneta) e, in tale circostanza, deve prontamente riposizionare le sue spire e sedurre con altre tecniche.

Marco Managò: