In cerca di cure anti-Covid per rendere sempre più la sanità pubblica un argine alle disuguaglianze nella difesa della salute. Da qui l’urgenza di salvaguardare i fragili soccorrendo le marginalità sociali acuite dalla pandemia. Come raccomandato ripetutamente da papa Francesco.
Covid, virus della disuguaglianza
Sul rilievo socio-sanitario della ricerca di terapie anti-Covid, Interris.it ha intervistato il professor Roberto Trignani, direttore del reparto di neurochirurgia degli Ospedali Riuniti di Ancona. Tra i pionieri europei degli interventi di “awake surgery“, è impegnato in prima linea per “rendere sempre più efficace il collegamento tra ricerca scientifica e attività clinica”. Nella convinzione che “la sanità pubblica deve rispondere al bisogno di salute della maggior parte della popolazione. A partire dai più fragili”.
“Una rapida premessa per una possibile spiegazione del ridotto spazio mediatico riservato alle cure contro il Covid. Le cure hanno lo scopo di trattare l’infezione in atto nei pazienti. Il vaccino quello di prevenirlo. Viene da sé che il maggiore interesse è assorbito dal vaccino che interessa gran parte della popolazione. Quella fortunatamente ancora non raggiunta dall’infezione”.
“Le cure sono la preoccupazione principale dei sanitari. Nelle strutture ospedaliere e sul territorio. In cui si ha a che fare con una quota minoritaria della popolazione con segni attivi dell’infezione da Covid-19. In realtà terapie con effetti ecclatanti sui pazienti infetti non sono state ancora individuate”.
“Antivirali. Antinfiammatori. Immunostimolanti. Immunomodulanti (immunoglobuline) . Sono costantemente utilizzati. Con risultati incoraggianti e sempre più soddisfacenti. Sicuramente l’armamentario a disposizione dei sanitari per curare i pazienti Covid-positivi si è arricchito notevolmente. Nel corso dei mesi. E questo ha portato ad una riduzione della mortalità dei pazienti con infezione attiva”.
“Il contributo principale all’uscita dalla pandemia viene fornito senza dubbio dal vaccino. Tuttavia non meno significativo è il contributo fornito da un’ottimale gestione dei pazienti con infezione attiva. Per questi pazienti la raccomandazione principale è mantenere uno stretto contatto con un sanitario di fiducia. Per intraprendere precocemente cure che abbiano lo scopo di prevenire la progressione dell’infezione. e per identificare il momento giusto di attivazione di un centro di cura ospedaliero. Prima che il decorso del quadro infettivo sia irreversibilmente compromesso”.
“E’ indubbio che buona parte delle risorse ed attenzioni degli amministratori sanitari sono dedicate al trattamento dei pazienti affetti da Covid. Tuttavia gli amministratori hanno fatto tesoro dell’esperienza della prima ondata. In cui l’annullamento di fatto dell’attività clinica ordinaria ospedaliera aveva prodotto allungamento delle liste d’attesa. Ed effetti sfavorevoli sul decorso di tante malattie acute e subacute. Come dimostra il netto incremento di mortalità da infarto del miocardio”.
“Durante la seconda ondata e l’attuale terza ondata, gli amministratori sanitari stanno cercando di preservare le attività di tante specialità mediche e chirurgiche. In particolare quelle che lavorano sulle patologie maggiori. Cioè malattie cardiovascolari e patologie oncologiche. Gli stessi sanitari stanno cercando di fare buon gioco a cattiva sorte”.
“Stiamo imparando a produrre risultati clinici sovrapponibili in qualità e quantità a quelli della fase pre-Covid. Con minori risorse disponibili. Per esempio attraverso progetti integrati che coinvolgono ospedali e territorio. Soprattutto attraverso l’utilizzo di tecnologie di telemedicina si possono realizzare in sicurezza dimissioni precoci dei pazienti ospedalizzati. E favorire una rotazione più rapida degli stessi sui posti letto”.
“In qualche maniera l’emergenza pandemica e lo stato di necessità correlato hanno funzionato come un acceleratore. Per una riorganizzazione della sanità che fa dell’ottimizzazione delle risorse il cardine principale. E’ immancabile naturalmente l’ingrediente essenziale del rapporto medico-paziente. Che deve farsi più forte e alimentarsi della fiducia reciproca. Per consentire al medico di aumentare la ‘compliance’ del paziente ospedalizzato a questa tipologia di gestione della malattia. Più intensa e concentrata”.
“Dietro i grandi numeri ci sono gli epidemiologi e gli amministratori. Mentre a contatto con le persone in carne e ossa ci sono i sanitari. Tra sanitari e amministratori c’è un flusso continuo di informazioni. I problemi reali sono incandescenti nel versante delle corsie. E mai come in questo periodo si traducono continuamente nei numeri freddi del versante amministrativo. Numeri che comunque muovono le risorse. E abbassano il termometro delle corsie. L’esperienza della pandemia ha in qualche modo riavvicinato gli amministratori ai sanitari. Ha favorito la comunicazioni. E ha reso le decisioni condivise più efficaci ed efficienti”.
“La sfida quotidiana è sempre quella di trovare soluzioni a problemi nuovi e imprevisti. Questo approccio è lo stesso che rivedo nella mia attività di neurochirurgico. Operare significa spesso misurarsi con situazioni impreviste. Che richiedono una rapida comprensione del problema. E applicazione di una soluzione”.
In che modo?
“Conoscenza del problema. Condivisione del problema con tutti gli attori coinvolti. Consapevolezza di appartenenza ad un sistema che lavora in armonia. Sono questi i connotati che fanno qualità. Quando sono propri degli operatori e dell’ambiente che li circonda. Ho una sensazione”.
“Questa pandemia ha consentito a tutti i protagonisti del mondo sanitario di stringere i ranghi. Di essere un corpo più coeso. Capace di risultati più pragmatici. E rispondenti alla realtà dei problemi”.
“Superare gli imprevisti dei campi operatori mi ha reso un chirurgo sempre più esperto e sicuro. Sconfiggere la pandemia renderà l’intero sistema sanitario più solido. E armato per affrontare le sfide future”.