Cibo sminuzzato che viene masticato molto lentamente prima di essere inghiottito, o si introduce voracemente nel corpo per poi espellerlo più rapidamente possibile, o ancora che viene trangugiato senza controllo. Un male che divora la psiche e, passando per il corpo, la vita. Nelle diverse manifestazioni, tra cui le più note sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge eating, cioè l’alimentazione incontrollata, i disturbi del comportamento alimentare colpiscono oltre tre milioni e mezzo di persone in Italia, a un’età via via più bassa, sempre di più giovani e giovanissimi di sesso maschile. “Probabilmente tra dieci anni non sarà più un disturbo di genere”, dichiara a Interris.it l’esperta Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, fondatrice del centro “Palazzo Francisci” di Todi, specializzato nella presa in carico e nel trattamento di queste patologie.
La Giornata
Interpellato in occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla, promossa a partire dal 2012 dall’associazione “Mi nutro di vita”, grazie all’impegno di un padre che ha perso figlia diciassettenne per bulimia il 15 marzo 2011, e istituita dalla Presidenza del Consiglio nel 2018 per sensibilizzare su queste malattie, il direttore della Rete disturbi comportamento alimentare Usl Umbria 1 e docente all’Università Campus Bio-Medico di Roma osserva che nel 2022 il totale dei casi già in trattamento e dei nuovi raggiunge i 3,6 milioni di pazienti, rispetto al 2,3 milioni del 2019. Sottolinea Dalla Ragione che si tratta di dati sottostimati poiché il “sommerso” potrebbe aggirarsi su un ulteriore milione di persone che soffrono di questi disturbi: “Nell’ultima indagine sul periodo 2019-2021 il Ministero della Salute ha registrato chi è entrato in contatto con il Servizio sanitario nazionale nel suo complesso, ma in tanti non lo hanno fatto”. “La maggior parte delle nostre e dei nostri pazienti arriva da noi con storia di malattia di due o tre anni, quindi ce ne sono diversi che non sono stati ancora intercettati”, aggiunge.
L’aumento
I casi sono aumentati del 30% nel post-pandemia. “Sicuramente nei momenti più duri del Coronavirus si è registrato un picco dei disturbi, che continua nel 2022 e nel 2023”, spiega l’esperta, “secondo la comunità scientifica, il Covid e il lockdown possono aver slatentizzato una sofferenza già presente”. I disturbi del comportamento alimentare, benché si mostrino nella maniera più evidente nel rapporto col cibo, sono manifestazioni di un problema di tipo psichiatrico che colpisce i più piccoli proprio nelle fasi maggiormente delicate del loro sviluppo psicofisico. L’età di esordio della malattia si è abbassata, fino a presentarsi anche nella popolazione infantile, e la diffusione tra i ragazzi cresce.
Disagio contemporaneo
Se fino a qualche anno fa un preadolescente che viveva una situazione difficile avrebbe manifestato attacchi di panico o ansia, oggi può sviluppare un disordine alimentare già a otto anni, soprattutto se di sesso femminile, contestualizza la dottoressa. La fondatrice del centro di Palazzo Francisci chiarisce che questi disturbi “interpretano il disagio contemporaneo negli adolescenti e nei bambini al posto di altre patologie”. Il fenomeno oggi riguarda sempre più anche i maschi, passati nell’arco di un decennio dall’uno al 10% della popolazione ammalata, fino al 20% nella fascia d’età 12-17 anni. “Oggi la partita dell’identità si gioca sul corpo”, illustra la psichiatra e psicoterapeuta, “il loro modo per esprimere il disagio”. “Sono forme moderne di depressione in cui c’è l’ossessione per il cibo e le forme del corpo, il peso rappresenta la punta dell’iceberg. C’è alla base un dolore angoscioso, una bassissima autostima, una profonda incapacità di vivere nel mondo che porta a comportamenti autodistruttivi”, puntualizza Dalla Ragione.
Eziopatogenesi
Oggi le patologie prevalenti sono bulimia e binge eating, che insieme raggiungono il 70% dei casi, ma l’anoressia resta la principale causa di morte. L’ultima, tendenzialmente, è di tipo restrittivo, cioè chi ne soffre riduce l’assunzione di cibo. Le altre due sono forme di discontrollo alimentare. Si fanno grandi abbuffate, in un caso con metodi di compenso, quali vomito autoindotto o lassativi, nell’altro no. Individuare le cause non è semplice, dato che potrebbero avere “un’origine post-traumatica o dovuta alla caratteristiche personali o familiari, ancora, a fattori culturali”, spiega Dalla Ragione, che aggiunge: “Queste patologie esistono dove c’è tanto da mangiare e ci sono standard di magrezza, ma non compaiono dove non c’è cibo”.
Campanelli d’allarme
Quali sono i segnali a cui le persone vicine a chi soffre di uno di questi disturbi devono prestare attenzione per intervenire in tempo, dato che i dca hanno un tasso di mortalità del 10%? La dottoressa elenca comportamenti ripetuti in cui si modificano le abitudini alimentari, come l’eliminazione di certi alimenti dalla dieta o spezzettare il cibo, l’eccessiva attività fisica, la perdita o l’aumento di peso. Ma ricorda che occorre osservare ciò che c’è dietro quello che l’occhio vede. “Sono patologie psichiatriche, a cambiare veramente sono le abitudini psicologiche. Dentro queste persone la vita si spegne, chi è brillante e socievole diventa triste e nervoso”. Un processo di cui probabilmente, nella maggior parte, non si accorgono nemmeno, precisa Dalla Ragione: “Sono disturbi egosintonici, per cui chi ha un problema alimentare spesso non ne è consapevole per lungo tempo”. Il “campanello di allarme” del sospetto deve suonare quindi di fronte a quei due indizi.
Le cure
L’intero sistema sanitario del Paese, dalla medicina territoriale agli ospedali alle strutture, non è ancora compiutamente pronto per affrontare questi disturbi con la prevenzione e la rapida presa in carico. “È difficile che si arrivi alle cure nel primo anno di storia di malattia, perché i sistemi di diagnosi precoce non sono perfezionati”, spiega l’esperta. “Occorre aumentare la formazione di tutti i sanitari, medici di base e pediatri di libera scelta in primis, e di chiunque entri il contatto con i giovanissimi, per capire tempestivamente che dietro a certi segnali si può nascondere un disturbo alimentare”. Ma non tutti possono curarsi nel proprio territorio, perché non in tutte le regioni ci sono i servizi adeguati. In base ai dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), i centri dedicati ai Dca su tutto il territorio nazionale sono 126, e 63 si trovano nel Nord Italia. “Metà delle regioni non ha centri di cura, questo per tanti significa partire in ‘viaggi della speranza’ per andare a farsi curare altrove”, afferma la fondatrice del centro di Palazzo Francisci. La struttura, nata vent’anni fa nel cuore dell’Umbria, è stata pensata per la riabilitazione psiconutrizionale delle sue ospiti, a cui nel tempo si sono aggiunti anche pazienti di genere maschile, in cui un’equipe multidisciplinare lavora con contemporaneamente sul piano dell’alimentazione e su quello psicologico, con attività laboratoriali e terapia, in un contesto non ospedaliero, senza camici né corsie. “Riteniamo che i nostri pazienti accettino meglio il ricovero in spazi di cura accoglienti, simili a una casa, dove c’è maggior familiarità”.