“L’emergenza sanitaria e la conseguente crisi economica hanno accelerato processi sociali già in corso, facendo emergenze rischi e opportunità di cambiamenti radicali e ineludibili“, afferma a Interris,it il sociologo Domenico De Masi. “Nel mondo del lavoro e nell’organizzazione della società c’è un filo, un percorso di evoluzione sociale che va avanti da un paio di decenni- spiega il professor De Masi-. Alcune aziende, soprattutto nei comparti tecnologicamente più avanzati, se ne sono rese conto 15 anni fa e si sono adeguate in modo graduale, altre più recentemente e per effetto della pandemia“. La “sferza dell’emergenza Covid”, precisa De Masi, ha fatto emergere “in modo evidente a chiunque” un cambiamento radicale nel mondo del lavoro. E cioè: “Prima le aziende erano composte per l’80% da operai, oggi per l’80% di impiegati e figure professionali legate alla commercializzazione e promozione dei prodotti”. Quindi, sottolinea il sociologo, “serve un ambiente di lavoro più agile rispetto alla fabbrica tradizionale e c’è bisogno di un diverso approccio verso il lavoratore”. E’ un’analisi documentata e controcorrente quella che l’accademico Domenico De Masi, uno dei padri della sociologia del lavoro europea, articola intrecciando le radici del passato, le dinamiche del presente e le prospettive del futuro. “La pandemia sta accelerando trasformazioni già in atto da 15-20 anni”, spiega il professor De Masi a Interris.it.
Il lavoro sotto la lente della scienza
Il sociologo Domenico De Masi, ha insegnato ininterrottamente dal 1961. È professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma, dove è stato anche preside della facoltà di Scienze della comunicazione. Ha contribuito a diffondere il paradigma post-industriale, basato su un’idea fondamentale. A partire dal 1950 l’azione congiunta di progresso tecnologico, sviluppo organizzativo, globalizzazione, mass media e scolarizzazione di massa ha prodotto un nuovo tipo di società. Il professor De Masi ha fondato la S3-Studium, società di consulenza organizzativa, di cui è direttore scientifico. E’ membro del comitato etico di Siena Biotech e del comitato scientifico della Fondazione Veronesi. E’ stato presidente dell’In/Arch, Istituto Italiano di Architettura; fondatore e presidente della Sit, Società italiana telelavoro; presidente dell’Aif, Associazione Italiana Formatori.
Ha pubblicato numerosi saggi di sociologia urbana, dello sviluppo, del lavoro, dell’organizzazione, dei macro-sistemi. Dirige “Next. Strumenti per l’innovazione” ed è membro del Comitato scientifico
della rivista “Sociologia del lavoro”. Collabora con le maggiori aziende e con le maggiori testate italiane.
La profezia di Paolo VI
“Nel sentiero lungo il quale l’umanità è incamminata, è illuminante una frase di Paolo VI: ‘Il lavoro non è umano se non intelligente e libero‘- puntualizza De Masi-. E in effetti ‘smart working” è la traduzione inglese dell’espressione ‘lavoro intelligente‘. Paolo VI, però, intendeva dire molto di più. La questione non è solo lavorare da casa o dall’ufficio. La questione è quella di un diverso rapporto tra uomo e macchina, tra produttore e consumatore. Fino a sei mesi fa queste idee circolvano in poche aziende come Ibm o TechnoGym, adesso come conseguenza della pandemia hanno diffusione ovunque. La pandemia ha accelerato una mutazione di mentalità e di modelli organizzativi in un ambito molto più ampio“.
Cambiamento di paradigma
“Adesso, come conseguenza dello choc della pandemia, sono maturate in fretta le premese perché dinamiche decennali concorrano nel determinare un mutamento di paradigma– osserva De Masi-. L’evoluzione verso un’organizzazione del lavoro più agile si insinua nella mente di un numero sempre più alto di imprenditori e capi del personale. E’ l’idea che si possa essere felici sul lavoro quando, come prospettava Paolo VI, il lavoro diventa più intelligente e libero”. Dunque, analizza De Masi, “il coronavirus ha lavorato, senza volerlo, in questa direzione. Ha messo sul tappeto alcune domande sul valore del lavoro in rapporto alla salute, alla giustizia, al tempo libero, all’interazione con gli altri”. Il lavoro è “al centro di un procedimento, di una mutazione di paradigma”. Quel lavoro che è un fenomeno che da sempre accompagna gli esseri umani come una condanna. Ma che nel ventunesimo secolo potrebbe, secondo De Masi, diventare finalmente una gioia creativa. “Che cosa è stato il lavoro e che cosa sarà?”, si chiede De Masi approfondendo le diverse interpretazioni teoriche del lavoro e passandone in rassegna le trasformazioni concrete.
Separazione netta nel lavoro
Dalla schiavitú alla rivoluzione industriale fino al XXI secolo. “Se finora i trattati sul lavoro hanno riservato gran parte del loro interesse all’operaio e alla fabbrica, pari attenzione va riservata alla fatica fisica, al lavoro intellettuale e alle attività creative. Rompendo la separazione netta tra lavoro e non lavoro, occorre focalizzare anche le situazioni in cui gli individui ibridano il loro lavoro con altre forme di vita“. E ciò perché dalla seconda metà del Novecento, l’azione congiunta del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, dei mass media e della scolarizzazione diffusa abbia prodotto un tipo nuovo di società, centrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Con il concetto di “ozio creativo“, sintesi di lavoro, gioco e studio, si apre una via inedita per comprendere come cambierà il lavoro nel nostro futuro.
Dipendenti pubblici
Dall’unità d’Italia a oggi, l’inefficienza della nostra pubblica amministrazione è passata indenne “attraverso un‘infinità di scrupolose rilevazioni, coraggiose denunzie, volenterose riforme”. Secondo De Masi “al fallimento di tali riforme può aver contribuito il fatto che i giuristi hanno proceduto da soli al disegno della macchina burocratica, laddove sarebbe stato necessario un approccio multidisciplinare”. Eppure, lo sviluppo della società postindustriale impone “servizi pubblici sempre più sofisticati”. E per assicurare tali servizi si deve saper progettare con dovuto anticipo una pubblica amministrazione capace di erogarli.”E per progettare occorre prevedere– prosegue De Masi-. Da qui la necessità di cambiare anche il lavoro dei dipendenti pubblici”. Oltre tre milioni di persone tra operai, impiegati, funzionari e dirigenti cui spesso si imputa l’inadeguatezza della macchina statale. Un apparato indispensabile che rappresenta anche il principale datore di lavoro del nostro Paese. “Occorre unire una lettura storica del fenomeno burocratico e l’analisi sociologica di tale fenomeno inteso come ‘iperogetto‘ alla previsione dello scenario evolutivo più probabile, proiettato nel prossimo decennio“, conclude De Masi sulle variabili centrali che determinano l’evoluzione organizzativa della pubblica amministrazione. E cioè “il rapporto tra domanda e offerta, la reazione ai trend demografici, l’impatto del progresso tecnologico, la gestione delle risorse umane, la conflittualità, il ruolo dei corpi intermedi come i sindacati, il bilanciamento tra lavoro e vita privata“.