Il reale impatto del coronavirus sull’economia europea probabilmente non è ancora stato del tutto calcolato. Resta però, al netto dei provvedimenti presi (e soprattutto di quelli attesi con il decreto aprile), la sensazione che per alcuni settori dell’apparato produttivo italiano la ripartenza sarà complicata. Quello turistico non fa eccezione: primo a subire gli effetti del Covid-19 e, nondimeno, quello che dovrà fornire il maggior apporto a una reale ripresa dell’economia italiana. Ma, al momento, una branca fondamentale, fra quelle che contribuiscono al nostro Pil, in stato di blocco in tutti le sue declinazioni, dalle agenzie di viaggio alle strutture alberghiere. Un comparto, quest’ultimo, in particolare sofferenza e con una fase di ripresa che avrà assoluto bisogno di garanzie, non solo dal punto di vista sanitario ma anche sul piano procedurale: “Stiamo studiando un protocollo da proporre al governo – ha spiegato a Interris.it Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi -. Andrà capito il se, il come e il quando”.
Dottor Bocca, a un mese dal lockdown che ha tirato le briglie del Paese il settore turistico rappresenta uno dei più colpiti dal rallentamento produttivo. E il comparto alberghiero sta pagando il prezzo più alto…
“Oggi abbiamo il 95% di alberghi che sono chiusi per mancanza di clienti. Il settore alberghiero non è uno di quei settori chiusi per Dpcm. Gli alberghi, teoricamente, potrebbero essere aperti. Oggi ne abbiamo circa il 4-5%, che sono quelli che ospitano il personale sanitario, i medici, oppure chi deve fare quarantena. Gli alberghi che operano sul mercato del turismo ovviamente sono tutti chiusi, per il fatto che c’è un’impossibilità fisica per il turista di raggiungere i luoghi di villeggiatura”.
Per un settore come quello del turismo, quello che più incentiva l’economia italiana, assorbire un tale impatto presenta diverse difficoltà. Per alcune strutture alberghiere potrebbe significare uno scoglio troppo grande?
“Il problema è capire quando, come e se aprire. Queste sono le tre domande che gli imprenditori del turismo si stanno facendo oggi. Il se aprire dipenderà dalla situazione economica delle strutture alberghiere, che ormai sono chiuse dal mese di marzo e, sicuramente, lo resteranno anche per tutto il mese di aprile, quindi con zero entrate e costi che, viceversa, anche durante la chiusura continuano a correre. Bisognerà capire se questi alberghi saranno nelle condizioni di aprire magari a fine maggio, se arriveranno in vita a questo appuntamento. Il quando non dipende da noi. Pensavamo che questa situazione durasse di meno. Le riaperture che noi abbiamo visto si sono limitate a librerie e cartolerie e credo che il Paese debba gradualmente ripartire. E soprattutto farlo in maniera differente regione su regione. Noi abbiamo oggi regioni che hanno grossi numeri di contagi e altre dove sono pressoché inesistenti. Credo quindi che fare di tutt’erba un fascio sia sbagliato”.
Come agire?
“Probabilmente, quando le regioni con meno contagi cominceranno a riaprire con le attività economiche locali, il turismo potrà seguire. Ma non dipende da noi. Oggi le previsioni parlano di giugno ma se questo lockdown dovesse proseguire giugno diventerà luglio. E per un albergo stagionale che chiude a settembre non so se valga la pena aprire o meno. Per quanto riguarda il come aprire, bisogna farlo in modo garantito. Come Federalberghi stiamo studiando un protocollo sanitario da applicare all’interno delle nostre strutture, che proporremo al governo perché dovrà essere bollinato. Lasciare all’iniziativa personale di ogni singolo albergatore le misure di sicurezza di applicare rischierebbe di creare contenziosi e questo non ce lo possiamo permettere”.
In sostanza, adottare un protocollo concordato con il governo che sia valido per tutti?
“Sì, deve bollinarlo in modo che chi apre, seguendo quel protocollo, resta tranquillo rispetto possibili cause o altro tipo di contenziosi”.
Va da sé che un’eventuale ripartenza sarà subordinata a diverse limitazioni per impedire un drammatico colpo di coda. Magari anche negli ingressi in albergo…
“Certo, infatti bisognerà capire: è giusto riaprire ma trattare un albergo come un ospedale non si può. Se ci saranno le condizioni per poter operare in sicurezza ma facendo godere la vacanza a un cliente bene. Ma se bisogna entrare in un albergo come in una clinica si può lasciar stare”.
In queste settimane sono stati ripetuti i colloqui con il governo? Anche nell’ottica dei necessari sostegni anche a questo settore…
“Sì, abbiamo contatti costanti. Stiamo aspettando questo decreto di aprile che dovrebbe contenere le misure di sostegno alle imprese. Bisogna vedere cosa ci sarà. La cosa che mi raccomando, oltre che ai provvedimenti, è che bisogna pensare alla tempistica. Mettere in campo sostegni immediati, cosa che finora non è stata così attuata. Vedi il decreto liquidità, la cassa integrazione: misure che non hanno portato un euro nelle tasche delle imprese che oggi hanno bisogno di sostegni immediati”.
Del resto è un punto che interessa un po’ tutti: capire quanto, effettivamente, si riceverà in termini di liquidità, così da poter garantire la sopravvivenza del settore e soprattutto i posti di lavoro…
“Anche nella norma sulla cassa integrazione le aziende hanno dovuto partecipare per il mese di marzo. E non si è ancora capito quando l’Inps pagherà, anche quello è un tema. Perché prima si era detto fine marzo, poi il 10 aprile, poi si è detto che entro il 15 aprile sarebbero arrivati i 600 euro per gli autonomi. Non si può scherzare su questo tema. Se l’Inps non è in grado di lavorare le pratiche, vanno dati i soldi direttamente alle imprese, ai dipendenti. Non bisogna mettere troppi paletti nell’inframezzo”.
A emergenza finita contribuirà il desiderio di ripartire, anche sul turismo interno, oppure c’è il rischio che la ripartenza sia lenta anche in questo senso?
“Secondo me sul mercato interno, una volta saltato questo tappo, la gente che è stata prigioniera in casa avrà voglia di uscire, di fare vacanza. Sulla voglia dei nostri concittadini di muoversi e fare vacanza non ho dubbi. Bisogna però metterli in condizione di poterlo fare”.
Contribuiranno inevitabilmente anche le normative che entreranno in vigore per scongiurare ricadute…
“Certo. Ma se io vado in vacanza e vedo mascherine, plexiglass da tutte le parti… Io non andrei in vacanza in un ospedale, piuttosto starei in casa. Mi auguro che su questo si trovi il giusto compromesso, tra salute e impresa. E’ sbagliato buttarsi tutto da un lato o dall’altro. Oggi siamo orientati sull’aspetto della salute, perché riaprire le cartolerie e non le fabbriche non sembra una decisione saggia, mentre Paesi vicini come la Germania le stanno tenendo aperte. Buttarsi sull’economia tralasciando la salute sarebbe un altro grave errore. Bisogna quindi trovare il giusto compromesso”.