Un laboratorio per la preparazione di prodotti da forno all’interno di un carcere minorile? Si può! Si chiama “Cotti in Fragranza” e si trova nel Malaspina di Palermo.
Un progetto buono, basato su una precisa etica della responsabilità, in cui i giovani coinvolti sono protagonisti di tutte le scelte, dai nomi dei prodotti alle strategie di marketing. Anche dopo aver concluso il proprio percorso detentivo, i ragazzi continuano a lavorare al progetto.
Un made in Sicily d’eccellenza
Cotti in Fragranza è un’impresa sociale all’avanguardia che utilizza materie prime di alta qualità per una produzione made in Sicily d’eccellenza.
La sua storia comincia con il Buonicuore, un frollino dall’inconfondibile sapore di mandarino ideato da uno dei migliori pasticceri della Sicilia, Giovanni Catalano. É sua la ricetta donata al laboratorio insieme alle prime “lezioni” di cucina.
Sotto la sua guida viene completato il laboratorio, ed è qui che i ragazzi – affiancati da uno chef formatore – cominciano il proprio percorso di formazione.
La produzione si espande
Nel frattempo le competenze crescono e anche la voglia di sperimentare: è così che si creano le ricette per gli altri due frollini agli agrumi, il Parrapicca e il Coccitacca, e per gli snack salati, i Picciottelli.
Grazie al supporto di una squadra di esperti esterni e sempre affiancati dalle insuperabili educatrici coordinatrici del progetto, Lucia Lauro e Nadia Lodato, i ragazzi si confrontano con le quotidiane scelte imprenditoriali: studio del mercato, perfezionamento dell’offerta, strategie di marketing.
I frollini superano i confini dell’isola
Col passare dei mesi i frollini Cotti in Fragranza raggiungono le botteghe equosolidali, i bar, e grazie al supporto di Legacoop Sicilia Occidentale anche i supermercati della grande distribuzione, superando i confini della Sicilia e portando il proprio messaggio di riscatto sociale in tutta la Penisola.
Il progetto è promosso e sostenuto dall’Istituto Penale per i Minorenni di Palermo, Opera Don Calabria, Associazione Nazionale Magistrati Fondazione San Zeno e Unicredit.
Interris.it ha incontrato Lucia Lauro che ha raccontato in prima persona cosa significa vivere una realtà come “Cotti in fragranza”.
Da dove nasce l’idea di creare un laboratorio sociale all’interno di un carcere? E soprattutto qual è la vostra idea di sociale?
“L’idea nasce dall’allora direttore dell’istituto sociale per i Michelangelo Capitano e del nostro direttore dell’Istituto Don Calabria Alessandro Padovani. L’idea era di creare un’azienda dentro l’istituto come già avviene per gli adulti in alcune città d’Italia.
I giovani che commettono reati da minorenni possono restare dentro l’istituto fino al compimento del 25esimo anno di età, quindi la tematica diventa sempre più forte anche negli IPM”.
“Per noi un’impresa sociale deve essere un’esperienza di economia civile. Questa definizione racchiude tutto “L’economia civile non contrappone Stato e mercato o mercato e società civile. Teorizza che anche nella normale attività di impresa vi debba essere spazio per concetti come reciprocità, rispetto della persona, simpatia”. (Stefano Zamagni).
Cosa rappresenta cotti in flagranza nel mondo del made in Italy? Quali sono i vostri progetti odierni e quelli futuri?
“Siamo stati il secondo progetto dentro un IPM in Italia, il primo al sud, quindi penso che rappresentiamo una speranza per altre cooperative ed altri istituti in Italia che vogliono intraprendere quest’avventura. Certamente siamo riusciti a sviluppare un modello aziendale che ci permette oggi di avere due/tre ragazzi che lavorano dentro l’istituto e sette ragazzi che lavorano nella cucina esterna”.
