L’eccesso di informazioni incontrollate come moderna versione della biblica Torre di Babele. Così, in tempo di pandemia, l’infodemia diventa causa di disordine e confusione. Interris.it ha raccolto la testimonianza in prima linea di uno dei cronisti parlamentari e giornalisti d’inchiesta più accreditati in Italia. Ilario Lombardo, giornalista e scrittore, firma autorevole prima del Secolo XIX e poi della Stampa, spiega come la pandemia sta cambiando l’informazione. E quali sono gli effetti sociali della distorsione provocata dal fiume di fake news che inonda i cittadini.
I danni sociali dell’infodemia
Secondo la definizione della Treccani, l’infodemia è la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni. Talvolta non vagliate con accuratezza rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha allertato l’opinione pubblica in particolare sull’ondata di fake news che da quasi un anno l’emergenza Covid porta con sè. Il termine “infodemia” deriva dall’ingl. infodemic, a sua volta composto dai sostantivi info(rmation) (“informazione”) ed (epi)demic (“epidemia”). Infodemia ricorre nei documenti ufficiali dell’Oms.
In un momento così carico di incertezze e difficoltà, qual è il ruolo del giornalista?
“Il giornalista deve mettere ordine nel caos di informazioni che soprattutto in questo momento sono incomplete e parziali. Il suo ruolo è quello di chiarire, spiegare innanzitutto quali siano le fonti. Mettere in relazione i numeri. Sui contagi, sui tamponi, sui ricoveri, sulle vittime e via dicendo. Usare al meglio le parole”.Può farci un esempio?
“Chiarire, per esempio, la differenza tra malato, contagiato, sintomatico, asintomatico, farmaci, vaccini. Assieme a questo lavoro, il giornalista ha il compito di verificare le informazioni del governo, controllare lo svolgimento dei processi decisionali e la loro trasparenza”.
Come è cambiata l’informazione durante la pandemia?
“Molto nella fruizione, non troppo nelle basi del mestiere che restano sempre le stesse se sono solide. L’informazione è diventata più isterica. Programmi tv, telegiornali, e siti internet sono seguiti con molta più ansia e attenzione. Ma nell’incognita del virus, evaporando le certezze assolute, assistiamo al moltiplicarsi delle le fonti di informazione. Rilanciano studi scientifici o analisi dati a loro volta sempre più numerose”.Con quali effetti?
“C’è una frammentizzazione dell’informazione giornalistica che può essere molto pericolosa. Perché rischia di peggiorare la confusione tra notizie rimbalzate sui social e informazione di qualità, gestita da giornalisti di professione. In generale il virus sta accelerando processi”.A cosa si riferisce?
“Alle dinamiche che erano in corso per la crisi del giornalismo tradizionale (carta stampata in primis). Si tratta di processi che vanno gestiti meglio. Nella consapevolezza che potremmo essere nel pieno di una nuova rivoluzione industriale. E che, come le precedenti, avrà ricadute nel rapporto tra la massa dei cittadini e il potere dei loro rappresentanti”. Quella in tempo di pandemia è un’informazione simile a quella del tempo di guerra?
” In parte. Nella guerra è la propaganda a imporsi sulla verità. Nel caso della lotta al virus ci troviamo di fronte a una verità incompleta, che impariamo a conoscere di volta in volta. E questa mancanza di verità assolute si ripercuote sull’informazione. L’etica del giornalista sta nel dichiarare la premessa di questa incompletezza”.In quale ottica?
“Poter offrire l’informazione più completa fino a quel momento. La scienza si muove in maniera empirica, per esperimenti, ed errori. Il giornalismo segue questa evoluzione nella lotta contro il virus. Ma nel dovere di raccontare non si deve dimenticare la responsabilità civile e sociale del proprio mestiere. Evitando di generare ulteriore confusione in chi legge un giornale o chi guarda un programma”.Cosa ne deriva?
“Per questo ogni novità – sui vaccini, sugli studi del virus, sulle misure restrittive decise dal governo – va contestualizzata e verificata. Senza generare ansia magari per indiscrezioni che poi non risultano confermate. Anche nel linguaggio utilizzato ci vuole una maggiore pulizia nel vocabolario. Come tutti, anche il giornalista ha a che fare con concetti che prima non conosceva. E con parole che suonano come neologismi. Non vanno confusi i termini tra di loro”.Cioè?
“Ogni parola va spiegata per quello che significa. Cosa vuol dire lockdown? Cosa significa coprifuoco? Si può definire coprifuoco la chiusura anticipata di bar e ristoranti? Cosa è l’indice di contagiosità? E di letalità? La virulenza e la carica virale sono la stessa cosa? I test: ce ne sono di tipi diversi. E ognuno va indicato con precisione, spiegandone il diverso livello di efficacia”.E per i numeri?
“Stesso discorso sui numeri. Vanno sempre relativizzati. I positivi in sé non vogliono dire nulla se non sono confrontati con i tamponi effettuati. E così via. Chiarezza di pensiero e dunque di linguaggio: in questo momento è fondamentale”.