Il debito pubblico, secondo Bankitalia, a febbraio ha raggiunto i 2.736,637 miliardi. “E’ record storico. Un nuovo primato in valore assoluto del debito pubblico. Un dato sconvolgente che supera la precedente rilevazione di agosto 2021. Quando era 2.735 miliardi. Se fosse un debito a famiglia, si tratterebbe di un indebitamento pari a 104 mila e 482 euro“, afferma Massimiliano Dona. Aggiunge il presidente dell’Unione Nazionale Consumatori: “Anche calcolando il debito pro capite, si raggiunge un nuovo traguardo, pari a 46 mila e 397 euro a persone. Un valore monstre superiore a ogni precedente“.
Dove nasce il debito
“Quella del debito pubblico italiano è una storia strana– spiega Pietro Saccò, esperto di economia al quotidiano dei vescovi Avvenire-. Perché ha un inizio molto prevedibile. Poi avanza noiosamente. E improvvisamente, verso il finale, si fa avventurosa”. Il professor Roberto Artoni è ex commissario Consob. E docente emerito di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano, qualche anno fa, prima dello scoppio della recessione, ha proposto una ricostruzione storica dell’andamento del passivo di Stato italiano. Dall’Unità ad oggi. E ha individuato quattro grandi momenti di crescita del debito dell’Italia rispetto al suo Prodotto interno lordo. Il primo momento di accumulo ha portato il rapporto tra debito e Pil al 117% nel 1897. E si spiega con la caduta del Pil dovuta alla Grande Depressione di fine secolo. Il secondo e il terzo momento coincidono con le due Guerre mondiali. “Questa è la parte prevedibile della storia e anche quella meno interessante. Dato che tutte e tre le volte l’Italia con l’aiuto di condoni e inflazione è poi riuscita a riportare sotto controllo i suoi conti pubblici“, osserva Saccò.
Problema aperto
“La parte avventurosa- sottolinea Saccò- è il quarto momento di accumulo del debito pubblico. Una fase che inizia nel 1974 con un debito al 54,5% del Pil. E si chiude nel 1994. Con un rapporto tra debito e Pil al 124,3%. Ciò che è successo in quel ventennio è il problema veramente aperto“. È un problema aperto anche a livello pratico. A differenza delle altre volte, l’Italia non è mai riuscita a riassorbire il debito accumulato in quei vent’anni. Ci ha provato e con significativi sforzi. E’ stata capace (unica in Europa) a chiudere in attivo, al netto degli interessi, 22 bilanci pubblici su 23 tra il 1995 e il 2017. Non è bastato. Nel 2007 il debito era tornato sotto quota 100%. La grande recessione ha però abbattuto il Prodotto interno lordo di quasi dieci punti percentuali. Una situazione che ancora non abbiamo recuperato. Lasciando schizzare il rapporto debito/Pil fin sopra il 130%.
Interessi e inflazione
Tra il 1975 e il 1981, sottolinea Saccò, l’Italia pagava sul suo debito pubblico interessi in media di 10 punti percentuali inferiori all’inflazione. Oggi siamo abituati all’idea di titoli di Stato che pagano tassi negativi. Anche se i risparmiatori, naturalmente, scelgono altri investimenti. Ma già allora nessuno era disposto a regalare soldi all’Italia. Per questo nel 1975 governo e Banca d’Italia concordarono che la Banca centrale avrebbe garantito il successo delle aste dei titoli di Stato. Stampando moneta per comprare le obbligazioni rimaste invendute. In questo modo il costo dell’aumento del debito non si vedeva direttamente nei conti pubblici. Ma veniva scaricato sulla lira. Che infatti tra il 1975 e il 1980 si svalutò del 40% rispetto al dollaro.
Equilibrio saltato
Nel 1981 arrivano le scelte di Ronald Reagan e Paul Volcker. Rispettivamente neoeletto presidente degli Stati Uniti e governatore della Federal Reserve. Le loro decisioni fanno saltare l’equilibrio precario dei conti italiani. Washington decide che è il momento di abbattere l’inflazione. Che negli Usa aveva raggiunto il 14%. La Fed procede con un drastico aumento del costo del denaro. Che in sei mesi passa dal 9 a quasi il 19%. “Una manovra costosa che negli Usa abbatte la crescita dei prezzi. E nel 1983 l’inflazione americana è scesa al 3,2%.- analizza Saccò- Ma fa salire la disoccupazione. E provoca una momentanea recessione prima del boom economico“. La Banca d’Italia si comporta come tutte le altre grandi banche centrali. E cioè è costretta a inseguire la Fed. E indirizzare il Paese su un cammino di ‘disinflazione’. Fatto di aumenti del costo del denaro. E di riduzione del tasso di aumento dei prezzi. Senza inflazione, diventa semplicemente impraticabile l’aumento del debito a spese della lira. Che si svaluta di un altro 40% rispetto al dollaro soltanto durante il 1981″. Un lascito del passato che grava pesantemente sul presente e sul futuro.