“Il nostro progetto futuro è creare sempre più settori, più attività, perché solo così potremo impiegare molti più ragazzi. Già da due anni oltre al biscottificio abbiamo un settore catering e un settore dedicato ai laboratori di cucina per scolaresche o gruppi di adulti”.
“Al momento stiamo lanciando il nostro Al Fresco Giardino e Bistrot, un giardino nel centro di Palermo in cui i ragazzi si stanno sperimentando nella piccola ristorazione. Per i prossimi 2 anni saremo impegnati nella ristrutturazione del Palazzo seicentesco in cui si trova il nostro Giardino per fare il Bistrot invernale, un centro di formazione professionale e un centro di accoglienza turistica. Questi progetti sono realizzabili grazie al sostegno della Fondazione San Zeno e della Fondazione con il sud”.
Cosa significa aderire a questo progetto?
“Significa decidere di dare spazio ai sogni e di essere disposti a faticare per realizzarli. Il nostro è un progetto corale, ogni adulto e ragazzo che entra a farne parte diventa partecipe di ogni processo decisionale, deve portare il suo contributo in termini di creatività e della responsabilità che ne consegue”.
Che aria si respira nel laboratorio? Come vengono coinvolti, preparati e inseriti nel progetto gli ex detenuti?
“Il laboratorio è un luogo di energia all’interno di un luogo complesso, spesso statico, certamente delimitato che si chiama carcere. Nonostante anche il laboratorio sia tra quattro mura, li si crea un prodotto che viaggia in tutta l’Italia, si immagina il lavoro fuori, si raccontano le altre parti del progetto. Quindi l’atmosfera è certamente positiva. Poi il lavoro in sè da dignità, da la possibilità di aiutare le famiglie, di cominciare a costruire un fuori”.
“I ragazzi detenuti vengono formati da uno chef all’interno del laboratorio e poi quando escono vengono seguiti nel laboratorio esterno. Si impara facendo, ma soprattutto i ragazzi entrano a far parte subito di quell’intelligenza collettiva che secondo noi è la grande differenza del nostro progetto. I giovani non sono destinatari, sono realmente protagonisti“.
Qual è il messaggio che vuole lanciare Cotti in Flagranza in un territorio in un cui purtroppo la criminalità organizzata ha lasciato il segno?
“Il messaggio è emblematico: non siamo malacarne ma veri buonicuore. Noi puntiamo sulla scelta, la possibilità di scegliere un altro contesto di riferimento, un’azienda che è una “famiglia”, in cui i bisogni sono ascoltati, in cui crescere è possibile, in cui tutti mostriamo ferite e debolezze e tendiamo mani per risalire la china”.
Quanto e come aiuta i ragazzi?
“Per chi fa questa scelta, non sono tutti chiaramente, comincia una nuova vita: lo stipendio, la casa da affittare, il motorino, la prima vacanza con gli amici all’estero. Tutte quelle cose normali che tutti viviamo dai 15 ai 24 anni e che loro hanno inesorabilmente perso“.
Qual è stato il momento più bello di questi anni? Un ricordo o un aneddoto che ti ha particolarmente colpita?
“I momenti belli sono troppi, sicuramente i più belli sono i momenti in cui i ragazzi escono in affidamento e possiamo vederli fuori dall’Istituto. Un aneddoto divertente è legato ad uno dei nostri biscotti il Parrapicca. In siciliano il Parrapicca è un oggetto metaforico per chiudere la bocca a chi ti denigra. Quando iniziammo in carcere molti dubitavano sulla capacità dei ragazzi di impegnarsi. Così dopo i risultati di vendita del primo semestre che furono oltre le nostre aspettative e il primo Natale frenetico, uno dei ragazzi disse “Ora si comprano tutti un Parrapicca”. Il loro orgoglio per avercela fatta è un’emozione indelebile, che per fortuna rivedo ogni volta che intraprendiamo una nuova sfida e la portiamo a termine”.