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Così l’ecoteologia unisce i cristiani

Intervista a Interris.it sull'ecumenismo e l'unità tra cristiani di Daniela Di Carlo, pastora titolare della Chiesa Valdese di Milano

Mai come ora i cristiani hanno motivi e opportunità di unità. “Il creato non è più integro quindi non può essere salvaguardato così come è ma deve essere riparato. In più occorre al più presto uno sguardo teologico che possiamo chiamare ecoteologia”, afferma a Interris.it Daniela Di Carlo, pastora titolare della Chiesa Valdese di Milano.

Unità dei cristiani

Daniela Di Carlo è cresciuta a Roma e ha diretto il Centro di formazione Ecumenico internazionale di Agape a Prali nelle Valli Valdesi (Torino) e si occupa di ecumenismo e di teologie ecofemministe, femministe e di genere. Si è laureata alla Facoltà Valdese di Teologia ed ha studiato allo Union Theological Seminary di New York. Ha partecipato a diverse opere collettive e collabora alla rubrica Culto Radio su Rai Radio Uno. Fa parte della Commissione Justice Peace & Integrity of Creation del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano (Cccm) e si occupa di formazione interreligiosa degli operatori sanitari con il gruppo Insieme per prenderci cura (Ipc).

In quali ambiti può maggiormente svilupparsi il dialogo ecumenico?

“Sicuramente non è ancora arrivato il momento di parlare di accoglienza eucaristica né di sacerdozio femminile. E’ però importantissimo che le chiese, unite, dicano una parola radicale sul creato. Jurgen Moltmann sostiene che i tre obiettivi del processo ecumenico giustizia, pace e salvaguardia del creato, nonostante rappresentino un dovere di impegno per tutta la cristianità, devono subire una variazione nella tipica lettura che è stata fatta sin qui”. E’ arrivato il tempo di fare una nuova esperienza di Dio”.

A cosa si riferisce?

“E’ finita l’etica antropocentrica che si muoveva, attraverso la scienza e la tecnica, per colonizzare non solo la terra ma anche lo spazio. Il periodo antropocentrico in realtà si è rivelato andro-centrico, del dominio cioè del maschio sulla femmina e razziale perché prevede anche il dominio dell’uomo bianco sul resto dell’umanità colorata oltre naturalmente sul mondo. Il concetto di vita umana per Moltmann può essere legato alla parola depredare. “Tutti gli esseri viventi vivono depredando altri esseri viventi”. l risultati di questo atteggiamento è sotto i nostri occhi”.

Può farci un esempio?

“Ciò è evidente anche attraverso le persone che sono costrette a fuggire dal proprio paese di origine, per un periodo di tempo limitato o per sempre, a causa di eventi climatici estremi: siccità, alluvioni, terremoti, desertificazione, inondazioni delle coste, ecc. Oppure situazioni dove vi è un accaparramento delle risorse dell’acqua o energetiche della terra per mano di multinazionali oggi e dei proprietari terrieri nel passato. Eventi questi che rendono difficile reperire il cibo e favorire una vita nella quale avere un lavoro e una dimora”.

Quali sono le conseguenze sul movimento ecumenico?

“Diventa oggi necessaria l’ecoteologia, anticipata dall’ecofemminismo già negli anni ’90, che indaga sul collegamento tra il dominio maschile sulle donne e il dominio maschile sulla natura. C’è bisogno di una “conversione ecologica” che deve coinvolgere ogni donna ed ogni uomo a tutti i livelli, non solo nelle scelte politiche ed economiche di chi ci governa, ma anche nello stile di vita quotidiano e le chiese, su questo tema, possono essere veramente unite”.

Famiglia, bioetica, carità. Cosa unisce maggiormente i cristiani oggi?

