Ventinove anni fa avveniva la strage di Srebrenica. Oltre 8000 ragazzi e uomini bosgnacchi (ovvero musulmani bosniaci) vennero prelevati dalle loro case, uccisi e seppelliti in fosse comuni. Le vittime avevano tutte tra i 12 e i 77 anni. Il rastrellamento durò quasi 3 settimane, dal 6 al 25 luglio del 1995, sia nella città di Srebrenica sia nei dintorni della cittadina bosniaca. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l’11 luglio Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica avvenuto durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, scoppiata all’indomani della dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. In tre anni e 8 mesi di guerra fratricida, morirono almeno 93mila persone, di cui il 67% di nazionalità bosniaca e il 25% serba. Il conflitto inoltre costrinse più di 2,2 milioni di persone alla fuga, diventando così il più grande spostamento di persone in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.
L’Operazione Colomba nella ex Jugoslavia
Il conflitto nella ex Jugoslavia colpì in maniera particolare l’opinione pubblica italiana che assisteva inerme al massacro che si stava compiendo a pochi chilometri di distanza dalle coste adriatiche. Alcuni italiani partirono verso quelle zone di conflitto per aiutare la popolazione. Tra di loro, c’era anche il giovane Andrea Pagliarani di Operazione Colomba, il corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) fondata da don Oreste Benzi. A 29 anni dall’eccidio di Srebrenica, Andrea Pagliarani racconta a Interris.it la sua esperienza nel cuore del conflitto dei Balcani e il profondo impatto umano che quell’esperienza ha avuto sul suo percorso di vita successivo, sulle orme del “prete dalla tonaca lisa”, don Benzi, oggi Servo di Dio.