“Il protestantesimo da moltissimi anni parla di famiglie al plurale e non più di famiglia al singolare. Abbiamo fatto molta strada all’interno delle nostre chiese per liberare le donne da quell’oblatività nella quale erano state cacciate dall’istituto della famiglia. Grazie alla FFEVM (Federazione Femminile Evangelica Valdese Metodista) che ha promosso il pastorato delle donne, la FDEI (Federazione Donne Evangeliche in Italia) che ha posto l’attenzione contro la violenza alle donne, Cassiopea, fondata dalle giovani donne protestanti, e non solo, che ha introdotto il linguaggio inclusivo, Sophia, l’associazione delle teologhe protestanti, che ha chiamato per nome il patriarcato”.

Con quali dinamiche?

“Oggi quasi ogni chiesa ha il posto occupato da una donna che sarebbe ancora tra noi, se non fosse stata vittima di femminicidio; molte comunità, poi, propongono iniziative con la città per onorare il 25 novembre, la giornata contro la violenza alle donne e diverse sono le persone che intervengono nelle nostre assemblee facendo attenzione al linguaggio inclusivo”.

In Italia si discute di testamento biologico. Cosa ne pensa?

“Sulla bioetica, il fine vita, in particolare, le chiese protestanti europee, e noi con loro, considerano ammissibile la scelta volontaria di interrompere o di rifiutare i trattamenti da parte di un paziente in grado di intendere e di volere e questo può accadere anche nel caso di situazioni controverse, come può essere quella dell’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali nei pazienti in stato vegetativo persistente. Il valore della vita individuale non risiede nelle sue prestazioni, né nella sua funzionalità e neanche nell’ autonomia. Tuttavia si ritiene giusto poter determinare la propria esistenza in accordo con la coscienza e l’autodeterminazione, principi questi fondamentali nel protestantesimo”.

Occasioni di unità, quindi?

“Mi sembra che sia la famiglia che la bioetica siano percorsi incapaci di unire il cristianesimo. La carità, che noi chiamiamo in altro modo, può invece essere un terreno comune che ci permette di muoverci tenendoci per mano. Penso ad esempio ai corridoi umanitari realizzati tra Chiesa Valdese e Sant’Egidio, diventati modello per l’Europa tutta, di accoglienza consapevole. Penso al motto della Diaconia valdese “Prima gli ultimi” che da anni guida i nostri passi verso la realizzazione di un mondo appena un po’ più simile alle parole evangeliche. Penso a tutte le iniziative locali ed ecumeniche dove le e i cristiani decidono di sfidare le differenze per promuovere un progetto, anche piccolo, ma significativo in favore delle vittime di violenza o dei senza tetto”.

In una società sempre più secolarizzata e in un mondo sempre più frammentato, quale ruolo sociale può svolgere  l’unità dei cristiani?

“Se ci fosse realmente e profondamente potrebbe essere il modello di vita comune al quale ispirarsi. Purtroppo all’interno delle confessioni stesse troviamo divisioni non ricomponibili. La divisione è già dentro il mondo cattolico, dentro quello protestante e dentro quello ortodosso che diventano essi stessi poco credibili perché invece che promuovere dialogo promuovono conflitto. Rimane da capire come riusciremo a fare i conti con Dio, quando sarà il momento, rispetto all’incapacità di creare una unità prima all’interno delle proprie chiese, poi nel dialogo ecumenico ed infine in quello interreligioso. Di fatto siamo pessimi testimoni di unità e ottimi rappresentanti di divisione”.

Lo slancio ecumenico di papa Francesco è un aiuto a superare anacronistiche divisioni fra fratelli separati?

“Certo è un aiuto simbolico importantissimo per noi ma anche un’arma a doppio taglio che ha favorito il rafforzarsi di quella componente cattolica conservatrice che non crede nel dialogo ecumenico e che ha preso in odio il papa stesso. Rimango estremamente colpita dagli articoli che a volte leggo che non solo disapprovano ma condannano l’operato di papa Francesco.  Il suo operato è in grado di riunire sorelle e fratelli in maniera trasversale, indipendentemente cioè dalla confessione di appartenenza, uniti da una lettura simile del Vangelo e non perché appartengono alla medesima chiesa. Uniti dalla radicalità dell’evangelo più che dalla religione umana”.

 

 

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